Barbengo: due donne, due vite parallele
Alla scoperta di Georgette
Partenza nei pressi della chiesa di sant’Ambrogio. Un breve sentiero nel bosco indicato dalla scritta «Casa Sciaredo» scolpita nel legno conduce in pochi minuti a una radura verdissima. Al centro, una costruzione dipinta di giallo, geometrica ed essenziale. Intorno, una corona di boscaglia che si sta facendo invadente. Questo è stato il luogo del cuore di una donna straordinaria.
Georgette Klein nasce nel 1893 a Winterthur, in una famiglia della borghesia colta e agiata. Il padre è direttore della Sulzer, un’importante industria fondata nel 1834; la madre ha origini giurassiane. Sia Georgette che la sorella Marcelle ricevono una buona educazione, studiano musica e hanno la possibilità di laurearsi all’università di Zurigo.
Ma la giovinezza di Georgette è intrisa di insicurezze; il rapporto con i genitori e con il mondo che rappresentano è difficile. Inizia così un percorso di ricerca interiore che durerà tutta la vita. Se nell’ambiente in cui è cresciuta non sembra esserci sbocco per le sue ambizioni professionali, di indipendenza e di crescita personale, la giovane trova invece nella musica e nelle attività tessili – ben viste nella sua classe sociale – uno sbocco che le permetterà di realizzarsi. Un percorso annotato, attraverso riflessioni, pensieri, poesie, su ben 101 diari, scritti dal 1916 al 1963.
Dopo aver presentato alcuni lavori tessili al museo di Winterthur, nel 1920 Georgette riceve l’incarico di progettare una tovaglia: la ricama in seta dando spazio a forme e colori molto particolari e creando un’opera d’arte. La passione per la musica la coltiva invece suonando in un’orchestra della sua città come primo violino.
Da Winterthur a Barbengo
Nel 1928 il padre acquista nel nucleo di Barbengo, località situata sulla collina che domina il Pian Scairolo, la Villa Triulzi; quando un paio d’anni più tardi va in pensione la casa diventa la residenza della famiglia. Georgette prosegue il suo non facile percorso di autocoscienza e di emancipazione.
In quegli anni conosce Luigi Tentori, un contadino-elettricista, e nel 1932 lo sposa, nonostante la disapprovazione dei genitori. Georgette ha 39 anni, per lei inizia una nuova fase della vita. Luigi possiede alcuni terreni su cui coltiva la vigna; ha anche una cantina dove vinifica e produce grappa distillando le vinacce con l’alambicco in rame.
L’artista, colpita in particolare dal promontorio vicino alla chiesa di sant’Ambrogio, da dove lo sguardo spazia sulla pianura in quegli anni ancora verde e agricola, inizia a pensare a una casa a misura delle sue esigenze e in breve tempo la disegna fin nei minimi particolari, pur non avendo alle spalle studi o pratica di architettura. Grazie a Luigi e ad alcuni operai, la costruzione è portata a termine in pochi mesi. Viene chiamata «Casa Sciaredo», che significa «bosco di querce» in dialetto; e in un diario Georgette annota «Qui a Sciaredo, in mezzo al boschetto di querce, io mi appartengo».
Una casa semplice, essenziale, aperta alla luce, al paesaggio e alla natura, con un forte rapporto tra interno ed esterno; costruita a misura di sé, senza rifarsi alla tradizione architettonica ticinese-lombarda, né per la forma, né per i materiali, che sono, per l’epoca, inusuali nel contesto regionale. Vicina, piuttosto, alla nuova architettura nordica, al Bauhaus, a Le Corbusier (con il tetto-terrazzo, su cui Georgette dormiva buona parte dell’anno), Casa Sciaredo ricorda il teatro San Materno sorto ad Ascona nel 1928 ad opera dell’architetto Carl Weidemeyer. Non si sa se Georgette Tentori-Klein abbia avuto rapporti con il mondo variegato del Monte Verità; sicuramente conosceva le dinamiche culturali che muovevano il suo tempo, grazie anche alle letture assidue di giornali (era abbonata alla Neue Zürcher Zeitung e al Corriere del Ticino), riviste e libri (due volte la settimana si recava alla biblioteca di Lugano).
