Eccellenze gastronomiche

Inganna le maree e crea le prelibate ostriche rosa

Alessio Greguoldo è il «padre» della nuova perla del delta del Po veneto, coltivata nella Sacca di Scardovari grazie a un impianto innovativo e geniale
Renato Malaman
20.07.2020 15:00

Alessio Greguoldo, l’uomo che parla alle maree. Che ci gioca e si diverte persino a crearle quando non esistono. Così che le ostriche rosa arrivate dall’Occitania ci hanno preso gusto a farsi accarezzare da questo andirivieni dolce e lento dell’acqua. Una «coccola» che arriva ogni giorno al momento giusto, quasi come in natura. Così Greguoldo, da volenteroso fiorista nella bottega di famiglia a Polesine Camerini, è diventato anche un valente ammaestratore di ostriche francesi. Così bravo che ora le sue ostriche rosa (rosa per il colore dei riflessi dei loro gusci al sole) sono un vanto per tutta la Sacca di Scardovari e un irrinunciabile piatto forte per la ristorazione del delta e non solo.

Alessio Greguoldo spiega come riesce a creare le maree artificialmente
Alessio Greguoldo spiega come riesce a creare le maree artificialmente

Le ostriche rosa di Alessio Greguoldo si chiamano «Tarbouriech – perla del delta» perché la varietà porta il nome di Florent Tarbouriech, l’ostricoltore francese di Sète che le ha «create» investendo sette anni del proprio lavoro in ricerca e ottenendo - non c’è che dire - un risultato notevole.
Monsieur Tarbouriech è amico di Alessio Greguoldo, anzi parte attiva di questa scommessa un po’ visionaria che per la sua presentazione s’è meritata addirittura un palcoscenico romano e un lancio dell’Ansa. Il mercato ha poi fatto il resto, tanto che oggi l’ostrica rosa del delta del Po è diventata un’eccellenza. Greguoldo ne vende circa 4’000 alla settimana, arrivando ben oltre il confine del commerciale del Veneto. Tanto che fra i suoi convinti estimatori c’è pure lo chef Massimo Bottura, che alla «perla del delta» ha dedicato una serata. Stanno per arrivare anche in Svizzera, visto che il distributore in esclusiva - la Oyster Oasis di Magenta - è lombardo.

Gioca con le maree si diceva. L’ostricoltore polesano lo fa dal cellulare, da dove partono gli input per alzare e abbassare le strutture della coltivazione, a cui le ostriche vengono fissate con un sistema di assi e di corde. Alle ostriche sembra l’effetto della marea, in realtà vengono tirate su e giù dall’acqua salmastra della sacca tramite il telefonino di «mago» Greguoldo. Una coltivazione di tipo verticale, con movimenti motorizzati, alimentati da energia solare o eolica, che suppliscono, appunto, all’assenza in Sacca di maree naturali.

Prima di finire sulle tavole le ostriche vengono maneggiate quindici volte e pulite a mano una ad una. La fortuna di Greguoldo è che la Sacca di Scardovari si è rivelata un habitat ideale per l’ostrica rosa, la fa maturare più in fretta, persino rispetto alle acque di Francia e Irlanda, dove le maree non scherzano. Non solo la maturazione è rapida, ma la qualità finale è superiore, dal livello di riempimento del mollusco nelle valve, alla capacità di sopravvivenza dell’ostrica dopo la raccolta, che arriva fino ai 30 giorni, oltre il doppio rispetto alle ostriche maturate in Francia.

Greguoldo, che per i contenuti innovativi della sua attività (in pratica ha creato delle maree artificiali) ha partecipato al film Digitalife che spiega come il digitale ti può cambiare la vita, dà lavoro fisso ad alcuni ragazzi del luogo. Il suo laboratorio a porte aperte, fissato su palafitte in legno, si affaccia sull’incantevole scenario naturale della Sacca di Scardovari, specchio d’acqua del delta del Po veneto famoso anche per gli altri prodotti della mitilicoltura: le cozze e le vongole. Le prime hanno ottenuto anche la denominazione DOP, a coronamento di un lungo percorso di valorizzazione iniziato nei primi anni ’80.

