La pesca chioggiotta lotta contro la crisi

«Pizzini» scritti con la biro al posto delle offerte sussurrate all’orecchio. Il coronavirus ha cambiato persino le abitudini secolari dei chioggiotti al mercato ittico. I prezzi offerti per le partite di pesce appena scaricate dai pescherecci viaggiano, tra acquirenti e venditori, su fogliettini vergati a penna e passati di mano in mano, anziché attraverso la tradizionale «soffiata» all’orecchio, ora vietata dalle norme sul distanziamento sociale.
I delfini sul litorale di Chioggia
Chioggia, una della capitali della pesca italiana, forte della più grande flotta di pescherecci (380 imbarcazioni attive) e di un mercato ittico di respiro internazionale, sta vivendo una realtà sospesa. Sul litorale è più facile scorgere i delfini (che è pur un gradito ritorno) rispetto a qualche barca in attività. La città poi è deserta e silenziosa, quando per sua stessa natura Chioggia sarebbe l’esatto contrario: colorita ed esuberante, in moto perpetuo. Con quel suo spirito sanguigno - ironico e guascone - e quella parlata inconfondibile: caratteri distintivi che piacciono tanto anche alle migliaia di turisti che ogni anno, dopo la giornata in spiaggia a Sottomarina, affollano Corso del Popolo, le pittoresche calli e i ponti ad arco. Chioggia così irriverente che nella storia ha saputo contrapporre burlescamente il suo popolare gato all’altero e serenissimo leon di Venezia.

La pesca è in ginocchio
La pesca, anima stessa di Chioggia, oggi è in ginocchio. Lungo il canale della Vena, che taglia in due la città, e lungo i moli delle Fondamenta, la maggior parte dei pescherecci è all’ormeggio. Fermati dalla crisi, perché è antieconomico levare l’ancora. Una singola uscita in mare dell’unità di una grossa flotta costerebbe all’armatore 1500 euro soltanto di carburante, più le spese per il personale di bordo, in genere almeno cinque marinai. Alla metà di marzo, quando nell’emergenza venne deciso il fermo totale dell’attività in mare, il volume d’affari scese dell’85%. Un crollo. Poi c’è stata una timida risalita.


A Chioggia la pesca rappresenta la voce economica principale: la sua marineria rientra nel Distretto ittico «Rovigo e Chioggia» creato dalla Regione Veneto: è tra i più importanti d’Europa in termini di filiera, fatturando 800 milioni di euro annui, dando lavoro a 8500 addetti, suddivisi in 2600 imprese. La produzione comprende il pescato fresco, in mare e nelle lagune, l’allevato nelle valli, la molluschicoltura, l’industria conserviera e di trasformazione, oltre alla commercializzazione. In Italia la sola Mazara del Vallo, in Sicilia, compete con il distretto.
Calo del fatturato, ma i prezzi tengono
Al Mercato Ittico di Chioggia, dove è stato ridotto il numero delle aste quotidiane da tre a due (questo sarebbe il momento clou per la pesca), il momento di difficoltà è tangibile.

Con i ristoranti chiusi e le esportazioni di pesce azzurro verso la Spagna ferme (erano numerosi i Tir in partenza ogni giorno), il settore boccheggia. «Il calo adesso si è attestato sul 50 per cento e per fortuna i prezzi tengono - spiega il direttore del Mercato Ittico Emanuele Mazzaro - le sogliole restano sui 16 euro, branzini e calamari sui 18, le seppie 11. Era stato chiesto a marzo un fermo pesca straordinario, ma non è possibile perché a regolarlo sono normative comunitarie e il suo scopo è soprattutto biologico, per favorire il ripopolamento, quindi legato a determinati periodi dell’anno. Noi stiamo venendo incontro agli operatori sospendendo gli affitti per i box e stiamo studiando altre misure anche per la fase 2, quando per esempio dovremo garantire il distanziamento all’interno del mercato. Non vi potranno accedere più di 250 persone contemporaneamente. Almeno un quarto in meno rispetto al solito. Una bella notizia è che pure quest’anno Chioggia ha potuto proporre, seppur in quantità più limitate, le sue famose moeche, i prelibati granchi in muta, eccellenza della nostra laguna».
E la caratteristica pescheria della città? Il mercato al dettaglio dà ancora segnali di vitalità, anche se non tutti i banchi sono aperti. Serve la città, per rifornire ogni giorno il desco dei chioggiotti, ma soprattutto per dare morale, testimoniando la speranza che tra qualche mese la crisi sarà superata. E si potrà festeggiare degustando anche le prelibate seppioline da riva, magari senza sborsare la cifra record di 192 euro al chilo raggiunta il 4 luglio dello scorso anno.

Mitilla, eccellenza gastronomica

Un segnale in controtendenza arriva dalla vicina Pellestrina, isola della laguna veneta (a mezzora di vaporetto da Chioggia) famosa per il suo microcosmo neorealista che affascinò, fra gli altri, anche Pierpaolo Pasolini. La cozza locale, marchiata Mitilla (segnalata di recente anche da Forbes fra le 100 eccellenze italiane), allevata a mare con un sistema che punta al diradamento e alla migliore ossigenazione del singolo mitile, sta sopperendo alla chiusura temporanea dei ristoranti - e di tutto il canale Horeca - grazie ad un approdo calibrato nella grande distribuzione. «Lavoriamo il prodotto a mano e questo migliora la qualità - spiega il produttore Lorenzo Busetto - tanto che sul mercato il prezzo leggermente più alto si sostiene bene».
Più in generale la mitilicoltura della laguna veneta sta fronteggiando bene la concorrenza del prodotto estero. Proprio grazie alla qualità e alla salubrità certificata di cozze e vongole immesse sul mercato. Il marketing intanto sta facendo passi avanti: «Consegniamo il prodotto in modo capillare anche fuori regione, oggi sui 20-25 quintali al giorno - aggiunge Busetto - e presto contiamo anche di preparare delle confezioni assortite: con Mitilla anche le vongole di Chioggia e i particolarissimi fasolari».
