L'editoriale

Un Primo Maggio per restituire dignità al lavoro

In questo Primo maggio bisogna ricordare a tutti che la dignità del lavoro è il metro che misura la civiltà raggiunta da un Paese
Mauro Spignesi
28.04.2024 06:00

Chi non ricorda l’emozione, ma soprattutto la gioia del primo giorno di lavoro? Chi ha avuto la fortuna di trovare una occupazione ricorda inoltre la speranza unita a quella sensazione di stabilità dettata dall’avere una busta paga alla fine mese. Quella speranza del primo giorno per molti si è lentamente sgretolata. E il «posto sicuro» è diventato unicamente un mezzo per portare a casa i soldi necessari per vivere. Fa davvero impressione sentire un ragazzo - non tutti fortunatamente -alla prima esperienza dire che vuol lasciare l’ufficio o la fabbrica prima dei sessant’anni perché non ha più passione, non crede in quello che fa, lo ritiene vuoto, non è soddisfatto. Se dunque si vuole sottrarre alla retorica la festa del Primo maggio che si celebrerà anche quest’anno nelle piazze, bisognerebbe riflettere a fondo su questo aspetto: la qualità dell’occupazione.

E bisogna farlo partendo da un dato: viviamo in una società malata dove si è smarrito il senso profondo del lavoro, dove il mercato chiede sempre più alle aziende che per restare a galla ed essere competitive alzano l’asticella degli obiettivi ai loro collaboratori e creano nel contempo ambienti tossici, con dinamiche interne che finiscono per incattivirsi. Chi ha la corazza e riesce a reggere l’urto (soprattutto psicologico) di queste dinamiche si salva, gli altri sono tagliati fuori. Non per nulla sono aumentati enormemente i casi di burnout, non per nulla ci sono lavoratori che affollano i Centri del sonno negli ospedali e nelle cliniche, tanti non riescono a chiudere occhio durante la notte. Si sta creando una realtà in cui il lavoro espropria la vita, diventa totalizzante. Ecco, davvero vogliamo andare avanti per questa strada? O è necessario un patto sociale che guardi al lavoro come strumento capace di offrire alle persone la possibilità di realizzarsi e alla società di crescere? Serve un patto per eliminare le profonde disuguaglianze - a partire dalla condizione delle donne, alla precarietà, alla mancanza di adeguamenti salariali davanti a all’inflazione - che se lasciate macerare innescheranno conflitti.

Offrire condizioni di lavoro migliori anche sul piano salariale vuol dire evitare le «fughe di cervelli» e valorizzare i talenti, significa guardare al futuro economico, sociale e culturale. Diverse «aziende modello» da tempo stanno battendo strade alternative, partendo dal «valore sociale» del lavoro, che vuol dire «responsabilità sociale», che vuol dire che i lavoratori sono un capitale, un «capitale umano» come amano dire gli economisti. E che appunto il «valore sociale» del lavoro supera il normale rapporto contrattuale fra aziende e dipendente e sconfina nel territorio dove si vive portando benessere.

Non sempre è facile. Soprattutto oggi dove si assiste a un aumento della longevità legato a un calo della natalità; in definitiva si vive di più ma nascono pochi bambini rispetto a ieri. Questo fenomeno porta riflessi su più piani: in quello delle casse dell’Avs, in quello delle casse pubbliche con meno gettito d’imposta, in quello delle città con meno popolazione e delle aziende che non trovano certe professioni (pensiamo solo alla ristorazione). Per questo oggi più che mai è necessario reinventarsi, adeguare l’offerta scolastica. E per questo serve flessibilità e capacità di adattarsi ai tempi nuovi. Oggi ci sono facoltà che sfornano disoccupati di lunga data e altre dove gli studenti non fanno in tempo a discutere la tesi che già hanno in tasca una proposta di lavoro. Domanda e offerta viaggiano sempre più a due velocità e se non si troverà un aggiustamento, una messa a fuoco rapida, ci sarà una carenza in molti settori.

Davanti a queste dinamiche la politica ha una grossa responsabilità. Può dettare le regole, indicare le strade da percorrere, agevolare chi vuole impegnarsi davvero per cambiare. In questo Primo maggio bisogna ricordare a tutti che la dignità del lavoro è il metro che misura la civiltà raggiunta da un Paese. 

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