Il ricordo

Lillo Alaimo, compagno di una vita

Abbiamo condiviso un’idea di giornalismo inteso come quarto potere oppure come «cane da guardia della democrazia», come ebbe a dire un magistrato che ci assolse dopo una lunga disputa con una clinica ticinese
Giò Rezzonico
29.03.2024 15:30

Proprio mentre stavo scrivendo alcune riflessioni sulla mia esperienza di giornalista-editore e sui conflitti interiori che questo binomio ha spesso comportato, ricevo una telefonata che annuncia la morte di Lillo, il collega con il quale ho condiviso tutte le mie storie professionali.

Lillo è stato per me più di un collega: un amico fraterno, che ha rappresentato e interpretato la mia coscienza giornalistica. Che ha sempre, o quasi, fatto prevalere in me il giornalista sull’editore. In certi momenti ha costituito una spina nel fianco, che mi ricordava le esigenze giornalistiche, spesso in contrasto con quelle editoriali.

Abbiamo condiviso un’idea di giornalismo inteso come quarto potere oppure come «cane da guardia della democrazia», come ebbe a dire un magistrato che ci assolse dopo una lunga disputa con una clinica ticinese. I giornali di cui abbiamo condiviso la direzione («Eco di Locarno», «la Regione», «il Caffè») hanno sempre adottato una linea editoriale indipendente da partiti politici, ideologie o religioni. Non ci siamo mai nascosti dietro la formula ipocrita dell’oggettività, in quanto eravamo convinti che una testata doveva avere un suo collocamento nella società. Ci siamo così sempre identificati in un’area progressista, socialmente aperta, in cui il confronto delle idee si fondava sulla razionalità e sul rispetto reciproco. Mai abbiamo rifiutato o censurato un contributo che esprimesse in modo corretto idee differenti dalla nostra linea editoriale. Assieme, abbiamo insomma cercato di fare un giornalismo corretto e onesto.

Lillo mi raggiunse all’«Eco di Locarno», il giornale della mia famiglia, nel 1981 non appena divenni direttore. Subito mise in mostra il suo approccio moderno al giornalismo. Entrambi avevamo come modello «la Repubblica» di Eugenio Scalfari. Un approccio che in Ticino faticò ad essere capito e accettato. Le inchieste puntigliose e taglienti di Lillo vennero infatti spesso giudicate irriverenti e fecero scalpore in un Ticino abituato a confrontarsi con una stampa molto istituzionale. E a me come editore provocarono non  pochi problemi con forti pressioni politiche da parte delle istituzioni. Questo accadde anche quando l’«Eco di Locarno» si fusionò con il «Dovere» per dare vita a «la Regione». Dopo il divorzio, anche giornalistico, con il gruppo Salvioni, fondammo assieme «il Caffè», che Lillo accudì come un figlio. La testata domenicale si profilò per la sua indipendenza e per le sue inchieste giornalistiche di successo, quasi sempre condotte da Lillo.

Nel corso degli ultimi anni la crisi dell’editoria mi ha costretto a operare scelte editoriali che Lillo ha considerato in contrasto con i suoi principi giornalistici ed i rapporti tra noi si sono raffreddati. Ma Lillo è rimasto e rimarrà il mio partner di sempre, con il quale ho condiviso i momenti più belli della mia carriera professionale. E, per questo, lo ringrazio pubblicamente. Addio, compagno di una vita.