Frutto di un’alleanza fra cooperative di pescatori e di un approccio corretto nei confronti dell’ambiente. A Scardovari, grazie alla sapiente guida del maestro Giuseppe Rigolin, con i fondi ricevuti dall’Enel quale indennizzo per la presenza nel territorio della centrale elettrica (ora dismessa), i pescatori hanno costruito un impianto di stabulazione per i mitili che ha permesso loro di presentare sul mercato italiano le prime vongole certificate Dop. Anche Alessio Greguoldo iniziò dalle vongole. Poi l’incontro con l’ostrica rosa francese: è stato amore a prima vista!

Con Champagne e Muscadet, ma anche col Durello dei Lessini

Champagne o Muscadet? Fra i ristoratori le ostriche rosa del delta vanno a ruba, nonostante il prodotto abbia un costo adeguato alla sua alta qualità. E ognuno si sbizzarrisce nel cercare l’abbinamento giusto. Enrico Blaresin della Trattoria Alla Busa di San Martino di Venezze (locale da anni al vertice delle guide in Polesine) è un patito del metodo classico dell’Oltrepò pavese, sia base Pinot Nero sia Chardonnay, ma anche del Durello dei Lessini, una bollicina elegante e rara. Da lui l’ostrica rosa non manca mai: «Le prime volte andavo a prenderle di persona a Scardovari – ricorda – Da me arrivano anche da fuori provincia per gustarle».

Francesco Pizzoli, del Canarin, suggestivo rifugio-ristorante affacciato sull’omonima sacca del delta spezza una lancia per tutte le bollicine italiane di qualità: «Dal Franciacorta al Trento Doc - dice - l’ostrica rosa non tradisce mai, è un’esplosione di gusto e ha una persistenza straordinaria». Pamela Veronese dell’Arcadia di Santa Giulia di Porto Tolle, estremo lembo del delta, è stata fra i pionieri dell’ostrica rosa: «È un prodotto che ci dà tanta soddisfazione. Lo presentiamo con orgoglio perché è del nostro splendido territorio. Il matrimonio ideale? L’ostrica rosa è versatile, basta abbinarla con una bollicina di personalità. Anche se non è famosa».

Opinioni differenti su come gustarle

Sono simbolo di raffinatezza e di stile, le vere regine del mare, dal gusto deciso che divide: le ostriche si possono amare alla follia, oppure detestare. Raramente lasciano indifferenti. Questo mollusco pregiato è un invitato di lusso in occasione di una grande cena o di una festa speciale e di regola se ne consumano grandi quantità durante le feste di fine anno. Ma come si mangia un’ostrica e con quale vino la si accompagna? Premesso che solo su una questione c’è unanimità di pensiero, ossia sul fatto che le ostriche devono essere freschissime (comprate la confezione intera, che permette di verificare la data del confezionamento, invece delle ostriche singole che potrebbero essere state dimenticate dal pescivendolo), per tutto il resto le correnti di pensiero si dividono.

Secondo il galateo per esempio, andrebbero mangiate con una forchetta apposita (c’è quella per le ostriche, piuttosto piatta e con rebbi larghi), ma la maggior parte degli estimatori considera che la miglior soluzione sia quella di «succhiare» l’ostrica direttamente dal guscio, senza far troppo rumore.

Poi ci sono i puristi, che considerano blasfemo qualsiasi condimento: si mangiano al naturale, punto e basta, senza masticarle. La maggior parte di noi però aggiungerà due gocce di limone e una spruzzata di pepe. Personalmente dico no al limone, che ne altera il gusto di mare, e sì al pepe, ma con moderazione. Poi c’è il metodo francese, da non trascurare, dato che in Francia sono veri intenditori: si assaggiano con scalogno marinato in aceto, pepe e in accompagnamento a pane tostato con burro salato. Napoleone le adorava condite con un’emulsione a base di poco olio, sale, pepe, succo di limone e Cognac. Quante? In genere se ne servono sei a testa.

E il vino? Anche qui pareri divisi. C’è chi dice che le bollicine uccidono i sapori dell’ostrica e sia preferibile un bianco fermo, meglio se Muscadet. Però, dai, con delle bollicine, bianche o rosé, la classe operaia va in Paradiso... T.B.