CITTÀ, PARCHI E VILLAGGI / Villaggi

Brontallo

Questo villaggio da cartolina, situato all’altezza dei 700 metri in Lavizzara, una valle laterale della Vallemaggia, dista poco meno di un’ora da Locarno. Grazie all’impegno di residenti, oriundi, simpatizzanti del villaggio riuniti in varie associazioni e al sostegno della Confederazione, l’ incantevole nucleo in pietra è stato particolarmente rivalorizzato nel corso degli ultimi anni ed è diventato emblema di una realtà montana che è andata lentamente scomparendo. Un percorso etnografico della lunghezza di circa 2 chilometri, adatto a tutti (ai bambini viene proposta una caccia al tesoro), permette di scoprire questo mondo scomparso in 12 tappe con altrettanti punti informativi.
Giò Rezzonico
Carla Rezzonico
Giò RezzonicoeCarla Rezzonico
01.01.2022 12:00

 

 

A Brontallo, la prima immagine «da cartolina» è quella di un nucleo compatto di costruzioni simili per forma, orientamento e materiali. Sono le stalle, raggruppate quasi a proteggersi l’una con l’altra; hanno la muratura in pietra, il tetto in piode e il frontone in legno. Un tempo erano separate dalle abitazioni, costruite in una posizione vicina, ma più protetta da frane e valanghe. Oggi questi edifici rurali sono trasformati in buona parte in case di vacanza e la separazione che esisteva tra i due nuclei non si avverte quasi più. 

Villaggio sorto su un forte pendio, Brontallo viveva di agricoltura e allevamento almeno sin quando, verso la metà dell’Ottocento, la pressione demografica non si fece tale da spingere una parte degli abitanti a emigrare. La storia dell’abbandono graduale della terra e delle attività rurali è simile a quella di altri paesi delle valli alpine. Partiti gli uomini, toccava alle donne arrangiarsi a portare avanti i lavori nei campi, nelle stalle e sui monti, aiutate, nella misura del possibile, dai ragazzi e dagli anziani. 

Il progressivo inselvatichimento del territorio, le occasioni di lavori più redditizi, i cambiamenti socio-economici hanno spostato il baricentro della vita dalle periferie alpestri ai borghi urbani. In poco meno di cinquant’anni il paesaggio è mutato e le valli si sono spopolate. La strada è arrivata a lambire l’abitato di Brontallo nel 1955 ma non ha invertito la tendenza. Nel 1850, c'erano 173 abitanti, nel 2000 se ne contavano una cinquantina.

  

L'itinerario

Partendo dall’info point, appena sopra il parcheggio all’inizio del villaggio, ci si incammina verso «i Palèzz», i palazzi, cioè le case degli emigranti: una serie di quattro edifici costruiti con «i soldi d’America» nella seconda metà dell’Ottocento, uno accanto all’altro, con la facciata che guarda a valle, terrazza con ringhiera in ferro, portone imponente con la data e le iniziali del proprietario.

Davanti all’entrata, piacevoli spazi per vivere un momento di riposo, con panche in pietra, piccoli giardini e un viale ombreggiato da pergole di vigna. Case da ricchi, a quel tempo, pur nel contesto rurale.

La passeggiata continua verso la chiesa, sorta nel XVI secolo e dedicata a San Giorgio (che appare anche sulla bandiera del patriziato). Sulla facciata si ammira un grande San Cristoforo, per tradizione e devozione protettore dei viandanti; sul portale della chiesa, che guarda verso le case, la data del 1653, probabilmente l’anno di un rifacimento. Anche alcune antiche lapidi appese alla parete esterna della parrocchiale ricordano l’emigrazione: da quella in memoria di Giovanni Demartini deceduto in California nel 1879, al «pio ricordo» di Baldassare e Anna Soldati-Demartini fatta posare dalla figlia ormai residente negli USA. Nel vicino ossario si conservano affreschi della fine del Cinquecento, restaurati negli anni 2002-2003, che raffigurano la Crocefissione, la Veronica con il sudario e la Morte, dipinta in forma di scheletro. 

  

Una sosta al forno

Lungo il percorso si incontra poi il forno, usato fino alla metà del Novecento, ora restaurato e messo in funzione per la festa del paese in settembre. Vi si cuoceva pane di segale e la «fiascia», una specie di pane di farina di castagne. Le tappe successive portano al torchio, attivo fin verso il 1960, e alla «casa del magnano», forse l’edificio più antico di Brontallo, come suggerisce la data 1578 sulla facciata. Seguendo la segnaletica si giunge alla piazzetta chiamata «Gesina» (chiesina). Una piccola costruzione richiama le fattezze di una cappella e il toponimo potrebbe essere riferito all’esistenza di un piccolo edificio religioso di cui però sembra non esserci memoria. 

  

I vigneti del sole

Superando il nucleo delle stalle ci si incammina verso i vigneti, situati nella ripida zona chiamata «i Mund», dove un’ampia superficie terrazzata è stata recuperata a partire dal 2003 nell’ambito del Progetto di sviluppo regionale promosso dalla Fondazione Monti e Paesaggio. I lavori hanno permesso di ripristinare i muretti a secco e i pergolati; sono stati messi a dimora più di 700 ceppi di Cabernet Jura e americana, vitigni ritenuti adatti alle particolarità del territorio. Siamo infatti tra i vigneti più alti del Ticino, a circa 700 metri, dove solitamente la vigna stenta a maturare. A Brontallo invece, nonostante la quota, questo problema non c’è, probabilmente grazie all’ottimo soleggiamento e all’esistenza della grande parete rocciosa che trattiene e rimanda il calore sulle viti sottostanti. Infatti questi spettacolari vigneti sono situati proprio ai piedi delle rocce, in uno scenario emozionante fatto di armonie geometriche e di connubio tra natura selvaggia e lavoro dell’uomo. 

 

Le castagne, il mulino, il lavatoio

Per concludere il percorso etnografico si raggiungono la selva castanile e il metato (la «grà»), dove si mettevano le castagne a seccare. A Brontallo ce n’erano una decina. Le castagne erano cibo comune ai Ticinesi dei secoli scorsi che si alimentavano per buona parte dell’anno proprio grazie all’«albero del pane». Così veniva infatti chiamato il castagno per sottolinearne l’importanza. Più in basso si trova un mulino, altro cardine della vita dei nostri antenati, abbandonato però già alla fine dell’Ottocento, forse per problemi legati alla scarsità di acqua. Tornati al nucleo, sosta d’obbligo al lavatoio, edificato vicino a una sorgente nel 1891 e in funzione fino al 1960 circa, simbolo di una vita comunitaria ormai scomparsa. 

 

Un territorio da vivere

La valorizzazione del territorio non si è però fermata al recupero di edifici e di memorie antiche. Si è voluto promuovere un coinvolgimento che guarda non solo al passato ma pure radicato nel presente e, perché no, volto al futuro. E così, il progetto pilota a livello svizzero di Brontallo ha visto anche la creazione di strutture agrituristiche sui monti di Scinghiöra e il sostegno alle attività nel settore primario (costruzione di stalle e di una cantina per la vinificazione, pulizia di pascoli, migliorie delle vie di accesso). Tra le proposte turistiche si segnalano il ripristino della mulattiera tra Brontallo e Menzonio e il Sentiero Lavizzara, ampia rete pedestre tra Bignasco, Fusio e Peccia, da percorrere a tappe per goderne la ricchezza paesaggistica. Autentiche immersioni in una natura splendida e in un mondo in qualche modo incontaminato.

 

 

PER COMPLETARE LA GIORNATA

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