Politica

«Dopo la medicina, la ricerca e il calcio, è ora di impegnarmi per una Svizzera neutrale e prospera»

Stephan «Steve» Rietiker, 65 anni, è il presidente della neonata associazione Pro Svizzera – «Ho votato Trump e ammiro Blocher»
Andrea Stern
Andrea Stern
23.10.2022 16:07

Christoph Blocher ha pescato un profilo anomalo cui affidare la battaglia in difesa della sovranità e della neutralità elvetica: Stephan «Steve» Rietiker, 65 anni, cittadinanza svizzera e statunitense, medico, imprenditore medtech, maestro di sci, già presidente del Grasshoppers, mai attivo in politica. È lui il presidente della neonata associazione Pro Svizzera, che raccoglie l’eredità dell’Azione per una Svizzera indipendente e neutrale.

Signor Rietiker, chi glielo fa fare?

«Negli ultimi trent’anni sono stato molto all’estero, ho seguito con grande interesse le vicende svizzere ma non ho potuto impegnarmi politicamente. Ora che viaggio meno, credo sia giunto il momento di restituire qualcosa a questo Paese che mi ha dato così tanto».

A cosa serve Pro Svizzera?

«L’obiettivo è inserirsi nei dibattiti, influenzare la narrativa. Non dobbiamo lasciare campo libero solo alla sinistra e ai verdi. Possiamo  anche noi difendere le nostre opinioni».

Perché lo fa lei, che non è un politico?

«Non essendo legato a un partito, posso esprimermi più liberamente. Io sono solo un imprenditore che si impegna per la Svizzera».

Quali sono i suoi obiettivi concreti?

«Preservare la sovranità e la neutralità della Svizzera, ma anche la sua prosperità. Penso che qui la mia esperienza imprenditoriale possa essere utile. Perché non si tratta solo di dire di no, bensì di trovare soluzioni».

La Svizzera ha ancora una neutralità da salvare?

«In relazione al conflitto ucraino non siamo neutrali. Trovo scandaloso che questa settimana Ignazio Cassis sia andato a Kiev. Il presidente di un Paese neutrale sarebbe andato anche a Mosca».

Essere neutrali significa tacere davanti alle aggressioni?

«No. Io condanno ciò che ha fatto Putin. Però non ritengo di avere i mezzi per giudicare una situazione che ha delle radici storiche. Conosco anche ucraini che la pensano così».

Quindi la Svizzera non doveva schierarsi?

«Non doveva accodarsi a uno dei due fronti. Putin è un aggressore, ma allora l’UE dovrebbe impegnarsi anche in Myanmar, per gli uighuri in Cina... Dappertutto. Potrebbe fare il poliziotto in tutto il mondo. Che poi l’UE faccia pure ciò che vuole. Ma non vedo perché la Svizzera dovrebbe abbandonare un modello unico al mondo che ha sempre funzionato molto bene».

Io condanno ciò che ha fatto Putin. Però non ritengo di avere i mezzi per giudicare una situazione che ha delle radici storiche

Lei è anche americano. Crede che gli USA abbiano delle responsabilità in questo conflitto?

«Certo, gli USA giocano con il loro potere, come hanno sempre fatto, a volte bene, a volte meno bene. Io credo che occorra trattare per far finire il più presto possibile questa guerra, che fa male a entrambe le parti. Ma non sono sicuro che sia quello che Joe Biden voglia».

Lei ha votato per Donald Trump sia nel 2016, sia nel 2020.

«Sì, ma senza entusiasmo. Nella mia visione un presidente deve essere integro e favorire l’economia. Né Trump né Biden sono integri. Ma almeno Trump ha fatto bene all’economia, mentre Biden si dimostra molto debole».

Crede che Biden abbia rubato l’elezione?

«No, non andrei così lontano».

Chi potrebbe essere il suo successore?

«Spero sia qualcuno capace di creare consenso, perché il Paese sta diventando sempre meno governabile. Il bello della Svizzera, invece, è di avere un sistema in cui nessuno è troppo potente. Tutti devono parlare con tutti».

Quindi per fortuna che ci sono anche i socialisti.

«(ride)... Non volevo dire questo. Ma è positivo che in Svizzera ci siano diversi poli che governano insieme. Negli Stati Uniti c’è una logica binaria, repubblicana o democratica. Una volta almeno ci si univa dietro al presidente, oggi non è più così. Questo è pericoloso».

Blocher è una persona integra, non farebbe mai certe cose che ha fatto Trump

Chi è il Trump svizzero? Christoph Blocher?

«No. Entrambi sono dei leader che sanno comunicare in modo efficace, ma Blocher è una persona integra, non farebbe mai certe cose che ha fatto Trump».

Chi è Christoph Blocher per lei?

«Io ho conosciuto Blocher solo tre mesi fa, quindi non posso ancora definirlo come un amico. Per me è piuttosto un leader, un modello. Indipendentemente dalle opinioni, io vedo una persona di 82 anni che si impegna a fondo. È ammirevole».

E Marco Chiesa chi è per lei?

«Mi piace il suo modo di fare, è interessante, spero di poterlo conoscere meglio».

Nel comitato di Pro Svizzera ci sono anche i ticinesi Piero Marchesi e Alessandro Mazzoleni.

«Sì, vogliamo rappresentare tutte le regioni e tutte le generazioni. Su questo aspetto dobbiamo ancora lavorare molto».

In effetti in Pro Svizzera i giovani sono rari.

«A breve incontrerò alcuni giovani, ci tengo a integrarne nella nostra piattaforma».

Forse i giovani sono tendenzialmente di sinistra?

«Credo che oggi sia meno una questione di destra o sinistra, quanto di problemi da risolvere. I giovani si politicizzano attorno ai temi».

Boicottare i Mondiali in Qatar? Allora bisognerebbe abbandonare la globalizzazione. E alla fine non ci resterebbe che tornare nelle caverne

Lei è stato presidente del GC per 9 settimane.

«Sì, un po’ come Liz Truss...».

Perché un periodo così breve?

«Ci sono state divergenze sugli aspetti economici, non mi sono sentito di portare avanti un progetto che non condividevo».

C’è troppo denaro nel calcio?

«In Svizzera troppo poco! Vediamo per esempio lo Zurigo. L’anno scorso è stato campione svizzero, poi ha venduto i giocatori migliori e oggi lotta per salvarsi. È triste, siamo su un altro pianeta rispetto a Germania o Inghilterra».

Almeno la Nati è di buon livello.

«Sì, è vero, la Nazionale si è sviluppata bene, lascia ben sperare per i Mondiali in Qatar».

Lei non boicotterà i Mondiali?

«Figuriamoci. Se si vuole boicottare tutto, allora bisognerebbe abbandonare la globalizzazione. E alla fine non ci resterebbe che tornare nelle caverne».