L'editoriale

Più liquidi e leggeri ma con meno sostanza

I nostri gusti non trovano una soddisfazione fisica e non sono più legati alle attese del possesso: un bene o un male?
Paolo Galli
29.04.2024 06:00

«Scusi, ma in questo appartamento dove potremmo prevedere una libreria?». Era bello, l’appartamento, nuovissimo, elegante. Grandi vetrate sulla città, spazi definiti dall’agenzia immobiliare come «moderni», separazioni «intelligenti» tra un locale e l’altro. Ma non una parete che fosse una dove prevedere i libri, i DVD, le colonne di CD. Quelle che una volta chiamavamo «collezioni». La cultura in formato fisico. «Una libreria? Mah». Nessuna risposta. Nei negozi di arredamento, d’altronde, propongono sempre più spesso librerie che piovono dal cielo o che si arrampicano a spirale dal pavimento, fatte apposta per chi non ha pareti (ma neppure alberi - libri -, smentendo Gino Paoli). L’estetica fine a sé stessa, o poco più di questo. I nostri genitori, pur senza formazione accademica, avevano in casa intere enciclopedie, e poi tutte le serie di libri di animali, di sport, gli atlanti, i dizionari, alcune collezioni economiche con i classici del passato, che avvicinavano Dostoevskij a Hemingway. E poi le videocassette. Il tutto catalogato in solide librerie di legno, con tanto di doppie file. Quella era una sostanza (condivisa) che andava ben oltre la forma. Ma gli appartamenti erano progettati per ospitare e contenere famiglie per tempistiche indefinite. Spesso avevano lunghi corridoi, armadi a muro. Gli spazi erano pensati per le persone e per il loro capitale oggettistico, che era anche culturale. Le librerie, ma anche i quadri alle pareti. Un bello, in questo caso, con una chiara funzione, formativa, educativa, oltre che legata all’intrattenimento, al tempo libero.

La chiusura, da parte di MediaMarkt, del suo dipartimento audiovisivo - anche nei due negozi ticinesi - è, in questo senso, un segno dei tempi. Intendiamoci, in passato, in Ticino, avevano già chiuso le videoteche e i negozi di dischi. Sopravvive solo qualche piccola nicchia, ma per il resto ci si affida alle connessioni, al digitale, alle piattaforme. I nostri gusti non trovano una soddisfazione fisica e non sono più legati alle attese del possesso. Sono più immediati e liquidi. E allora anche i nuovi appartamenti vengono costruiti di conseguenza. In futuro, d’altronde, chi si presenterà più ai traslocatori con trenta casse di libri e venti di DVD? Avremo tutto - o meglio, tutto ciò che ci viene offerto - a disposizione all’interno del nostro telefonino, del cloud, delle varie applicazioni. Avremo a disposizione i film dettati dai giganti dello streaming e la musica venduta da Spotify, oltre che proposta in pillole dai social media. Compriamo, già oggi, i videogiochi direttamente dagli store digitali. E i libri? Potremo rimanere aggrappati, se tutto andrà bene, ai nostri Kindle.

Nell’era della mobilità, di quella qualità di vita che tendiamo sempre più a definire attraverso la libertà, piuttosto che nel compimento di questo o quell’altro percorso, sembra che l’importanza del nostro capitale culturale abbia di colpo perso sostanza. Oggi siamo in una fase di transizione, ma ci permettiamo di non essere ancora convinti di poter ritrovare uguale sostanza tra le opportunità offerte dal digitale. E scriverlo non è semplice. Non è semplice, in particolare, evitare di passare per reazionari, attaccati alla nostra impronta materiale per definire ciò che siamo, ciò che abbiamo fatto, il risultato dei nostri investimenti formativi ed economici, degli investimenti dei nostri genitori. Va però aggiunto che, oggi, la leggerezza permessa dalla scarsità di oggetti nelle nostre case, viene comunque sostituita da altri ingombri, che sono poi quelli che determinano - non senza affanni, non senza un costo - la nostra identità digitale. Il problema è che tali ingombri sono condizionati dagli algoritmi. I nostri gusti e il tempo libero sono influenzati da una lettura informatica di ciò che siamo, di ciò che eravamo, con pochi spiragli verso la scoperta. Corriamo il rischio, insomma, di essere più leggeri, ma meno curiosi, meno interessanti e, di fatto, meno liberi.