Il commento

Se la Cina si allarga sempre più in Europa

Nonostante le tensioni geopolitiche ed economiche tra i Grandi del mondo, riprende la crescita del commercio internazionale
Alfonso Tuor
08.05.2024 06:00

Nonostante le tensioni geopolitiche ed economiche tra i Grandi del mondo, riprende la crescita del commercio internazionale. È l’incoraggiante messaggio lanciato dalle maggiori organizzazioni economiche sovranazionali (OCSE, FMI e Organizzazione mondiale del commercio). Secondo l’OCSE il volume degli scambi dovrebbe salire del 2,3% quest’anno e del 3,3% l’anno prossimo grazie alla diminuzione dell’inflazione e alla forte crescita americana. In pratica raddoppiare rispetto al 2023. Ad approfittarne maggiormente saranno Germania e Italia che già nei primi tre mesi di quest’anno hanno visto migliorare la crescita delle loro economie grazie all’aumento delle esportazioni. Questo miglioramento non basterà comunque a ritornare ai livelli precedenti la pandemia. Infatti tra il 2006 e il 2015 lo scambio di beni e servizi aumentava a una media annua del 4,2%. Sarà comunque difficile ritornare a questi livelli a causa del confronto tra Cina e Stati Uniti, che è diventato più teso a causa dell’appoggio cinese alla Russia di Putin nella guerra in Ucraina. Ma soprattutto l’amministrazione statunitense vede con apprensione il rafforzarsi dell’economia cinese e in particolare i passi da gigante fatti da Pechino nelle nuove tecnologie e in particolare nel campo delle automobili elettriche, dei pannelli solari, ecc.. Dunque la linea ufficiale è ora di affrancarsi dalla dipendenza dalle forniture del gigante asiatico e di ricostruire una struttura industriale fortemente indebolita negli anni della globalizzazione imperante.

I due Grandi in realtà si sfidano per il primato mondiale e in questa partita gioca un ruolo di primo piano è il commercio tra i due Paesi. Agli occhi di Pechino si presentano in modo diverso gli scogli dell’Unione europea, e in questo contesto si deve leggere la visita di Xi Jinping in Francia. Bruxelles è infatti terrorizzata da un’ondata di esportazioni di automobili elettriche che potrebbero mettere in ginocchio l’industria dell’auto del Vecchio Continente a causa del costo inferiore del 20/30% rispetto a quelle europee, della predominanza nel campo delle batterie (il cui prezzo rappresenta la metà del costo finale) e della buona qualità. Addirittura Bruxelles ha constatato che in un anno le vendite di auto elettriche cinesi sono aumentate del 75% e ora prevede che in poco tempo un’auto su quattro in circolazione in Europa sarà cinese. In proposito l’UE ha lanciato un’inchiesta, che dovrebbe concludersi tra poche settimane, sulle sovracapacità produttive della Cina e sui sussidi statali di cui ha beneficiato l’industria dell’auto. Bruxelles prevede di introdurre dazi preliminari in maggio e in novembre tariffe permanenti. Lunedì scorso nell’incontro all’Eliseo Xi Jinping ha fatto presente al presidente francese Emmanuel Macron e alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che Pechino adotterà contromisure. La posizione europea è comunque debole: la Germania vuole difendere le quote di mercato conquistate in Cina e la Volkswagen ha annunciato una partnership con la cinese Xpeng, i produttori di batterie cinesi stanno costruendo numerose fabbriche in Europa, idem in Ungheria dove sono quasi finite fabbriche che sforneranno auto e la francoitaliana Stellantis sta trattando per vendere alcuni stabilimenti alla cinese Dongfeng. Insomma, tutto lascia prevedere che i dazi, che verranno introdotti da Bruxelles, non saranno così punitivi da scoraggiare l’importazione di veicoli cinesi. L’esito di questa sfida dipenderà dalla capacità dei produttori europei di recuperare il ritardo nei confronti dei concorrenti asiatici in modo da evitare che cresca il deficit del commercio bilaterale tra Cina ed Europa che l’anno scorso ha raggiunto i 291 miliardi di euro. Si tratta di una somma insostenibile che anche Pechino deve contribuire a diminuire favorendo l’import dal Vecchio Continente. Non si può infatti immaginare che possa durare a lungo un rapporto in cui gli europei diventino principalmente i consumatori dei prodotti «made in China».