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Mega Cap USA: dove si concentrano i capitali istituzionali

Una fase di attesa segnata dalla politica, prima della ripresa
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22.03.2025 05:09

Contenuto pubblicato su mandato del partner inserzionista, che ne assume la responsabilità redazionale.

Un arresto ed una correzione del mercato finanziario possono essere il frutto del venir meno di grandi tendenze che hanno guidato gli investimenti, dell’apparirne di nuove, dello sgonfiarsi improvviso di eccessi speculativi, così come di altre ragioni interne od esterne al sistema, geopolitiche o di altra natura.

Negli Stati Uniti sta accadendo qualcosa di diverso. La fase vissuta dagli indici azionari, guidati dai titoli star dell’Information Technology, che da vari punti di vista può essere considerata eccezionale, sia per quanto concerne il NASDAQ che lo S&P500, in volo per oltre 70 settimane al di sopra della sua media mobile con performance più che consistenti, vira sostanzialmente verso una fase di normalità. Il passaggio dall’eccezionalità alla normalità non dovrebbe essere uno shock.

I megatrend non sono mutati, la forza intrinseca del sistema economico USA permane in tutte le sue componenti, le società fanno utili e registrano buoni cash flow, ma sono piuttosto considerazioni di ordine politico ad aver agito sul sentiment degli investitori: la politica commerciale della nuova Amministrazione Trump, l’imposizione di tariffe in modo talvolta erratico, salvo variazioni successive, le probabili ritorsioni dei partner esteri, le iniziative di politica fiscale, hanno scosso il mercato anche in vista delle conseguenze inflazionistiche e delle conseguenti incerte manovre di politica monetaria da parte della Federal Reserve. E l’incertezza non piace al mercato anche se ormai avvolge ogni elemento del “nuovo ordine mondiale”.

Va anche detto come alcuni dati pubblicati risultino almeno parzialmente distorti. E’ il caso del rapporto della Federal Reserve di Atlanta che, nell’evidenziare una brusca frenata del PIL, considera equilibri commerciali alterati dai flussi eccezionali di import realizzati dagli operatori economici in previsione di possibili dazi. Altri casi di interpretazioni “esasperate” si potrebbero citare.

Si tratta comunque di uno scenario di breve termine dominato, secondo la visione prevalente, da una modesta recessione, da volatilità e da un certo indebolimento del biglietto verde.

Le conseguenze sono state l’abbandono di Wall Street da parte di molti investitori globali, più interessati alla nuova fase del lassismo fiscale promosso dal governo tedesco con il beneplacito dell’Unione Europea, che dovrebbe dare ossigeno ai settori industriali del Vecchio Continente, e alle mosse di sostegno decise dalla Repubblica Popolare Cinese, che ci si augura risultino questa volta più efficaci delle precedenti.

Se è vero che le performance azionarie europee hanno vissuto un momento di gloria oscurando Wall Street, si impongono tuttavia due considerazioni: la prima riguarda il piano fiscale straordinario orchestrato da Bruxelles e da Berlino, da valutare alla luce dei problemi strutturali e delle divisioni che l’Unione Europea conosce. La seconda si lega al dubbio su quanto l’economia europea possa risultare indenne da un’eventuale recessione e/o da un contenzioso con Washington.

Ma tutto questo va inquadrato in un’ottica di breve termine.

A più lungo termine la politica economica del Presidente Trump, quale che possa essere il suo giudizio attuale, appare destinata ad arrecare benefici sostanziali al “sistema America”, fra l’altro in termini di reshoring tecnologico ed industriale, mercato del lavoro, miglioramento del clima sociale e della sicurezza, snellimento del settore pubblico, deregolamentazione ed innovazione del settore finanziario. Un contesto favorevole allo sviluppo del business e dei consumi.

Il principio del “Make America Great Again” può avere un prezzo dato da una maggiore inflazione cui la Federal Reserve è chiamata a rispondere, ma che ha comunque nell’investimento azionario, come la storia finanziaria insegna, un ottimo strumento di protezione a medio-lungo termine.

Fermo restando il mantenimento, in alcuni casi il rafforzamento, dei trend concernenti high-tech, IT e Intelligenza Artificiale, in particolare per quelle società leader con pricing power particolarmente forti, il possibile innalzamento dei tassi da parte della FED favorirebbe ulteriormente il comparto finanziario, dalle banche alle carte di credito. Basti pensare a gruppi ad elevata capitalizzazione, in testa all’indice Dow Jones, quali JP Morgan, Visa, Apple e Microsoft, titoli peraltro oggi particolarmente convenienti.

La sovraperformance dell’indice USA è strettamente legata alla crescita superiore degli utili

Datastream, Julius Baer
Datastream, Julius Baer

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