Massagno, dieci anni per tentato omicidio
Quella notte del 12 settembre di due anni fa, «l'imputato è giunto in Ticino (in via Nosedo a Massagno, ndr) per regolare delle pendenze con la vittima. Non è stato aggredito, neppure con un coltello, e non ha sparato per difendersi o spaventare la persona di fronte a lui. Volava colpirlo, e ha pianificato il suo agire; è stato un tentato omicidio con dolo diretto». È con questa motivazione che il presidente della Corte delle assise criminali, il giudice Amos Pagnamenta, ha condannato l'imputato, un cittadino rumeno residente in Italia, a 10 anni di carcere, oltre all'espulsione dalla Svizzera per 12 anni. «La sua colpa è molto grave, ha agito per vendetta per ledere la vita di una persona».
Confermato dunque l'atto d'accusa del procuratore pubblico Roberto Ruggeri (anche se la pena inflitta è più severa di quella proposta dal pp, ossia 8 anni e 8 mesi), secondo cui l'uomo alla sbarra da giovedì era partito da casa sua, a Milano, animato dall'intento di farla pagare alla vittima, un suo connazionale 33.enne residente appunto a Massagno, che a sua volta lo avrebbe ingannato per una questione di soldi. Di contro, la legale dell'imputato, l'avvocato Demetra Giovanettina, si era battuta per una pena non superiore ai sei anni.
La vicenda si inserisce come detto in una una questione di denaro tra vittima e aggressore. I due uomini si erano conosciuti nel 2019 ed erano diventati amici, almeno finché nel 2022 il primo non aveva dato al secondo del denaro (almeno 35 mila franchi, ma forse anche 100 mila) da investire in una società. Investimento che però non si era concretizzato. Di qui il risentimento da parte dell'imputato. Ne erano seguiti mesi di pesanti minacce da ambo le parti - la vittima non ha mai accettato i toni usati dall’imputato nei suoi confronti - sia tramite messaggi che telefonate, intervallati da incontri per chiarirsi. Fino al fattaccio, quando il giovane era salito in auto dall’Italia per recarsi armato dal 33.enne.
Versioni contrastanti
L’imputato in aula aveva affermato di essersi sentito minacciato dall’ex amico nella vertenza, e di aver di conseguenza acquistato una pistola - quella con cui poi sparerà - per sua sicurezza personale. Quanto al confronto, aveva dichiarato di aver voluto incontrare il 33.enne di persona per provare a recuperare il denaro, ma di aver poi avuto paura di essere finito in una trappola, dato che la vittima non era da sola. I due sarebbero poi arrivati alle mani e durante l'interrogatorio l'imputato aveva affermato di aver sparato dopo aver visto balenare un coltello. Nel corso dei primi interrogatori di polizia, però, del coltello non aveva mai parlato.
La credibilità
Centrale è dunque stata la credibilità delle parti. La vittima, ha riconosciuto Pagnamenta, «ha fornito versioni discordanti, ma per quanto riguarda l'imputato non si può che gettare un pietoso velo» su quanto affermato. Per la Corte, «quella sera non c'era nessun motivo per il quale l'uomo avrebbe dovuto incontrare la vittima: si erano visti appena due giorni prima per discutere della questione. Se si fosse trattato solo di chiedere la restituzione del denaro, potevano parlarne anche al telefono». Sull'acquisto della pistola, «l'imputato ha fornito spiegazioni contrastanti, ma non è credibile che fosse stata presa per paura della vittima. Se quella sera fosse stato veramente intimorito, avrebbe dovuto andarsene».
A pesare nella commisurazione, della pena l'assenza di collaborazione dell'imputato e una precedente condanna in Italia, oltre alle sanzioni disciplinari comminategli dalle Strutture carcerarie (undici, otto delle quali non sono però state incluse nell'incarto e non sono dunque state considerate). La vicenda approderà con ogni probabilità in Appello.