Le reazioni, contrastanti, ai mandati d'arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant
Sei mesi dopo la richiesta, la Corte penale internazionale dell’Aja ha emesso i mandati di cattura per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e per l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione della Corte è arrivata poche ore dopo che, da Gaza, era giunta la notizia che in diversi attacchi nella Striscia erano state uccise un centinaio di persone, tra le quali donne e bambini, come denunciato dal locale ministero della Salute.
I mandati sono stati emessi all’unanimità dai tre giudici che compongono la Camera preliminare I della Corte, per accuse di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come richiesto dal procuratore Karim Khan a maggio. Netanyahu e Gallant si sarebbero macchiati di aver usato «la fame dei civili come metodo di guerra, come crimine di guerra, come arma di sterminio». Per il procuratore, con l’operazione a Gaza, Israele avrebbe inferto intenzionalmente grandi sofferenze, commesso omicidi, attaccato intenzionalmente i civili.
A maggio la richiesta era stata inoltrata per i due leader israeliani e per i capi di Hamas. Il procuratore, infatti, suggeriva l’arresto anche per Ismail Haniyeh, ex capo politico di Hamas ucciso a Teheran a luglio, Mohammed Deif, il capo delle brigate al Qassam morto a Gaza sempre a luglio e per Yaya Sinwar, ex capo di Hamas a Gaza e poi capo politico dopo la morte di Haniyeh, ucciso a Gaza nel mese di ottobre. Le richieste di arresto sono cadute per Haniyeh e Sinwar, dal momento che la loro morte è stata confermata. Diverso invece il caso di Deif, la cui morte non è stata confermata: e allora il mandato di arresto nei suoi confronti è stato comunque spiccato. Contro i vertici di Hamas, il procuratore aveva mosso accuse di «sterminio e omicidio come crimine contro l’umanità», con riferimento soprattutto alla presa degli ostaggi e alla loro prigionia, con un accenno alle torture che subiscono. Khan aveva anche fatto riferimento agli stupri e alle violenze di carattere sessuale commessi dai miliziani di Hamas che costituiscono «crimini contro l’umanità e anche crimini di guerra nel contesto della prigionia».
Reazioni contrastanti
Per Israele, la decisione dei giudici dell’Aja è politica. Anche perché lo Stato ebraico, insieme ad altri Paesi (come Stati Uniti, Russia, Cina), non riconosce la Corte nata nel 2002 dopo la firma dello Statuto di Roma nel 1998. Ma il tribunale ha, comunque, giurisdizione perché l’Autorità Nazionale Palestinese ne riconosce l’autorità, insieme ad altri 123 Paesi. I giudici, infatti, nell’accogliere la richiesta del procuratore generale, hanno ribadito di avere giurisdizione perché i reati sarebbero stati commessi contro cittadini e su territorio di un Paese che riconosce l’autorità della Corte. Netanyahu e Gallant, al momento, se restano in Israele o viaggiano in Paesi che non riconoscono la giurisdizione della Corte dell’Aja, non rischiano l’arresto. Per assurdo, se fosse vivo Deif, stando a Gaza, dovrebbe essere consegnato alla Corte.
Di «nuovo processo Dreyfus» e di «antisemitismo» parla l’ufficio del premier, che ricorda gli scandali sessuali legati a Khan, contro il quale è stata aperta un’inchiesta esterna agli inizi del mese. Mentre di «giorno buio per giustizia e umanità» ha parlato il presidente Herzog. Tutto l’arco istituzionale e politico israeliano, dalla maggioranza all’opposizione, ha criticato la decisione della Corte. Il partito arabo Hadash, il cui parlamentare Ofer Cassif è stato sospeso la settimana scorsa per sei mesi per i suoi commenti sulla guerra - compreso il sostegno alla causa per genocidio avanzata dal Sudafrica -, ha detto che «Netanyahu e Gallant sono responsabili della distruzione totale di Gaza e dell’omicidio di massa dei suoi residenti. Devono pagare un prezzo per questo».
Critiche dagli Stati Uniti, che parlano di «errori procedurali», di «mancanza di giurisdizione», ma anche di «passi che stanno studiando» con Israele. Diversi Paesi europei, con in testa l’alto commissario Borrell, hanno annunciato che aderiranno alla decisione della Corte, l’Italia valuterà come interpretare la decisione.
Per l’Autorità Nazionale Palestinese, la decisione della Corte rappresenta speranza e fiducia nel diritto internazionale e nelle sue istituzioni, mentre Hamas ha detto che «i mandati di cattura sono importanti passi verso la giustizia».
Ancora tanti morti
Intanto, a Gaza si continua a morire. Almeno 70 le vittime del bombardamento non lontano dall’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia, nel nord di Gaza, dove da quasi due mesi infuriano violenti battaglie. Attacchi anche a Gaza City, con più di venti morti, quando un edificio a più piani è stato ridotto in macerie nel quartiere di Sheikh Rawan. Nella serata di oggi attacchi israeliani anche nel sud, vicino a Khan Younis, con almeno tre vittime. In mattinata al campo di Nuseirat sono morte, in un altro attacco, cinque persone e tre hanno perso la vita a Rafah, al confine con l’Egitto. Quattro i raid israeliani oggi nel sud di Beirut, mentre negli attacchi nella parte orientale, nella valle della Bekaa, sono state registrate 22 vittime. Media siriani, incolpano Israele di un raid che nella città archeologica di Palmira ha fatto 79 morti.
A Gerusalemme oggi c’è stata la visita dell’inviato americano Amos Hochstein, dopo la sua due giorni in Libano, per discutere del processo di pace. Qualche spiraglio verso un cessate il fuoco sul fronte nord c’è, anche se si devono limare alcuni aspetti, come la richiesta israeliana di avere le mani libere e intervenire in Libano qualora si sentisse minacciato da Hezbollah. Rispetto a Gaza invece non si vede la fine, e questo anche se alcune fonti media israeliane hanno riferito che Hamas sarebbe pronta a trattare la liberazione degli ostaggi senza la preventiva uscita dell’esercito, in sostanza la proposta di luglio contro la quale si è sempre opposta.