Il caso

Giorgione e la cucina:«Non cuoco, ma oste»

Giorgione nel 2017 a Lugano
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
18.09.2019 21:25

Consumare un pasto insieme costituisce un’occasione di aggregazione e convivialità

In tempi in cui la televisione celebra gli chef stellati facendoli diventare delle star, la cucina diventa “creativa” spingendosi ai confini dell’arte e il cibo che finisce sulle nostre tavole qualche volta non è prodotto dal forno o dalle piastre elettriche, ma da laboratori in cui si celebra la cucina molecolare, può essere rassicurante constatare che si può avere successo ai fornelli anche aggrappandosi ai concetti della vecchia scuola, fatta di molta manualità, utilizzazione di materie prime di qualità, conoscenza del prodotto e del territorio. Uno dei grandi interpreti di questa cucina è sicuramente Giorgio Branchiesi, in arte Giorgione, che abbiamo imparato a conoscere sugli schermi di Teleticino grazie alla trasmissione “Giorgione orto e cucina”.

Giorgione è uno che va diretto alla sostanza delle cose, da pane al pane e vino al vino, e quando si racconta assomiglia terribilmente a quello che vediamo in tivù: simpatico, gioviale, istrionico. Un cuoco verace, insomma.

“Ti correggo – dice – non un cuoco, ma un oste. È diverso. Io non ho fatto una scuola di cucina, ho studiato per diventare veterinario, poi mi sono messo ad allevare bestiame e a cucinare ho cominciato dopo, tenendo ben presente un concetto, quello che consumare un pasto insieme costituisce un’occasione di aggregazione e convivialità” afferma il nostro interlocutore, di origini romane, ma ormai umbro d’adozione, perché da anni si è stabilito a Montefalco, dove gestisce il ristorante Alla via di Mezzo. “In realtà io non sapevo nemmeno di andare in onda su una televisione ticinese e mi ha stupito molto che il Gambero Rosso abbia avuto questa iniziativa. Me ne sono accorto perché ad un certo punto nel mio ristorante sono cominciati ad arrivare molti ticinesi che sapevano tutto su di me e sulle mie attività. Ho scoperto che tramite Teleticino si è sviluppato un rapporto quasi famigliare: mi conoscono, mi raccontano la loro vita, sono parte integrante del mio mondo”.

Facciamo un passo indietro. Oste e non cuoco, men che meno chef dunque...

“Rispetto a quello che vediamo adesso in televisione, ai Masterchef dove ci si arrabbia pure, io faccio un’altra proposta. La cucina intesa come spettacolo non mi riguarda. Direi che c’è una grande distanza culturale tra me e uno chef, perché lo chef studia, si prepara, sta in cucina ed è molto più bravo di me. Il fenomeno mediatico adesso propone una cucina spettacolo, ma così si sta perdendo il senso delle cose, la cultura del cuoco che deve seguire un percorso per la sua formazione. Oggi i ragazzi vedono la tv e dicono che vogliono diventare chef, non cuochi”.

Ma come definirebbe allora Giorgione la sua cucina?

“La definirei basica, di casa, da tavolo di cucina. A me sembra una bella riscoperta, in tempi in cui l’industria alimentare trionfa e ha trasformato l’agricoltura inquinandola con il denaro e negli Stati Uniti si costruiscono ormai le case senza le cucine, perché un fornello a microonde può bastare”.

Non si può nascondere, però, che la cucina delle nostre nonne forse non è la più adatta ai nostri tempi, che richiedono piatti più leggeri, adatti ad uno stile di vita profondamente cambiato.

“A me piace proporre una cucina tradizionale, che esprima quello che io ho imparato in sessant’anni di vita, anche se poi il concetto di tradizionale mi sembra riduttivo. Le mie ricette affondano le proprie radici nella cultura locale, valorizzano un colore, un sapore, un prodotto. Penso sia molto importante, soprattutto al giorno d’oggi, esplorare il territorio che ci circonda, conoscerlo per capirlo e apprezzarne la qualità dei prodotti. In questo senso, con la mia trasmissione e la valorizzazione delle materie prime che utilizzo, sento di stimolare anche il turismo enogastronomico. Quanto allo stile di vita cambiato, consentimi di riderci un po’ sopra: in cucina continuiamo a togliere e tagliare e poi finiamo per essere dipendenti dagli integratori perché abbiamo bisogno di completare la nostra dieta”.

A proposito di diete, cosa mi dice del fatto che la cerchia di vegetariani e vegani si sta allargando sempre più?

“Dico che l’uomo è un animale onnivoro e la carne fa parte della nostra alimentazione praticamente da sempre. Non capisco queste mode che esaltano le privazioni e fanno il gioco, come ho già detto, dell’industria degli integratori. Io allevo animali e ti assicuro che li curo benissimo perché meglio stanno in vita e più buoni saranno quando li cucino. Perché gli animali li allevo per mangiarli, come si è sempre fatto nella nostra cultura che adesso qualcuno cerca di distruggere”.

È vero che le sue trasmissioni televisive non si basano su un copione?

“È verissimo, nel senso che si parte da un’idea di base, dai prodotti che riesco a trovare sul territorio, poi si va avanti, grazie all’esperienza e alle mie conoscenze”.

Si dice che per avere un tavolo al suo ristorante bisogna prenotare con tre mesi d’anticipo. Buona cucina o effetto della popolarità televisiva?

“Vorrei chiarire che l’avventura col Gambero Rosso non ha cambiato la mia vita, ma solo la mia privacy. Sono una persona autentica, sincera, e il ristorante c’era già prima della televisione. Poi è normale che la tv ti dia visibilità e questo aiuta. Nei fine settimana è vero che siamo al completo sino a Natale. Ho stabilito una politica precisa: chi viene da me deve adattarsi a quello che gli offro, cioè un grande buffet di antipasti, una scelta tra due primi, due secondi e due contorni, un bis di dolci. Non c’è trattativa: si mangia quel che c’è, anche perché voglio mantenere certi prezzi e perché ciò sia possibile la gente deve adattarsi a quello che riesco a proporre in base alla stagione, al mercato e a ciò che arriva dal mio allevamento di bestiame”.

Se la sente di dare un consiglio al consumatore? A chi cucina a casa propria?

“Sì, direi a tutti che bisogna andare in giro, prendersi il tempo per guardarsi attorno e scegliere prodotti del posto, autentici, genuini. Oggi con la storia del risparmio sui generi alimentari facciamo danni mostruosi, almeno in Italia si è costretti anche a risparmiare sulla pasta e si pensa che con tre euro sia possibile comprare olio d’oliva di qualità. È bene sapere che non è così”.