Il paradosso dei missili nella guerra in Ucraina
«Il nostro messaggio è stato molto comprensibile, logico». Normale, insomma, per Dmitry Peskov, per il portavoce del Cremlino, ritenere che quello stesso messaggio sia stato recepito dagli Stati Uniti. Quale messaggio? In una sola parola: Oreshnik. È il missile balistico ipersonico che la Russia ha lanciato per la prima volta verso l’Ucraina - nel mirino un complesso industriale a Dnipro -, una nuova arma. Ma anche un messaggio, appunto, diretto all’Occidente. A Washington, in particolare. Una risposta al via libera di Joe Biden all’Ucraina a utilizzare altri missili, gli Atacms. D’altronde, Vladimir Putin non ha usato giri di parole per descrivere l’escalation - ai suoi occhi - innescata dalla Casa Bianca. Al contrario, ha parlato di un conflitto dal «carattere globale». E questo, sempre nella retorica russa, in un momento in cui - e torniamo a citare Peskov, riportato ieri dall’agenzia di stampa Ria Novosti - il presidente Putin è anzi «aperto al dialogo» per una soluzione al conflitto. «Anche nel suo discorso di ieri, il presidente ha sottolineato di essere pronto a contatti sia per la de-escalation, sia per evitare una ulteriore escalation, sia per entrare in una traiettoria di pace».
Apparente contraddizione
Minacce di guerra, intenti (dichiarati, quanto meno) di pace. Difficile capire se si tratti di banale retorica di guerra o se abbia a che fare con la dialettica dello “Zar”, ma resta un’apparente contraddizione nella posizione russa. E lo sottolineiamo: apparente. Secondo il professor Aldo Ferrari, ordinario all’Università Ca’ Foscari di Venezia, esperto di storia dell’Eurasia, la realtà in effetti è un’altra, e i due messaggi quindi non si contraddicono. «Le due tendenze sono solo apparentemente in contrasto», spiega, raggiunto dal Corriere del Ticino. E poi approfondisce: «La questione non è semplice, in effetti. Ma la premessa, che ormai trova quasi tutti d’accordo, è che sul terreno la Russia sta vincendo la guerra. E che l’Ucraina, ormai logora, corre seriamente il rischio del collasso. Questo aspetto va oltre la retorica, e non possiamo non tenerne conto, anche perché dovrebbe indurre tutti a porre fine, al più presto, alla guerra. Sembrerebbe, per esempio, l’intenzione di Donald Trump, che ha ventilato l’obiettivo di chiuderla in 24 ore appena, anche se non si capisce cosa ciò voglia dire. Più concretamente, credo sia un modo per illustrare l’intenzione di voler cambiare linea rispetto alla gestione precedente, quella di Biden, ormai agli sgoccioli». Il non detto, però, è anche un altro. «Certo, che si potrà raggiungere solo a spese dell’Ucraina». Lo stesso Joe Biden, «in controtendenza» - come sottolinea sempre Ferrari -, ha recentemente approvato l’uso da parte degli ucraini dei missili a lunga gittata su territorio russo. «E subito c’è stata la replica, fragorosa, da parte di Putin, da una parte con un nuovo tipo di missile, dall’altra attraverso il ricorso a una nuova dottrina nucleare». Martedì, in effetti, il Cremlino ha pubblicato un nuovo decreto sulle basi della politica statale nel campo della deterrenza nucleare. «Una strategia di sicurezza, che avvicina però la possibilità dell’uso del nucleare nel caso in cui la Russia dovesse sentirsi minacciata anche da Paesi “non nucleari” ma sostenuti da Paesi “nucleari”». Ma Aldo Ferrari va oltre, tornando al paradosso iniziale. «Nel senso che, se è probabile che ci si stia avvicinando all’inizio delle trattative, entrambe le parti stanno lavorando per farsi trovare pronte, dal punto più vantaggioso possibile». I missili, seguendo questa riflessione, sono a difesa dei territori guadagnati, ma hanno pure un significato di deterrenza, insomma.
L’equilibrio del terrore
Più volte, lungo questa tragica guerra, Putin ha ricorso all’arma nucleare quale minaccia all’Occidente. Nulla di nuovo, per un mondo uscito dalla Guerra Fredda e che, quindi, ben conosce il cosiddetto «equilibrio del terrore». L’uso di questa arma retorica non è cambiato, secondo il professor Ferrari, dall’inizio della guerra a oggi. «Putin, così come i suoi predecessori, conosce bene i rischi legati al nucleare. E allo stesso modo li conoscono i presidenti che si sono alternati a Washington. Evidentemente, c’è un uso retorico di questo argomento, però...». Dietro questo «però» sappiamo che può esserci davvero un rischio, un rischio concreto. Ferrari continua: «Però, mi lasci dire che io eviterei di sottovalutare questo tipo di argomentazione. Probabilmente, l’avanzata stessa della Russia riduce tale pericolo: non è insomma suo interesse, oggi, chiamare in causa a tutti gli effetti l’atomica». Questa sorta di gioco tra le parti, ieri, ha visto l’Ucraina chiudere il proprio Parlamento per timore di nuovi attacchi russi nel cuore di Kiev. Intanto, il suo stato maggiore ha indicato che le truppe russe avanzano di «200-300 metri al giorno» dalle parti di Kurakhovo, uno dei punti più caldi della regione di Donetsk. Nulla di nuovo, invece, nel Kursk, anche se ieri una fonte ucraina ha ricordato che «rimarremo finché avrà senso. Il territorio massimo che abbiamo occupato nella regione era di 1376 km2, oggi è di circa 800 km2». Questo mentre Putin ha ordinato la produzione in serie di missili Oreshnik, ricordando che «nessun sistema al mondo è capace di intercettarlo». Aggressione o deterrenza, ma sempre guerra è.