Cultura

«Agli aspiranti scrittori dico, cercate di capire quale può essere il vostro vero scopo»

A tu per tu con Giulio Mozzi, scrittore, docente di scrittura e curatore editoriale che il prossimo ottobre terrà un corso di letteratura creativa
Giulio Mozzi a Muralto, giovedì scorso, in occasione dell’incontro a Villa Scazziga. © Ti-Press / Samuel Golay
Marco Ortelli
28.04.2024 06:00

Nella cornice di Villa Scazziga a Muralto, Giulio Mozzi ha tenuto giovedì scorso un incontro intitolato «Come pubblicare un romanzo (e vivere felici lo stesso)» curato da Manuela Mazzi. Scopriamo come essere felici (pubblicando).

Lo scrittore e docente di scrittura ha aperto l’incontro con una caratterizzazione della sua attività di curatore editoriale. «Sono un portinaio, il portinaio della cerchia più esterna della cosiddetta Cittadella della Repubblica delle Lettere. Lavoro con persone al loro primo libro, o con persone che magari hanno già pubblicato, ma che non hanno ottenuto visibilità o riconoscimento. La mia specialità è quella di dare proprio questo a chi non viene accolto dal sistema editoriale nel suo complesso o che il sistema editoriale accoglie ma non considera».

Sul mutamento dell’editoria

«Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta molti editori pensavano che fosse loro dovere guidare il pubblico a scoprire bisogni letterari sconosciuti. Poi, essendo troppo costoso guidare il pubblico a scoprire nuovi gusti letterari, hanno deciso che fosse molto più comodo proporre ai lettori i libri secondo i loro gusti. Il mestiere dell’editore, nella grande editoria, è così passato da trovare un bel libro e fare il possibile per venderlo, a trovare un libro che si vende e cercare di venderlo il più possibile».

Le vie della pubblicazione

Chi è mosso dal desiderio di pubblicare trova tre strade davanti a sé. Essere pubblicati da un editore, essere pubblicati dai cosiddetti editori a spese dell’autore e autopubblicarsi. I vantaggi dell’autopubblicazione? «Con investimenti minimi - ha osservato Giulio Mozzi – oggi è possibile farsi il libro da sé e metterlo in vendita attraverso una delle diverse piattaforme esistenti, come Amazon. Basta organizzare il proprio documento secondo le indicazioni richieste, spedirlo e magicamente il tuo libro appare in vendita. Il problema è che nessuno sa che c’è, occorre fare in modo che qualcuno venga a cercarlo. D’altra parte è anche vero che ci sono stati alcuni casi di libri autopubblicati che hanno venduto assai bene». Quanti casi? «Un giorno ci siamo messi a calcolare ed è uscita la probabilità di 1 su 60 mila che riesce a ottenere un certo successo, dove per certo successo si intende vendere un migliaio di copie». Pubblicare da sé può procurare anche un certo vantaggio economico. «Il 35% del prezzo di copertina, 3 franchi e 50 su 10 ad esempio, contro l’1%, se va bene, quando si viene pubblicati da un editore». Gli svantaggi di chi ‘fa da sé’. «Chi si autopubblica non passa attraverso una valutazione, una scelta. Uno dei compiti storici degli editori è quello di garantire la qualità di ciò che pubblicano, o almeno dovrebbe esserlo. È altresi vero che oggi molte persone appassionate di lettura cominciano a non dare così tanto credito agli editori, se ciò che pubblicano è legato a una logica di tipo commerciale e non a una logica di qualità».

Avere qualcuno con cui parlare

Un aspetto essenziale dell’essere pubblicati da un editore, secondo Giulio Mozzi è proprio il fatto di «entrare in contatto con qualcuno che non siamo noi, scrivere non serve a dare soddisfazione al proprio ego ma a cercare sul serio di relazionarsi agli altri». Un avviso agli aspiranti scrittori? «Pubblicare e vivere felici è possibile se si riescono a calibrare le aspettative, voi che avete desiderio di scrivere racconti, romanzi, poesie, opere di teatro… cercate di capire quale può essere il vostro vero, autentico scopo. Faccio fatica a capire le persone ossessionate dall’idea di successo, io so che scrivere e pubblicare mi ha portato negli anni a entrare in relazioni anche profonde con alcune persone, non solo non mi pare poco, non solo mi pare tanto, in sincerità mi pare tutto». La chiusura dell’incontro ha quindi aperto uno spazio alle domande dei presenti, e anche alle nostre...

