Alambicco centenario e «biaschese DOC»

Un secolo di vita. O quasi. Perché Mario Caccialanza, detto «Spiro», biaschese tutto d’un pezzo, iniziò a distillare col suo alambicco - ambulante! - nel 1920 e oggi suo nipote Alan Wittwer, che ne ha raccolto il testimone nel 1999, si appresta a festeggiare i 100 anni dell’azienda, dopo averla trasformata e ingrandita.
Mario Caccialanza iniziò ad andare su e giù tra Bodio, Giornico, Biasca e Tenero distillando la grappa per i contadini con il suo alambicco a vapore ambulante, inizialmente trascinato dagli asini.

Il carretto con l’alambicco ha proseguito la corsa fin quando Alan, nel 2010, ha deciso di lasciare la sede situata nel vecchio borgo di Biasca per costruirne una nuova, nella zona artigianale del Comune. Da quel momento, l’alambicco da itinerante è diventato stanziale. Di sicuro, se potesse parlare, quel carretto di storie ne avrebbe da raccontare: come sono cambiati i nostri paesi, cos’ha combinato la gente che vi abita, le abitudini di un tempo, com’è migliorata la qualità delle vinacce destinate alla distillazione e molto altro ancora.
Quel che non è cambiato, è quell’alone di mistero e magia che avvolge l’arte della distillazione, tramite la quale si trasforma la materia in prezioso, inebriante liquido che ti avvolge col suo calore, i suoi aromi e i suoi profumi.
La grappa: una specialità ticinese la cui denominazione è condivisa unicamente con l’Italia ed è tutelata nell’ambito dell’accordo firmato con l’Unione europea il 21 giugno del 1999, da non confondere con l’acquavite, anch’essa figlia di una distillazione, ma sostanzialmente diversa.

«In parole povere, la grappa è la distillazione del residuo della vinificazione, mentre l’acquavite si ottiene distillando la frutta fatta fermentare precedentemente» ci spiega Alan Wittwer, strappato per un attimo al suo lavoro, che in autunno, dopo la vendemmia, raggiunge il massimo dell’intensità, anche se non c’è un tempo preciso per distillare. «Si comincia con le ciliegie e poi si va avanti. M’è capitato di distillare anche i kiwi e non è il frutto più strano che abbia lavorato» dice Alan.
Nel suo moderno laboratorio di Biasca, tra vapori che fuoriescono dalla caldaia di rame, il profumo delle vinacce caricate nel contenitore, i controlli delle temperature e della gradazione del prezioso liquido distillato, va in scena un rito antichissimo e si rinnova una tradizione vanto del nostro cantone, ancorché oggidì il consumo di grappa sia tendenzialmente in diminuzione rispetto al passato. «È vero - ammette Widmer - c’è un calo di interesse dovuto principalmente ad un cambiamento nell’evoluzione dei gusti e delle usanze. Da un lato c’è più attenzione ai controlli e la consapevolezza di non poter sgarrare, per cui al ristorante la cena non finisce più col grappino, d’altro canto l’arrivo sul mercato di altre bevande spiritose ha tolto spazio al nostro prodotto, anche perché bisogna riconoscere che oggi la grappa ticinese è troppo forte per i gusti del consumatore, coi suoi 48°/50° in % del volume».

Occorre cambiare strategia e ridurre il tenore alcolico del nostro distillato per eccellenza allora?
«Tutto sommato credo di no, ne andrebbe di mezzo la tipicità della produzione: la nostra grappa è questa, ha una sua precisa caratteristica che non si deve snaturare».
Resta il fatto che anche col cambiamento dei gusti dei consumatori, una buona grappa deve essere ottenuta distillando uva americana. «Assolutamente – risponde Alan Wittwer – ma quando parliamo di uva americana, che ha un sapore del tutto particolare una volta trasformata in grappa, va detto che deve essere coltivata in Ticino: anche in questo caso, la tipicità del prodotto è legata al nostro territorio. Ho provato a distillare uva americana proveniente dal Vallese o dall’Italia: posso garantire che non è la stessa cosa».
Alan Wittwer non ha dormito sugli allori: dal nonno non ha ereditato soltanto la distilleria, ma anche un negozio dove si vendono e si riparano biciclette.
«Nonno Mario era una persona dal talento innato e consapevole di non poter campare solo con i proventi della distillazione, perché si tratta di un’attività limitata ad un certo periodo dell’anno.Per questo motivo decise di aprire un negozio di biciclette; da settembre a febbraio si dedicava alla distillazione della grappa e da marzo ad agosto riparava le biciclette. Sarebbe stato molto contento e orgoglioso di sapere che oggi sono io a occuparmi delle sue “creature”, purtroppo però non ho potuto comunicarglielo. Si ammalò e morì poco prima che io decidessi d’intraprendere questa strada» racconta Alan.

Nel frattempo, l’attività che fa capo all’alambicco si è ingrandita. La Wittwer 1920 (giusta sottolineatura messa lì in occasione dell’imminente centenario) oggi distilla per diverse aziende vitivinicole del territorio e per numerosi privati. La sua linea si compone di nove prodotti, che oltre a grappa e acquavite contemplano anche la distillazione delle ciliegie provenienti dal canton Zugo o Svitto, delle albicocche e delle pere vallesane, la fabbricazione del nocino con le noci ticinesi o del limoncello coi limoni provenienti dalla Costiera Amalfitana.
«Abbiamo mantenuto, in mezzo a tanta tecnologia e modernità, tutto quello che ci è stato tramandato: i segreti, le antiche ricette, la passione e, soprattutto, l’alambicco originale del nonno. La nostra filosofia è lavorare con amore ricevendo in cambio tutta la soddisfazione che i nostri sforzi meritano. Nella nostra distilleria tutto viene lavorato a mano e i nostri prodotti sono praticamente quasi a km zero. Non usiamo nessun prodotto chimico. A completare il km 0 c’è l’utilizzo dell’acqua delle nostre montagne: l’acqua di Santa Petronilla».
Il segreto per distillare una buona grappa? «Sicuramente la qualità della materia prima. Se è buona, è molto difficile fare disastri».