I ghiacciai respirano
Non si placa la furia degli elementi. L’inizio di quest’estate, in particolare a sud delle Alpi, è purtroppo foriera di nuovi eventi disastrosi e nuovi lutti. In mezzo alle cattive notizie – che suscitano in tutti noi un sentimento di solidarietà per chi è stato tragicamente colpito – ce n’è almeno una rallegrante. «Al solstizio d’estate, lo stato dei ghiacciai svizzeri è migliore rispetto agli ultimi anni. Sarà sufficiente per avere un anno di recupero dei ghiacci? Probabilmente no. Ma le perdite saranno contenute. E un’estate fresca potrebbe comportare un leggera crescita, dopo il processo di scioglimento estremo degli ultimi due anni». A scrivere questo messaggio sulla rete X è Matthias Huss, direttore di Glamos, la Rete di analisi glaciologiche svizzere, docente al Poli di Zurigo che da 18 anni segue meticolosamente l’andamento dei ghiacciai svizzeri. Alla fine del 2023, la Commissione svizzera per l’osservazione della criosfera (CSC) aveva in effetti comunicato che sulle Alpi svizzere nel 2022 si era registrato uno scioglimento della massa di ghiaccio al 6% e nel 2023 del 4%. «In due anni si è registrato uno scioglimento del 10%, pari a quello prodottosi sull’arco di trent’anni, dal 1960 al 1990». Una simile riduzione della massa dei ghiacci si è prodotta a causa della concomitanza di due fenomeni: inverni poco innevati e temperature estive molto elevate. «L’inverno 2022/23 ha registrato precipitazioni molto deboli» – scriveva la CSC lo scorso anno –. «Dopo una breve normalizzazione in primavera, il mese di giugno è stato molto caldo e la poca neva caduta sui ghiacciai si è sciolta da due a quattro settimane prima del solito. Durante l’estate, il limite di zero gradi era salito ad altitudini record fino al mese di settembre». La Rete Glamos di Matthias Huss – le cui misurazioni vengono realizzate su 14 ghiacciai siti in diverse regioni svizzere e poi estrapolate sull’insieme dell’arco alpino – aveva fornito questo dato: 2,2 chilometri cubi di ghiacci sciolti nei due anni 2022-2023. Per dare un’idea: una perdita di spessore fino a tre metri sul ghiacciaio di Gries in Vallese e sul Basodino e di più di due metri sulla madre di tutte le superfici di ghiaccio elvetiche, l’Aletsch. Superiore a quanto accaduto nell’anno di eccezionale canicola 2003.
Rispetto agli ultimi due anni, il quadro attuale appare opposto: il tweet di Matthias Huss di fine giugno viene a confermare un articolato rapporto di Glamos pubblicato a fine maggio che sembra indicare una tregua (lo vedremo a fine anno) nel processo di scioglimento dei ghiacciai dell’Arco alpino svizzero. I dati comunicati fanno stato di un innevamento nettamente superiore alla media del decennio dal 2010 al 2020. Quasi un terzo in più (31%) di neve caduta sulle Alpi svizzere, innevamento molto abbondante particolarmente prezioso per i ghiacciai. Da 3 a 6 metri in più sui ghiacciai dell’insieme dell’arco alpino elvetico. Durante gli ultimi due mesi – sottolinea il rapporto di Glamos – il limite delle nevicate si è situato fra i 1500 e i 2500 metri mentre le precipitazioni si sono rivelate superiori alla norma in questo periodo. Ciò si è tradotto in grandi quantità di neve in alta montagna. Sulla stazione meteorologica del Säntis, situata a 2226 metri di altitudine, nei giorni scorsi è stata registrata una coltre nevosa di 5,25 metri, estremamente importante rispetto a questa stagione, che non è tuttavia un record isolato. Quattro anni fa, a fine maggio («l’anno più piovoso nei quarant’anni precedenti»), si erano già registrati 6, 40 metri di coltre nevosa. L’istituto svizzero per lo studio della neve e delle valanghe conferma che l’innevamento record riguarda l’insieme delle regioni alpine. Ad esempio, al Bortelsee in Vallese, a 2500 metri di altitudine vicino al passo del Sempione, alcune settimane fa c’era una coltre nevosa di 5 metri e 40. Come sottolinea l’Istituto neve e valanghe «da inizio aprile le precipitazioni sono state regolari, il soleggiamento ridotto senza picchi di calore duraturo, il limite delle nevicate è stato spesso compreso fra i 1500 e i 2500 metri. Queste condizioni sono state propizie all’aumento della quantità di manto nevoso». È prematuro parlare di inversione di tendenza. Ma i dati provvisori sono per ora in controtendenza.