Ricorda come ha dormito la notte prima… della prima pubblicazione, la raccolta di racconti Questo è il giardino, nel 1993? E l’indomani, le è cambiata la vita?
«Stiamo parlando di trentuno anni fa. Chi si ricorda? Ma credo di aver dormito come il principe di Condé la notte prima della battaglia di Rocroi (e cioè «profondamente», come scrive Manzoni nel secondo capitolo dei Promessi sposi). E: no, l’indomani la mia vita non cambiò, non divenni più alto, né più bello. Andai al lavoro, come sempre. Nel 2001, otto anni dopo, cominciai a lavorare nell’editoria; nel 2011 fondai la mia scuola di scrittura, la Bottega di narrazione. La vita professionale è cambiata, lentamente, un po’ alla volta. Il resto è stato come la vita di chiunque».

Come è giunto a pubblicare la raccolta…?
«Mandai un racconto a Marco Lodoli, perché avevo trovato bellissimo il suo libro Grande Raccordo, e perché mi pareva che quel mio racconto - il mio primo racconto - avesse un certo debito verso di lui. Lodoli lo lesse e ne parlò a un paio di editori. Ricevetti una proposta da entrambi. C’era una grande differenza economica tra le due proposte, ma io scelsi di pubblicare con le persone che sentivo più simili a me».

Non è diventato più alto, però... 
«Riflettendo su cosa significasse pubblicare un libro, concepii il pensiero che in fondo, un libro è come una lunga lettera spedita a destinatari sconosciuti. Compresi che questo modo di immaginare la cosa funzionava. D’altra parte mi sorse un problema, una lettera si rivolge a qualcuno, e quindi implica la possibilità di una risposta, bisognava che il mio libro desse la possibilità a chi lo avrebbe letto di rispondermi. Con l’editore decidemmo di scrivere il mio recapito sul risvolto dell’ultima di copertina. ‘Sei matto, ti romperanno le scatole’, mi disse l’editore. Successe che il primo anno il libricino vendette 1.300 copie e che a scrivermi furono un migliaio di persone… Ricevetti anche una cartolina raffigurante un cavallo, con dietro scritto «Scrivere non le viene bene, si dedichi all’ippica».

Ha scritto, «In generale sono bravo a raccontare storie piuttosto tristi. A molti dei miei personaggi succede di perdere qualcuno, o qualcosa, e di non poterlo più ritrovare..». Come stanno oggi i suoi personaggi tristi?
«Sono personaggi inventati. La loro vita è finita con l’ultima parola del racconto in cui abitano».

Talent scout, se un giocatore (di calcio), lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia, lei come riconosce un talento della scrittura?
«Dall’immaginario. L’immaginario può essere già bello sodo, o ancora in nuce, o magari strampalato e da governare. Ma se un immaginario c’è, anche in assenza di grammatica e sintassi si può tentar di fare una cosa buona».

Scrivere storie l’appassiona, «ma la mia vita non è tutta qui, ci sono cose più divertenti, utili, importanti», ha scritto. Del tipo?
«Lei è mai stato innamorato? Ha mai cresciuto un bambino? Ha mai fabbricato una sedia? Ha mai ascoltato bella musica? Ha mai aggiustato una conduttura dell’acqua? Ha mai fatto una passeggiata? Sono tutte cose belle e importanti. Io mi dedico alla letteratura perché penso di saperla fare benino, ma cerco di non sopravvalutarla. Lavoro nell’editoria perché ho trovato l’occasione di farlo, ed è un lavoro divertente e appassionante: ma non mi sembra che i miei fratelli ingegneri amino il loro lavoro meno di quanto io amo il mio. Mio fratello maggiore progetta pace-maker: è un lavoro importante».

Vivere felici, con e senza pubblicazione, come si fa?
«Questa domanda non concerne la letteratura. Perciò rispondo come potrebbe rispondere chiunque: accettando, accettandosi».

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