Con la concretizzazione di questo suo progetto, Georgette sembra superare i conflitti che da sempre la lacerano. Certo, il rapporto con Luigi è sbilanciato: lei è colta, ha studiato e viaggiato, è aperta a molte forme espressive e a idee progressiste (in gioventù ha frequentato Fritz Bodmer, intellettuale vicino al socialismo, con il quale era nato un rapporto di amicizia amorosa non compiuto che la segnerà per buona parte dell’esistenza); lui, emigrato in Ticino dalla provincia di Lecco, con due anni di guerra alle spalle, interessato al fascismo, ha un carattere sensibile che virerà su sentimenti depressivi negli anni ’40.
Una feconda vecchiaia a Sciaredo
Insieme vivono in austerità. L’artista si occupa del giardino, coltiva l’orto, alleva conigli (che vende, essendo vegetariana), scolpisce il legno, costruisce burattini e presepi, cuce vestiti, dà qualche lezione di violino ad un unico allievo. Luigi si ammala di depressione e lascia il lavoro, lei lo cura per una decina di anni con dedizione e immensa fatica.
Dopo la morte del marito, nel 1955, riprende con vigore a lavorare nelle varie espressioni artistiche che le sono congeniali. Eclettica e anticonformista, trova forse la sua misura negli anni della vecchiaia. Nemmeno dieci anni più tardi, nel 1963, Georgette muore e Casa Sciaredo soffre per quasi tre decenni di solitudine e abbandono, con la costruzione che va degradandosi e la boscaglia che la stringe sempre più.
Quando scompare anche Marcelle (1986) viene dato seguito alla volontà delle sorelle Klein e la casa-atelier, dopo un accurato restauro, viene messa a disposizione di artisti che possono affittare gli spazi e lavorare nella tranquillità di un luogo magico. La proprietà viene tuttora gestita dalla Fondazione Sciaredo che ha depositato il materiale di e su Georgette presso gli Archivi Riuniti delle Donne Ticino. Ogni anno, in primavera, la fondazione organizza una giornata in cui è possibile visitare la casa-atelier.
I vigneti di Anna Barbara
Se le vigne di Luigi Tentori non ci sono più da tempo, rigogliosi vigneti si scorgono invece non appena attraversato il prato davanti a casa Sciaredo. Sono stati impiantati da Anna Barbara von der Crone e Ueli Kopp alla fine degli anni ’90. «Gli anziani del villaggio – racconta Anna Barbara, che ha studiato agronomia al Politecnico – ricordano che una sessantina di anni fa qui c’era una fattoria con coltivazioni che però a un certo momento ha cessato l’attività. Le autorità del comune di Barbengo ci hanno chiesto se ci interessava creare un nuovo vigneto; per noi era un’esperienza interessante. Abbiamo preso il terreno in affitto, l’abbiamo terrazzato e su circa due ettari abbiamo impiantato ceppi di Merlot, Viognier, Chardonnay e Cabernet Sauvignon. L’appezzamento ha una forma particolare, non è vitato in modo intensivo e su di esso sorgono anche due roccoli che si usavano per la caccia agli uccelli di passo da cui si gode una vista sul lago molto bella. Quando siamo arrivati la Casa Sciaredo non era ancora stata restaurata ed era in cattive condizioni».
Dopo la scomparsa del marito, la produttrice ha potuto contare sulla collaborazione di amici e colleghi per continuare l’attività; nel 2006 ha realizzato il progetto di costruire una cantina, disegnata dall’architetto Piero Conconi, proprio a due passi dall’abitazione di Georgette. Moderna e funzionale anch’essa, come la sua «vecchia» vicina.
Dal 2002 Anna Barbara lavora con Paolo Visini e le loro rispettive aziende si sono unite creando la Cantina Barbengo. Dai vigneti di Sciaredo nascono il Vigoria, il Viognier e in parte il Meridio e l’Irto, vini molto apprezzati. «Ho scoperto la storia della casa leggendo un articolo sulla Neue Zürcher Zeitung diversi anni fa. Ogni tanto abbiamo contatti con gli ospiti. È una storia interessante».
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