La giornata

Nelle università svizzere un'occupazione contagiosa

Gli sforzi del collettivo che manifesta all’interno dell’UNIL hanno trovato il sostegno di studenti di altri istituti - All’ETH è intervenuta la polizia per liberare gli edifici - A Ginevra la direzione cerca il dialogo
© KEYSTONE / JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Paolo Galli
07.05.2024 22:15

Lo avevano detto. «Eravamo in cento, ora siamo in migliaia». Le parole urlate nei megafoni dai manifestanti lunedì sera erano, sin da subito, suonate come una minaccia. Qualcuno aveva storto il naso. Altri già l’avevano vista arrivare. Ed è arrivata. Ora i potenziali manifestanti sono davvero più di quei mille che avevano popolato l’edificio Géopolis in attesa dell’incontro, poi sfumato, con la direzione dell’UNIL. E l’escalation annunciata è diventata realtà. Quella di oggi è stata una giornata complessa e ha toccato varie università svizzere. E non sono mancate, qua e là, le tensioni. Non mancheranno neppure nei prossimi giorni. D’altronde «ça chauffe», come scrivono i media romandi.

A Losanna si prosegue

La situazione è calda su più piazze universitarie, in particolare proprio su quelle romande, con Losanna quale epicentro delle manifestazioni. E in ognuno dei casi, la direzione del relativo istituto è stata chiamata a incontrare i collettivi occupanti. Le risposte sono state diverse. All’UNIL eravamo rimasti, lunedì sera, alla richiesta da parte dei manifestanti di un incontro con il rettore. Richiesta che non sembrava poter coesistere con l’ordine di sgombero giunto dalla direzione stessa. Ebbene, oggi pare ci sia stato qualche contatto. Il collettivo ha ammesso di essere in comunicazione con la direzione, ma nulla di più. Insomma, le posizioni restano quelle del giorno prima, ma l’occupazione continua. Non così all’EPFL, dove le aree occupate in mattinata sono state liberate nel tardo pomeriggio attraverso il dialogo tra direzione e manifestanti. Un ulteriore incontro tra le parti avrà luogo domani sera.

Tensioni al Politecnico di Zurigo

Se all’UNIL non sono ancora state chiamate in causa le forze dell’ordine, a Zurigo la polizia è intervenuta, sì, per liberare il Politecnico. Che cosa è successo? Lo stesso ETH ha pubblicato un comunicato sul suo sito internet, in cui riassumeva: «Alle 11.30 circa cento persone provenienti da gruppi marxisti filo-palestinesi hanno organizzato una protesta nell’atrio dell’edificio principale. Dopo ripetute richieste di allontanamento, alle quali i manifestanti non hanno aderito, la manifestazione è stata dispersa dalla polizia su richiesta del Politecnico federale». E poi la presa di posizione vera e propria: «L’ETH di Zurigo si considera un luogo in cui opinioni e prospettive diverse possono e devono essere espresse apertamente. Tuttavia, all’ETH di Zurigo non sono accettate azioni non autorizzate. Inoltre i locali dell’ETH Zurigo non sono disponibili per l’attivismo politico. Non è noto se tra coloro che hanno ricevuto l’ordine di abbandonare l’edificio ci fossero anche membri dell’ETH». Insomma, si fa capire come non tutti i manifestanti fossero studenti, anzi. E a tutte le persone interrogate e allontanate è stato chiesto di evitare di ripresentarsi nelle ore successive nella «zona rossa», il Kreis 1, ovvero il centro storico di Zurigo. Probabilmente per evitare nuovi assembramenti ed eventuali nuove tensioni.

Botta e risposta all’UNIGE

Tensioni che si sono fatte sentire anche a Ginevra, all’interno di UNIGE, nella hall del principale edificio, l’Uni Mail. L’assemblea del collettivo CEP-UniGe - dove CEP sta per Coordination étudiante Palestine - si è tenuta alle 16, ma già in mattinata erano state pubblicate le rivendicazioni, simili a quelle già registrate all’UNIL. In particolare, leggiamo nel comunicato, gli occupanti hanno chiesto «una presa di posizione chiara sul genocidio perpetrato da Israele a Gaza», ma anche «la sospensione di ogni collaborazione tra UNIGE e università o istituti di ricerca israeliani». Marco Cattaneo, direttore della comunicazione dell’Università ginevrina, da noi contattato, spiega: «La prima tappa, ora come ora, è mettere sul tavolo e concordare le condizioni del dialogo». Sullo sfondo, mentre parliamo con Cattaneo, si sentono applausi e cori dell’assemblea. Immaginiamo allora che i manifestanti vogliano rimanere, gli diciamo. «Sembra di sì», e sorride, nonostante tutto. «Ma non possiamo aprirci a questi scenari se prima non fissiamo le regole, la forma dell’occupazione. Perché è così: un’occupazione deve rispettare determinate regole, prima delle quali non turbare lo svolgimento dei normali lavori, la formazione e la ricerca». In un successivo comunicato, il rettorato ha sottolineato la situazione «illecita» degli studenti che occuperanno gli edifici dopo le 22.

La posizione di Amnesty

Nei cantoni interessati dalle manifestazioni, non sono mancate le prese di posizione politiche. Su scala nazionale, si è espressa Amnesty International. «In questo momento in diverse università svizzere, studenti e membri del corpo docente si stanno mobilitando in relazione alla situazione in Medio Oriente. Amnesty International segnala che gli atenei devono garantire alle persone il diritto di riunirsi per esprimere le proprie opinioni». Il riferimento è al Politecnico di Zurigo, che «ha già fatto intervenire la polizia». Nel comunicato si legge la richiesta di Alexandra Karle, direttrice di Amnesty: «Chiediamo alle amministrazioni degli atenei di preservare e facilitare il diritto degli studenti a manifestare pacificamente e in tutta sicurezza nei propri campus universitari». E poi ancora: «Chi amministra le università dovrebbe ricorrere alle forze dell’ordine solo come ultima spiaggia, ad esempio in caso di violenza diffusa o di incitamento alla violenza e alla discriminazione». Alcuni partiti vodesi (PLR e UDC in particolare), hanno chiesto però al Consiglio di Stato interventi per liberare gli stabili.

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