Società

«Oggi importante è avere un accesso, non il possesso»

Katharina Lobinger è vice decana della Facoltà di comunicazione all’USI e, sul tema, cita Bourdieu per spiegare il cambiamento in corso rispetto al nostro capitale culturale
© CdT/Chiara Zocchetti
Paolo Galli
Giona Carcano
29.04.2024 06:00

Katharina Lobinger è professoressa di comunicazione online all’USI, oltre che vice decana della Facoltà di comunicazione, cultura e società. «La fruizione di questi prodotti sta subendo trasformazioni molto significative, sia in termini tecnologici che culturali. Da una parte la transizione da formati fisici - pensiamo ai DVD e ai blu-ray - a formati digitali ha cambiato radicalmente il mercato. Dall’altra, sono pure cambiate le nostre abitudini, che riguardano i più giovani ma non solo. Gran parte della popolazione infatti sfrutta i contenuti in streaming o con abbonamenti e non cerca più un complemento fisico. Oggi si tratta solo di scegliere il dispositivo attraverso il quale usufruire di un determinato prodotto; e ne possiamo usare anche diversi, complementari, possiamo passare da un dispositivo all’altro». Dove vogliamo, come vogliamo, quando vogliamo. «E ciò si contrappone a una programmazione rigida come quella rappresentata, per esempio, dalla televisione lineare».

Condividere tra gli algoritmi

La professoressa Lobinger cita uno dei punti fermi delle generazioni precedenti, «le collezioni». Già, quello che poi definisce come «il capitale culturale», già teorizzato da Pierre Bourdieu. Il capitale culturale, infatti, ci permetteva di distinguerci, in qualche modo, anche attraverso ciò che potevamo esibire nelle nostre case, dalle nostre collezioni di libri sino ai nostri dischi. Ci permetteva di «mostrare un certo gusto, ma anche l’appartenenza a una certa classe sociale. È sempre stato così, e valeva anche per i contenuti audiovisivi». Adesso, sottolinea ancora Lobinger, «è più importante avere a disposizione un accesso, più scelte. La distinzione in gran parte si trasferisce lì, al massimo traspare nelle playlist, ma non più nell’acquisto di tutti quegli elementi, i quali semmai restano validi per gruppi sempre più ristretti». Insomma, più di nicchia. Facciamo notare che, semmai, il gusto culturale viene anche mostrato attraverso i social media. «Questo è vero, la condivisione è un elemento importante, ma attenzione perché oggi anche gli algoritmi hanno un forte impatto sulle nostre scelte. E di rimando c’è in corso un dibattito su ciò che davvero ci distingue in ambito di gusti culturali, soprattutto su quanto davvero ci sia di personale ed esclusivo in un contesto sempre più influenzato da processi di scelta algoritmica e di personalizzazione».

Abitudini meno flessibili

Da una parte, quindi, la convergenza tecnologica, dall’altra le nostre abitudini. I due fattori non hanno la stessa velocità di crociera. «Il processo, in corso da tempo, di separazione del contenuto dal suo supporto fisico ha avuto certamente un forte impatto sui commerci. Poi ci sono le abitudini dei consumatori, che sono meno flessibili forse, più resistenti ai cambiamenti. Ma va pur riconosciuto che la popolazione più giovane ormai è cresciuta in questo modo, con queste modalità di fruizione dei prodotti. I ragazzi, forse, non sanno neppure che cosa fossero i CD. Ora stanno cambiando le abitudini delle generazioni precedenti, anche in ambito sociale e culturale. Le conseguenze sono quelle che vediamo. Ma a provocarle è un insieme di fattori. Basti pensare ai miglioramenti nelle connessioni, che ci permettono di essere sempre online». Katharina Lobinger poi cita Zygmunt Bauman, che paragonò il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. «Bauman introdusse anche il concetto del decluttering», l’eliminazione degli ingombri disordinati, «delle cose che non ci servono. Ridurre il tutto al minimo necessario diventa una forma di privilegio, specie nell’età della mobilità. Forse la distinzione si sposta allora lì, nella scarsità piuttosto che nelle collezioni. E i giovani adulti oggi cambiano casa diverse volte, magari anche in Paesi diversi, devono adattarsi velocemente alle condizioni sempre più “liquide” della vita, e allora non conviene nemmeno più avere un accumulo di oggetti con sé. Conviene l’accesso, non più il possesso. I più giovani non devono neppure più smettere di accumulare, proprio perché non accumulano neppure».

Chi sopravvive

E le nicchie? «Esistono ancora, potranno esistere. Basti pensare ai vinili, che lo scorso anno per la seconda volta di fila hanno venduto più dei CD. Ci sono e ci saranno ancora dei revival di alcuni formati mediatici. Ma sarà sempre più difficile avere un impatto più generalista. Pensiamo alla storia di Netflix, nata come azienda di noleggio di DVD e videogiochi, ma passata allo streaming. Anche con i videogiochi andiamo verso la logica dello streaming, del cloud gaming. Non a caso Amazon è scesa in questo campo. La battaglia fisica si giocherà non tanto sui prodotti, d’ora in poi, ma piuttosto, forse, sugli hardware».