Bosco Gurin
L’impronta lasciata a Bosco Gurin dai colonizzatori Walser, arrivati nel XIII secolo attraverso il passo Guriner-Furka, è visibile in diverse costruzioni che si incontrano passeggiando per le strette vie del villaggio. Per meglio organizzare la visita è utile procurarsi il prospetto «Bosco Gurin e i Walser» che si può ottenere gratuitamente presso l'ufficio turistico ad Avegno (così come tutta la collezione «Sentieri di pietra»).
Una delle maggiori particolarità di Bosco Gurin è costituita dalle torbe, di cui rimangono una quindicina di esemplari. «La torba – si spiega nel prospetto sopra citato – è una costruzione in legno edificata su uno zoccolo di muratura che normalmente ospitava la stalla o un ripostiglio. La parte di legno è isolata da un certo numero di funghi, costituiti da gambo (in legno o in muratura), sormontato spesso da una lastra di granito rozzamente arrotondata per impedire ai topi di raggiungere la cella granaria. Quest’ultima era il luogo più sicuro per conservare diversi prodotti quali segale e orzo, proteggendoli dall’umidità e, come già detto, dai roditori».
Un’altra caratteristica Walser sono i cosiddetti «Gadumdschi», edifici con muri a secco e tetto in piode senza porta d’accesso, che servivano come fienili. Se ne trovano diversi ai margini dell’abitato. Numerose sono anche le stalle. Le più antiche, con la parte superiore in legno e il basamento in sasso, sono collocate dietro la chiesa dedicata ai SS. Giacomo e Cristoforo, consacrata nel 1253 e ristrutturata a più riprese.
Camminando lungo le viuzze del villaggio capita di notare sulle facciate di numerosi edifici dei graffiti di Hans Anton Tomamichel. Questo artista, nato a Bosco Gurin nel 1899, all’età di 15 anni si trasferì a Zurigo dove ebbe successo come grafico.
Infine, non si può lasciare il villaggio senza visitare il museo Walserhaus dove sono raccolti oggetti e testimonianze che permettono di immaginare le condizioni di vita del passato. L'antica casa che lo ospita è l’unica del villaggio ancora provvista del «Seelenbalge», una finestrella che, secondo un’antica usanza walser, veniva aperta solo alla morte dell’infermo permettendo così alla sua anima di raggiungere l’eternità.