L'editoriale

Una tregua per togliere i civili dall'incubo

A Rafah, il rischio di un ulteriore bagno di sangue che tocchi ancora di più i civili è dietro l’angolo
Osvaldo Migotto
08.05.2024 06:00

Sfuma di nuovo la possibilità di un accordo tra l’esercito dello Stato ebraico e gli estremisti di Hamas per una tregua e per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani dei terroristi islamici. Netanyahu, in risposta, ha ordinato l’occupazione del valico di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, al confine con l’Egitto, e la chiusura degli altri valichi della Striscia dai quali entravano già a rilento gli aiuti umanitari per la popolazione palestinese, in buona parte ridotta alla fame.

Si tratta di una nuova tappa del pressing condotto ormai da mesi dal premier israeliano sui terroristi di Hamas e, indirettamente, su tutti i civili rimasti bloccati in un territorio pesantemente devastato da combattimenti e bombardamenti. Dal cielo, riferiscono testimoni oculari, sono giunti nuovi volantini nei quali si chiede a una parte della popolazione di Rafah di lasciare le proprie abitazioni, in previsione di nuovi combattimenti, e di allontanarsi dalla zona. Ma, come fanno notare alcuni osservatori, di luoghi sicuri verso cui fuggire, con cibo, case ed acqua corrente, non ve ne sono più dopo mesi di pesanti combattimenti e ostacoli al passaggio dei convogli umanitari.

Nascosti nei loro cunicoli sotterranei, i tagliagole di Hamas probabilmente se la ridono per l’ondata di indignazione che si è sollevata nel mondo nei confronti del Governo Netanyahu per il pugno di ferro usato sull’intera Striscia di Gaza. Va però ricordato che mentre negli ultimi mesi le condizioni di vita della popolazione palestinese sono drasticamente peggiorate, si può essere certi che i vertici dell’organizzazione terroristica che muovono i fili del conflitto dai loro luoghi di esilio dorati, non si fanno mancare nulla.

Il rischio di un ulteriore bagno di sangue che tocchi ancora di più i civili è dietro l’angolo. L’amministrazione Biden, stando a quanto riferito ieri dalla testata giornalistica statunitense “Politico”, ha bloccato diverse spedizioni di armi a Israele per almeno due settimane. Si tratta di un modo per inviare un messaggio politico forte al Governo Netanyahu. In particolare Washington ha evidenziato che non potrebbe sostenere un'invasione israeliana della città di Rafah senza un piano umanitario appropriato e credibile.

Una pausa nella fornitura di armi allo Stato ebraico impedirebbe a Tel Aviv di rimpiazzare nei propri arsenali parte degli armamenti finora usati nell’assalto al territorio palestinese controllato dai terroristi di Hamas. La drastica mossa dell’inquilino della Casa Bianca sottolinea quanto tesi siano diventati i rapporti tra la sua amministrazione e l’Esecutivo israeliano guidato da Netanyahu. Ma è altamente improbabile che il presidente statunitense tagli completamente gli aiuti militari al suo principale alleato nell’infuocato scacchiere mediorientale.

Biden sin dall’inizio ha sostenuto l’operazione militare dell’Idf (abbreviazione delle forze armate israeliane) nella Striscia di Gaza per dare la caccia ai responsabili dello spaventoso massacro di civili israeliani avvenuto lo scorso 7 ottobre ad opera di Hamas. Tuttavia quando l’intervento armato dello Stato ebraico ha iniziato a causare un numero elevatissimo di morti tra i civili, rendendo estremamente difficile l’afflusso di viveri e medicinali per la popolazione, il presidente americano ha lanciato a Tel Aviv una serie di appelli alla moderazione.

Sotto la spinta delle pressioni internazionali Netanyahu recentemente aveva favorito un afflusso più consistente di aiuti umanitari per i civili della Striscia di Gaza, ma solo le prossime mosse dei contendenti in campo ci diranno se la fine dell’incubo per gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas e per la popolazione palestinese potrà finalmente diventare realtà.