L'editoriale

Tetto ai premi di cassa malati: obiezioni fondate, segnali sbagliati

Al pari della 13. AVS, approvata con una chiara maggioranza lo scorso 3 marzo, la proposta del PS gode di parecchi consensi nei sondaggi e ha chance di superare l’esame delle urne
Giovanni Galli
07.05.2024 06:00

C’è un qualcosa di «déjà vu» nella campagna di voto sull’iniziativa popolare che stabilisce un tetto del 10% del reddito per i premi di cassa malati. Al pari della 13. AVS, approvata con una chiara maggioranza lo scorso 3 marzo, la proposta del PS gode di parecchi consensi nei sondaggi e ha chance di superare l’esame delle urne. L’ultimo rilevamento demoscopico, effettuato a metà aprile per la SSR dall’istituto gfs.bern, dà all’iniziativa un discreto vantaggio (56%), favorito da un ampio sostegno nelle regioni latine, con un grado di approvazione in Ticino superiore al 70%. La richiesta tocca un altro ambito socialmente sensibile, nel quale i promotori possono far valere gli stessi argomenti usati per il rafforzamento del primo pilastro. Primo fra tutti, la conservazione del potere d’acquisto, eroso sia dal rincaro in generale sia dai continui rialzi dei premi, che non fanno parte del paniere dei prezzi. Una tendenza che si è accentuata negli ultimi due anni, con un aumento complessivo dei premi del 14% e la (probabile) prospettiva di un’ulteriore crescita. Se in marzo si trattava di integrare il reddito dei pensionati, stavolta le compensazioni sono dirette al ceto medio (e medio-basso), che non beneficia di sussidi. Di analogo, però, ci sono le conseguenze per i contribuenti, visto che anche in questo caso l’iniziativa non dice nulla sul suo finanziamento e comporterebbe, in caso di approvazione, una fattura miliardaria, prima per lo Stato e poi in seconda battuta per chi paga le imposte. È possibile che dopo l’approvazione della 13.AVS, sul cui finanziamento si sta già ingaggiando un braccio di ferro in Parlamento, possa esserci la remora di non caricare eccessivamente i bilanci pubblici. Ma anche in questo caso è evidente il contrasto fra un beneficio individuale concreto – un tetto fisso ai premi – e una prospettiva di compensazione dei costi astratta, sorretta dalla speranza che tocchi ad altri il compito di pagare il conto. Potrebbe valere anche in questo caso la tesi del politologo Michael Hermann, secondo cui il rapporto fra popolazione, economia e Stato sta cambiando. Crescono i consensi per un maggiore intervento dell’ente pubblico e s’indebolisce il «Gemeinsinn» (il senso civico) liberale.

Alla votazione popolare manca più di un mese. È quindi possibile che anche i consensi per l’iniziativa subiscano un calo fisiologico tipico delle ultime settimane di campagna. Il risultato è aperto. A differenza della campagna sulla 13.AVS, che si è concentrata in poche settimane, stavolta gli avversari sono partiti in anticipo e hanno più tempo a disposizione. Dalla loro hanno anche solidi argomenti per dimostrare il rovescio della medaglia dell’iniziativa. Mettere un tetto ai premi comporterà un forte aumento della spesa per i sussidi, che poi ricadrà nella misura di due terzi sulla Confederazione. A seconda della crescita dei costi sanitari (e quindi dei premi), entro il 2030 si passerebbe da un supplemento minimo di 7 miliardi di franchi (di cui 5,8 a carico della Confederazione) a uno massimo di 11,7 (9 per la Confederazione), rispetto ai 5,4 miliardi di oggi (ricorrendo a parametri più restrittivi per calcolare il premio di riferimento e il reddito disponibile, gli aumenti sarebbero più contenuti ma comunque a nove zeri). Cifre di tale portata non potrebbero essere compensate solo con tagli di spesa ma richiederebbero anche un forte aumento del carico fiscale, che a sua volta si ripercuoterebbe sulle economie domestiche. Il vero problema è la crescita dei costi sanitari. Aumentando i sussidi non si andrebbe alla radice del male ma se ne curerebbero solo i sintomi. Verrebbero meno anche gli incentivi a scegliere modelli assicurativi più economici e a frenare il consumo di prestazioni.

Eppure, mentre si invocano argomenti fondati, da altri fronti giungono segnali contrastanti. La proposta sul tappeto di istituire, aggirando il freno all’indebitamento, un fondo straordinario di 15 miliardi di franchi per finanziare le spese militari e gli aiuti alla ricostruzione dell’Ucraina rischia di alimentare negli elettori quella sensazione di disinvoltura nella spesa – se ci sono soldi per tutti, rifugiati, aiuti all’estero, Credit Suisse, ce ne sono anche per noi – che aveva contribuito al successo della 13.AVS. Anche i recenti e persistenti dissidi nel mondo sanitario sull’attuazione del nuovo tariffario medico, considerato uno strumento importante per contenere i costi, e la propensione (emersa ultimamente nella Svizzera tedesca) di alcuni attori a riversare le colpe del caro-premi sugli assicurati consumatori di prestazioni, non aiutano. Rischiano, anzi, di avere come effetto quello di rafforzare, in molti, la convinzione che il sistema sanitario sia incapace di riformarsi. Con quale reazione nell’urna non è difficile prevederlo.