L'intervista

Luca Mercalli: «La fisica se ne infischia dei nostri tentennamenti»

Incontro con il divulgatore scientifico in vista della conferenza prevista domani, sabato, alle 17 all'Asilo Ciani di Lugano nell'ambito del festival L'Uomo e il Clima
© CdT/Chiara Zocchetti
Paolo Galli
29.11.2024 06:00

Usciamo da una delle COP più deludenti della storia. Non tanto, o non soltanto, per il risultato in sé, ma per l’interesse suscitato. Si è parlato poco di clima, tanto di finanza, ma non si sono viste reazioni popolari alle discussioni. Nulla di nulla, dandola vinta in qualche modo a chi, in termini di opinione pubblica, tende a remare contro le riflessioni sul riscaldamento globale. Non è naturalmente il caso di Luca Mercalli, il quale sarà protagonista domani a Lugano di una conferenza legata all’Uomo e il Clima.

Signor Mercalli, si è da poco conclusa la COP29 in Azerbaigian. Sono giunti scarsi riflessi da Baku, come da una realtà ormai troppo lontana.
«Sì, le si segue sempre troppo - e sempre più - da lontano, e questo è uno dei motivi per cui questi appuntamenti hanno perso anche una certa capacità di coinvolgimento. La società non li sostiene. La gente non scende più in piazza per far sentire il peso di uno sguardo collettivo sulle discussioni, della serie “vi osserviamo e in questi dieci giorni ci aspettiamo un risultato concreto e decisivo!”. Direi, anzi, che tutta la crisi climatica sta perdendo molto interesse nella società mondiale. Siamo distratti dalle guerre, dai problemi economici, e allora questa scarsa attenzione da parte dei cittadini del mondo tutto si riflette sempre più su questi momenti di gestione dei trattati internazionali, i quali diventano una bolla a sé stante. Fino a qualche anno fa, erano più partecipati. Le COP tra il 2000 e il 2010 godevano del sostegno della società civile. Il fatto che ora vengono spesso organizzate in Paesi repressivi, contribuisce ad annullare lo spirito di partecipazione della popolazione».

E i risultati arrivano con crescente lentezza. E non con l’efficacia che ci si potrebbe attendere.
«Sì, le Conferenze ONU sul clima sono sempre più lente nell’acquisizione dei risultati. Ma non possiamo dire - anche se qualcuno invece lo fa - che sono inutili. Non lo sono, anche perché non abbiamo nulla che le sostituisca. E senza le COP, il clima sarebbe lasciato a sé stesso. Fortunatamente, la regia delle Nazioni Unite, perlomeno, tiene viva l’attenzione a livello mondiale. Ma ciò non toglie che i risultati che ottengono sono molto al di sotto di ciò di cui avremmo bisogno. Perché il punto fondamentale è che le leggi della fisica se ne infischiano dei nostri tentennamenti. Lo vediamo anche con l’accelerazione di questo 2024, altro anno record. Ce lo dicono i meteorologi, non l’uomo del bar che per molti rimane più affidabile degli scienziati».

C’è anche la sensazione che una parte del mondo stia cercando, in qualche modo, di far deragliare i lavori. È così?
«L’abbiamo visto benissimo a Baku, d’altronde. L’approccio dell’Arabia Saudita è stato persino spregiudicato. Tutti sappiamo che l’Arabia Saudita è un Paese che vive sul petrolio, però questa volta ha fatto proprio un’azione di lobby alla luce del sole, senza filtri, dicendo in maniera esplicita che non si doveva inserire nel testo di quest’anno alcun accenno alla lotta ai combustibili fossili».

Chi fa informazione e divulgazione da anni, come lei, sul clima e sui rischi del riscaldamento, come vive questa situazione?
«Se possiamo trovare una bella metafora, immaginiamoci un medico che dà la diagnosi al paziente. Il paziente peggiora, ma si rifiuta di fare la cura. Come si sente il medico alla fine? Frustrato. Tanto valeva facesse una buona diagnosi. Qui siamo nella situazione in cui la scienza ogni anno fa progressi, dice che cura dobbiamo fare, ma il mondo gira la testa dall’altra parte».

Non è che la specie umana per ora non è adatta a recepire questo genere di messaggio sui rischi a lungo termine e preferisce guardarsi la punta dei piedi?

Esclude un problema di comunicazione sul tema?
«È una domanda che noi stessi ci facciamo spesso. Ma mi sento di escluderlo. Allora significa che tutti, nel mondo, hanno fallito: non un Paese, non una persona, non una organizzazione. Uno può dire: va bene, Mercalli non è bravo, ma ci può essere uno in Cina o in Australia con capacità comunicative vincenti. E invece no. Non è un caso se i due più grandi leader oggi che sostengono l’importanza di occuparsi del clima sono il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, e papa Francesco. Due persone di grande competenza e di carisma: ma qualcuno le ha ascoltate? E allora la domanda da farsi è un’altra».

Ovvero?
«Non è che la specie umana per ora non è adatta a recepire questo genere di messaggio sui rischi a lungo termine e preferisce guardarsi la punta dei piedi? Tutto, anche l’economia, sembra orientato a ottenere risultati a brevissimo termine. Mancando questa consapevolezza, ci mettiamo veramente in difficoltà per il futuro. Perché poi correggere è difficile, se non impossibile. E le prospettive legate per esempio all’innalzamento del mare non sono remote, anzi. Quando il mare cresce fino a entrarti in casa, te lo tieni».

Sabato, a Lugano, parlerà proprio di acqua, dell’«acqua che verrà».
«Non tutti i problemi che l’acqua genera alla nostra società sono nuovi e derivano dal riscaldamento globale. L’acqua è sempre stata una risorsa da usare con saggezza, perché a volte era troppa, altre troppo poca. È sempre stato così. Basti pensare alle alluvioni che già avevano toccato il Ticino in passato. Il problema è l’amplificazione di questi estremi. Le alluvioni del presente sono più intense rispetto al passato, oltre che più frequenti. E allo stesso modo, le siccità di oggi sono più lunghe. E i danni aumentano. Più riscaldamento avremo, più l’intensità dei fenomeni crescerà. L’acqua che verrà, allora, sarà sempre di più, e sempre più protagonista».

Un altro degli aspetti difficili da comunicare è che i periodi di siccità non annullano l’estremo opposto. E viceversa.
«Esatto. Avremo siccità peggiori persino di quella del 2022, ma alternate a periodi dove vedremo altre alluvioni e annate molto piovose, come questa. Le immagini di Valencia, ma anche della Vallemaggia, sono ancora fresche nella nostra memoria. In tutti i casi, l’acqua è centrale per più aspetti, basti pensare all’agricoltura. Ogni società che ha prosperato nel passato è perché godeva della giusta quantità di acqua. Il futuro, legato al riscaldamento globale, potrebbe cambiare la geografia delle risorse. Un problema economico, ma di più: esistenziale».

Prosegue il festival diffuso L’Uomo e il Clima. Lo fa con una serata evento, domani alle 17 (ingresso libero) all’Asilo Ciani di via Carlo Cattaneo 5, dal titolo «L’acqua che verrà», un incontro con il climatologo Luca Mercalli. Sono già in corso anche due mostre, quella portante del MUSEC e, a partire da mercoledì scorso 27 novembre, «Lost Ice» (vedi sotto) all’Artphilein Library di via San Salvatore 2 a Paradiso. Il 3 dicembre aprirà poi la terza mostra delle cinque in programma, quella della Biblioteca cantonale di Lugano, dedicata alla «scoperta dei cambiamenti climatici nelle opere dei pionieri della scienza».