Solidarietà

Sono sempre di meno gli svizzeri che fanno beneficenza

Secondo gli esperti, si tratta di fenomeno legato anche all'arrivo di nuove generazioni con altri approcci
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Ats
13.12.2024 10:51

Il numero degli svizzeri che fanno beneficenza è in sensibile calo: un fenomeno legato anche all'arrivo di nuove generazioni con altri approcci, spiega Georg von Schnurbein, professore di gestione della fondazioni all'Università di Basilea. Riguardo al tema sempre caldo delle retribuzioni ai vertici delle organizzazioni caritatevoli l'esperto ritiene corretti i salari di centinaia di migliaia di franchi.

«In generale gli svizzeri sono un popolo generoso, quindi donano molto», afferma il 47enne in un'intervista pubblicata oggi dall'Aargauer Zeitung (AZ). «In media, circa il 70-75% della popolazione effettua regolarmente donazioni, una cifra molto alta per gli standard internazionali».

La quota sta però scendendo: era del 72% nel 2023, a fronte dell'84% nel 2022: ad allargare i cordoni della borsa sono state quindi circa 400'000 persone in meno. L'importo totale delle donazioni è diminuito di 250 milioni di franchi nell'arco di un anno, ma rimane alto visto che nel 2022 era stato raggiunto il record assoluto di 2,5 miliardi, riferisce la testata argoviese sulla base di dati della Zewo, l'organizzazione che certifica gli operatori di pubblica utilità in Svizzera.

Qualcosa però sta effettivamente cambiando. «Siamo in un periodo di stravolgimenti», spiega il direttore del Centro studi sulla filantropia (CEPS) dell'ateneo renano. «La raccolta fondi sviluppata e perfezionata negli ultimi venti o trent'anni è fortemente incentrata sui baby boomer. Costoro sono stati raggiunti attraverso metodi di comunicazione tradizionali come lettere, telefonate o serate di gala per la raccolta di fondi. Queste forme non funzionano più per le nuove generazioni. Ciò ha un impatto notevole, perché in genere le persone donano quando viene chiesto loro di farlo. Le associazioni umanitarie si trovano di fronte al problema di come rivolgersi al meglio alle nuove generazioni».

«Per i giovani, lo scopo è più importante dell'organizzazione», prosegue l'intervistato. «Una volta le persone facevano un'offerta alla Caritas, oppure a Soccorso Operaio Svizzero perché appartenevano al sindacato. Per i giovani è più importante il tema, ad esempio il cambiamento climatico o la giustizia sociale. Chi sia esattamente che raccoglie denaro è di secondaria importanza. Con loro far presente la sofferenza o le difficoltà delle persone serve meno: sono interessati alle soluzioni e vogliono contribuire a raggiungerle».

La tendenza è che un numero in calo di persone dona un importo che da parte sua invece aumenta. «Questo trend ha a che fare con la demografia e non con lo sviluppo economico. Il gruppo di donatori tradizionali si sta riducendo», osserva lo specialista con laurea a Friburgo e abilitazione a Vienna.

«Attualmente stiamo passando da una crisi all'altra, e questa è una sfida per le organizzazioni umanitarie. I media svolgono un ruolo importante: quando si è virtualmente presenti in diretta durante un disastro o una guerra aumenta la disponibilità a presentare un obolo. È stato così per lo tsunami, l'Ucraina e il Covid. In questo momento ci sono così tanti problemi che probabilmente alcune persone sono riluttanti a donare».

È importante - chiede il giornalista dell'AZ - quanto le persone stiano bene economicamente? «Direi che è più una questione psicologica che economica», risponde l'intervistato. «Non doniamo mai ciò di cui abbiamo assolutamente bisogno, bensì quello di cui abbiamo troppo. E in questo senso il potenziale di donazione è molto più grande. Lo si capisce quando si presenta una situazione molto critica come quella del coronavirus: allora la disponibilità a donare è immediata».

Lo scopo di donazione più frequentemente citato in Svizzera è la conservazione della natura e la protezione dell'ambiente. Seguono, con differenze regionali, le persone con disabilità nonché gli aiuti sociali e di emergenza. «I bambini e i giovani, invece, per lungo tempo al primo posto, hanno perso terreno negli ultimi anni: la percezione sociale sta cambiando e certi temi sono improvvisamente considerati meno importanti».

Stanno però intanto aumentando d'importanza i legati, cioè le attribuzioni per testamento. «Oggi non sono più i quarantenni a ereditare dai sessanta-settantenni, ma i sessantenni da coloro che hanno 80-100 anni: per loro si pone spesso il problema se i discendenti abbiano bisogno del denaro o se sia preferibile donarlo».

Che cosa dire degli stipendi dei numeri uno delle associazioni caritatevoli? Alla testa della Croce Rossa Svizzera si è guadagnato 262'000 franchi nel 2024, presso Caritas 207'000, presso WWF 200'000, presso Helvetas 193'000. «Perché chi fa del bene dovrebbe guadagnare meno di chi crea problemi?», replica il docente universitario. «Ciò che fanno le organizzazioni umanitarie crea un valore aggiunto per la società. Il loro lavoro ha un valore maggiore di quello che può avere un'ottima attività presso Red Bull, per esempio, dove poi la gente ha il diabete. Se si tenesse conto un po' più dei risultati chi è alla testa delle organizzazioni umanitarie dovrebbe essere pagato molto meglio di quanto non si faccia attualmente».

«Molti pensano: 'poiché ho fatto una donazione, qualcun altro deve unirsi a me in questo gesto'. Ma noi diamo dalla nostra abbondanza: quasi nessuno dà in beneficenza il denaro necessario per il cibo degli ultimi cinque giorni del mese. La nostra percezione è però che stiamo facendo un sacrificio e quindi nessun altro dovrebbe beneficiarne, se non chi sta molto male. Ma come possono le organizzazioni umanitarie fare del loro meglio per i poveri o per l'ambiente se non riescono a trovare le persone migliori per farlo perché non vogliono essere attive per salari da fame? Non dico che si debbano versare stipendi esorbitanti, ma dovrebbero essere possibili compensi in linea con il mercato», conclude l'esperto.