La testimonianza

Proteste pro-Gaza all'USI? «Parteciperei, ma...»

Abbiamo fatto un giro nel campus luganese per tastare il polso agli studenti e per capire quanto sono «coinvolti» dal conflitto fra Israele e Hamas
© CdT/Chiara Zocchetti
07.05.2024 12:15

Cominciata negli atenei statunitensi, la protesta pro-Gaza si è diffusa in tutto il mondo. È notizia di pochi giorni fa, ad esempio, l'occupazione pacifica dell'Università di Losanna (UNIL). Ieri, per contro, la direzione dell'istituto ha intimato i manifestanti ad andarsene: il tempo delle proteste, insomma, è finito, pur lasciando aperta una porta per il dialogo. E a Lugano, che succede? Qual è il clima che si respira nel campus dell'Università della Svizzera italiana (USI)? Lo abbiamo chiesto ad alcuni studenti. 

Negli Stati Uniti, con epicentro alla Columbia, le proteste hanno «prodotto» oltre duemila arresti. La situazione, già di per sé molto tesa, è stata aggravata se vogliamo dal contesto politico americano. E dal ricordo di altre proteste, quelle contro la guerra in Vietnam. Le posizioni degli studenti, allargando il campo, sono diventate un tema da campagna elettorale in vista delle presidenziali 2024. Di più, la stessa Columbia University di New York, una delle Università più prestigiose al mondo, ha annullato la sua tradizionale cerimonia di consegna dei diplomi. Proprio a causa delle estese proteste contro la guerra in corso nella Striscia di Gaza e il ruolo del governo statunitense, storico (e potente) alleato di Israele. 

Il clima, dicevamo, è teso anche altrove. A Losanna, al di là della natura pacifica dell'occupazione, ma anche se non soprattutto in Francia e nel Regno Unito, dove gli studenti dell'University College di Londra, fra gli altri, hanno chiesto all'ateneo di interrompere ogni legame con l'Università di Tel Aviv e ogni rapporto economico con le aziende produttrici di armi. 

Le proteste, finora, non hanno neppure sfiorato l'USI. Quanto sta succedendo in Medio Oriente, tuttavia, ha catturato l'attenzione anche di chi, quotidianamente, frequenta il campus ticinese. Fra gli intervistati, addirittura, c'è chi si è detto disponibile a partecipare a manifestazioni pacifiche come quelle di Losanna o Ginevra. La maggior parte di chi abbiamo incrociato, analogamente, si è detto dubbioso se non contrario, anche fortemente contrario, alle misure messe in atto dagli atenei statunitensi per porre fine alle proteste. All'USI, in particolare, gli studenti si interrogano sul concetto di repressione. Chiedendosi, fra le altre cose, se quanto successo in America sia o meno una limitazione della libertà di parola e di espressione. Simone, incrociato fra una lezione e l'altra, ha spiegato: «Le persone arrestate negli Stati Uniti avevano commesso qualcosa di oggettivamente illegale, come occupare taluni spazi dell’Università. Non vi è nulla, rispetto a quanto emerso finora, che faccia pensare alla negata libertà d’espressione». Secondo Anna, invece, il modo in cui la protesta è stata sedata «è a tutti gli effetti una restrizione». Visioni discordanti, verrebbe da dire. E come lei, altri la pensano così all'interno del corpo studenti USI. Circa sette intervistati su dieci, rispetto alle persone ascoltate. 

Quanto alle richieste formulate dai manifestanti all'UNIL, fra cui quella di interrompere ogni rapporto di collaborazione con le Università israeliane, concretamente con l'Ashkelon Academic College e l'Università ebraica di Gerusalemme, l'opinione degli studenti USI si divide. C'è chi ritiene che, queste, siano richieste corrette e logiche visto l'andamento della guerra e, se vogliamo, l'accettazione della stessa da parte della società israeliana e chi, invece, considera le Università israeliane completamente slegate rispetto al governo e alla sua linea politica nei confronti di Gaza.