Il calcio svizzero è donna
Il calcio svizzero, storicamente dominato da una forte presenza maschile, sta vivendo una rivoluzione grazie alla crescente affermazione del movimento femminile. L’organizzazione dei Campionati Europei 2025 rappresenta un’occasione irripetibile per consolidare questa crescita, mettere in risalto il talento delle donne del pallone e promuovere un cambiamento culturale e sportivo. Per la prima volta nella sua storia, la Svizzera si prepara a ospitare un evento che potrebbe trasformare il futuro del calcio in rosa nel nostro Paese.
Marion Daube, direttrice del settore femminile in seno all’Associazione Svizzera di Football (ASF), riveste anche il ruolo di project manager per la candidatura a »UEFA Women’s EURO 2025». Con un’esperienza di 13 anni come responsabile delle ragazze del FCZ, la 48enne originaria di Francoforte si è distinta per idee di marketing innovative e per un contributo significativo allo sviluppo del club. Durante la sua gestione, lo Zurigo ha celebrato nove titoli di campionato, sei vittorie in coppa e ha raggiunto per tre volte gli ottavi di finale della Champions League, lasciando un’impronta indelebile nel panorama del calcio sulle rive della Limmat.
Colmare il divario con altre realtà
Trasferitasi in Svizzera nel 2006, Marion Daube ha coltivato il suo amore per il «fussball» fin dall’infanzia, nonostante le scarse opportunità offerte alle ragazze nella Germania dell’epoca.
«Non conoscevo nemmeno il calcio femminile», ricorda. «Da bambina potevo allenarmi con un compagno di scuola, ma a 12 anni mi hanno negato anche questo piacere». Tifosa dell’Eintracht Francoforte e ispirata dallo zio calciatore, la sua passione per il pallone non si è mai spenta, spingendola fino ai vertici del «football» svizzero. «La mia missione è garantire che le ragazze abbiano accesso a questo sport con le medesime opportunità di vivere una carriera da professioniste».
Oggi Marion è impegnata a ridurre il divario tra femmine e maschi, puntando non solo a una maggiore visibilità, ma anche a una redistribuzione più equa delle risorse economiche. «Il divario è ancora enorme. Siamo lontani dalla parità, soprattutto in Svizzera. Viviamo in un paese colto e ricco, ma siamo indietro, in particolare nel movimento riservato alle donne, il cui potenziale da sviluppare resta ancora enorme».
Le difficoltà da superare
Nonostante i progressi recenti, la direttrice del dipartimento femminile ASF riconosce che la realtà elvetica è distante dagli standard internazionali. «Siamo in ritardo rispetto ad altre nazioni, sia per infrastrutture, sia per promozione e presenza delle donne nei ruoli chiave. Anche a livello sportivo, c’è ancora molto lavoro da fare».
Un’altra sfida cruciale è quella di creare un’identità propria per il pallone in rosa, evitando di replicare modelli maschili. «Ci stiamo interrogando su una domanda cruciale: abbiamo le categorie giuste per il calcio femminile? Spesso abbiamo semplicemente copiato dagli uomini, ma ora stiamo lavorando con partner strategici per analizzare e costruire strutture su misura per le esigenze delle nostre atlete», spiega Daube.
Il principale ostacolo resta quello economico: l’alto costo della vita rende complicato attirare e trattenere giocatrici di alto livello. «Per far vivere qui una calciatrice, servono investimenti molto superiori rispetto ad altre realtà», aggiunge. A questo si somma la carenza di strutture adeguate, che limita anche la visibilità del calcio femminile. «Vorremmo giocare più spesso nei grandi stadi, ma non è possibile a causa di impegni lavorativi delle atlete o della mancanza di disponibilità nei fine settimana». Nonostante tutto, Daube guarda al futuro con ottimismo. «I club stanno facendo passi avanti, organizzando partite di cartello in grandi stadi. Non è semplice, ma è un segnale positivo».
Una grande opportunità di cambiamento
Dal 2022, Marion Daube, oltre che essere la donna forte dell’ASF, ricopre il ruolo di project manager per la candidatura della nostra federazione all’Euro 2025. «Questo evento è molto più di una competizione sportiva: è un’occasione unica per creare un cambiamento duraturo. Dobbiamo intervenire su più fronti, dalla promozione di base allo sviluppo del calcio d’élite, dalla formazione alla creazione di modelli di ruolo», spiega. «Il nostro obiettivo è ispirare più donne e ragazze, rendendole visibili in quello che è già lo sport di squadra più popolare».
Daube, però, mantiene un approccio realistico. «Gli Europei non cambieranno tutto dall’oggi al domani. I miracoli richiedono tempo», avverte. A 213 giorni dal calcio d’inizio al St. Jakob-Park di Basilea, dove la Svizzera debutterà, le sfide restano enormi, aggravate dai ritardi causati dalla pandemia, che ha posticipato l’edizione precedente. «Il vero obiettivo è lasciare un’impronta indelebile che vada oltre l’evento e porti benefici duraturi. I fondi della Confederazione offrono un supporto concreto e immediato, ma è cruciale che questo sostegno continui anche negli anni a venire».
Vantaggi e rischi dei social
Marion Daube riflette sull’impatto dei social media nel calcio femminile, sottolineandone sia le opportunità, sia le incognite. «Sono uno strumento fondamentale per comunicare e aumentare la visibilità del nostro sport. Giocatrici conosciute come Alisha Lehmann li usano in modo intelligente, dimostrando come si possa coniugare il ruolo di atleta con quello di influencer». Tuttavia, Daube sottolinea che «il fatto di dover costantemente «postare» o aggiornare può essere pressante, soprattutto per le giovani. I social vanno utilizzati con equilibrio, anche se possono ispirare e creare connessioni».
Pur riconoscendone i rischi, la manager rossocrociata sottolinea il valore dei social per collegare le calciatrici con i loro tifosi e informarli in diretta, ribadendo l’importanza di un uso consapevole. «È essenziale trovare un equilibrio: i social sono utili, ma il senso di squadra e la realtà non devono essere messi in secondo piano». Marion Daube invita a superare l’immagine di perfezione che domina le piattaforme. «Oggi, questi spazi spesso sostituiscono il contatto diretto con i media, ma dobbiamo insegnare alle giovani a distinguere le pressioni online, preservando il loro benessere e il loro ruolo come modelli di comportamento».