Economia

L'industria del petrolio perde lavoratori: colpa della macchina da guerra russa

Da quando è iniziata l'invasione dell'Ucraina, la manodopera si è in gran parte spostata nell'economia bellica, provocando carenze in tutti i settori: ora rischia quello più remunerativo per Mosca
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Red. Online
06.05.2024 12:00

Da quando le truppe di Putin hanno invaso l’Ucraina, nel febbraio del 2022, la Russia è stata presa di mira da numerose sanzioni internazionali. Nonostante i colpi inferti dalle misure restrittive per frenare le entrate nelle casse russe, il settore petrolifero e quello del gas hanno continuato a funzionare senza troppi intoppi, fornendo a Mosca i fondi necessari per  inviare soldati al fronte e acquistare armamenti, droni e munizioni. Stando a Bloomberg, i tassi di perforazioni nell'ambito della produzione petrolifera, lo scorso anno, hanno stabilito un record post-sovietico, mentre le esportazioni di greggio rimangono ingenti, soprattutto grazie a compratori come India, Cina e Brasile. Le esportazioni di gas, invece, dopo aver subito un forte calo nel 2022 e nel 2023, con Gazprom che ha registrato una perdita netta di 6,9 miliardi di dollari, a causa della carenza di flussi verso l’Europa, sembrano destinate a crescere. Il governo russo, ha infatti previsto che quest’anno l’export attraverso i gasdotti si riprenderà grazie al mercato cinese. Tutto bene, dunque? Secondo gli analisti, la situazione non sembra destinata a durare, a causa della carenza di manodopera che sta azzoppando tutti i settori, a parte la macchina da guerra.

L’industria del petrolio e del gas riveste un ruolo cruciale per finanziare l’invasione dell’Ucraina, ma oggi si trova ad affrontare una carenza di forza lavoro causata dalla piena mobilitazione per la guerra. La situazione venutasi a creare sta esacerbando una crisi demografica che dura dagli anni Novanta, ulteriormente peggiorata con la pandemia e con l’invasione dell’Ucraina. Secondo Bloomberg, la carenza di manodopera, a lungo termine, rischia di colpire anche l’industria energetica, ossia quella che permette di finanziare la guerra di Putin. Le aziende energetiche, di fatto, si trovano a dover competere per attirare i lavoratori con l’industria bellica e con l’esercito, facendo fatica a offrire gli stessi salari. Per fare un paragone, il solo bonus di iscrizione per un soldato che decide di combattere in Ucraina vale quasi quanto un anno di stipendio di un lavoratore impiegato nei giacimenti di petrolio e gas.

L’industria energetica è da tempo uno dei datori di lavoro più pagati in Russia, con stipendi che dal 2017 superano la media nazionale di almeno due terzi. Tuttavia, tali somme non possono competere con quelle offerte dall’esercito russo ai soldati a contratto. Oltre al bonus di iscrizione fisso a livello nazionale di 195.000 rubli, ogni regione russa offre un pagamento una tantum alle reclute, che arriva fino a 1 milione di rubli.

Secondo le stime di Kasatkin Consulting, ex centro di ricerca di Deloitte con sede a Mosca, quest'anno il settore petrolifero e del gas russo registrerà una carenza di 40 mila dipendenti. Analizzando i dati della piattaforma di reclutamento russa hh.ru, emerge come nel primo trimestre del 2024 l'industria energetica abbia aumentato il numero di annunci di lavoro online del 24% rispetto all’anno scorso, cercando anche impiegati poco qualificati.

Anna Osipova, responsabile delle comunicazioni esterne regionali presso hh.ru, ha constatato come in Russia oggi si registrino carenze di «elettricisti, autisti, meccanici, saldatori, macchinisti, operai generici, direttori delle vendite, ingegneri progettisti e venditori». A lungo termine, l’economia di guerra russa rischia di cannibalizzare anche il settore energetico, quello più remunerativo, che di fatto permette di continuare a combattere contro Kiev.

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