Storia di un fagiolo speciale

Lamon, dove la montagna ha l’anima tosta

L’altopiano del Feltrino, famoso per i suoi pregiati legumi, ha mantenuto un genius loci fortissimo. Dà vita a un patrimonio ricco di valori e ha un rapporto con la Svizzera tutto da scoprire
Renato Malaman
17.08.2020 13:51

Gente tosta quella di Lamon, famosa non solo per la coltivazione dei più pregiati fagioli dell’arco alpino (se non d’Italia). Durante l’occupazione tedesca, nel corso della Seconda guerra mondiale, un «lamonat» ebbe l’ardire di rubare un cavallo al Comando della Wehrmacht. Un atto di coraggio che nessuno ha dimenticato in paese. Oggi sul luogo che fu teatro del fatto c’è persino un’osteria che lo ricorda: al «Cavallino» in contrada Rugna. Una trattoria legatissima alla tradizione gastronomica locale, rilanciata da una ragazza padovana, Annalisa Zuanetti, che ha deciso di stabilirsi a Lamon qualche anno fa, per respirare ogni giorno la pace di questa montagna appartata, genuina, incantevole. Sì, perché Lamon è una conca di rara bellezza, dove la solitudine può arrivare persino a... fare compagnia. Il luogo è un microcosmo di valori piccoli e grandi, carico di un magnetismo ancestrale, dal genius loci decisamente originale. Un altopiano, quello di Lamon, circondato dallo splendido anfiteatro delle Dolomiti Bellunesi e dominato dall’antica chiesa di San Pietro, che già da sola vale la visita per le sue opere d’arte, specie se il cicerone è l’assessore Mariuccia Resenterra. Nella conca di Lamon il tempo sembra essersi fermato. La natura è regina, persino nelle coltivazioni di fagiolo, pettinate come in un arazzo.

Oggi, all’insegna dell’ecosostenibilità e del rispetto della natura, in questa conca si snodano percorsi escursionistici di una bellezza unica, terreno ideale sia per camminatori esperti che per appassionati della mountain bike. Sentieri che invitano all’avventura e al plein air tutto l’anno, perché Lamon in ogni stagione si veste di colori e suggestioni nuove.

Anche l’attuale sindaco Ornella Noventa (nella foto sopra) è una padovana che ha scelto di vivere a Lamon. Nel suo caso seguendo le vie del cuore, mettendo su famiglia con un lamonese. Oggi è impegnata, non soltanto in virtù del suo ruolo di capo della comunità dei «lamonat», nel difendere il particolare patrimonio ambientale e culturale di questo territorio che si estende dai 594 metri della piazza ai 2069 del Monte Coppolo. Un territorio molto esteso, distribuito come un arcipelago in ben 22 frazioni (ciascuna con la propria identità), di cui ben 13 appena mezzo secolo fa, ovvero prima dell’ultima migrazione massiccia (verso la ricca Svizzera in particolare), avevano una propria scuola elementare. Realtà, questa delle scuolette di montagna, su cui sta attualmente lavorando una studiosa di Feltre, Monica De Cet, riportando a galla uno spaccato di straordinario valore antropologico e sociale. I bambini arrivavano a piedi da tutto il circondario, affrontando spesso dei percorsi molto accidentati, specie d’inverno. Ma la traccia lasciata loro dagli insegnanti dell’epoca è tuttora viva nella memoria di tutti.

Un territorio dalla storia lunghissima quello di Lamon, dalle radici lontane nel tempo, rimasto integro proprio perché isolato e protetto dalle montagne. Nell’atrio del municipio c’è lo scheletro di un gigantesco orso preistorico, una meraviglia di reperto. Quando si entra e ce lo si ritrova davanti mette quasi paura, però è la testimonianza tangibile di quanti segreti celi questo luogo. Una riprova? La Necropoli romana di San Donato, uno scrigno di tesori oggi valorizzati con sobrietà e rigore storico nel nuovo Museo Civico e Archelogico. Da Lamon duemila anni fa passava l’antica strada romana Claudia Augusta (nel tratto lamonese detta «via pagana»), sulla cui direttrice transnazionale si è sviluppata nei secoli una ricca e variegata civiltà. Tante civiltà. Come quella dei Cromars, i venditori ambulanti che si spostavano a piedi e portavano la loro mercanzia nelle valli vicine, dentro a cassette portate a spalla a mo’ di gerla.

Ma anche intorno ai fagioli, coltivati sull’altopiano fin dal ‘500, Lamon ha costruito una piccola ma florida economia ante litteram, tanto che ancora oggi questo legume è una importante fonte integrativa al reddito dei lamonesi. E delizia per il palato dei tanti turisti che, specie d’estate, affollano il paese, alla ricerca di silenzio e di sapori autentici.

Le eccellente del territorio: il fagiolo IGP e la pecora "Fea"

Che strano binomio: il fagiolo e la pecora. Eppure insieme costituiscono il vanto di Lamon, i prodotti tipici del suo territorio. Con una storia alle spalle lunga tanto. Il fagiolo presente fin dal ‘500 nei piccoli fazzoletti di terreno e negli orti della conca di Lamon e la pecora, detta la ‘Fea di Lamon’, salvata per il rotto della cuffia dall’estinzione e da cui si ricavano una pregiata lana e l’inimitabile carne affumicata. Prodotti che hanno contribuito a far conoscere questa splendida conca verde, circondata dalle Dolomiti Bellunesi, ben oltre i confini regionali. La cucina tradizionale locale fa perno su questi due pregiati prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento tradizionali.

Intorno ai fagioli Lamon ha costruito una piccola ma florida economia. Lamon che per il suo fagiolo sta affrontando da qualche anno in ambito comunitario europeo uno strenuo contenzioso contro una multinazionale olandese del settore conserviero, rea a detta dei lamonesi di aver creato il marchio commerciale «Borlotti Lamon», ritenuto fuorviante e dannoso per l’immagine dell’IGP Fagiolo di Lamon.

«Ci batteremo fino all’ultimo - promette Tiziana Penco, (nella foto sopra) presidente del Consorzio di tutela, di origine istriana e lamonese adottiva – perché il nostro prodotto è un’altra cosa da quello in scatola che si compra al supermercato. Un altro mondo. Quel marchio commerciale genera confusione». I fagioli di Lamon IGP si esauriscono già dopo poche settimane dalla raccolta. Il prodotto può raggiungere anche i 25 euro al chilo. È alla base di tante ricette tradizionali, come svela Annalisa Zuanetti del Cavallino, che se li sente richiedere spesso ai tavoli. Sono inimitabili.

Annalisa Zuanetti (a destra) del ristorante Al Cavallino ha a cuore le ricette tradizionali di Lamon
Annalisa Zuanetti (a destra) del ristorante Al Cavallino ha a cuore le ricette tradizionali di Lamon

Anche la pecora, la Fea di Lamon, è sempre stata fonte di reddito. Per il suo recupero si sono battuti in tanti e ora è allevata anche da alcuni giovani. Oltre alla carne affumicata regala una lana di particolare pregio con cui abili artigiani locali creano articoli molto raffinati. Milena Palla del laboratorio «I lavori di Penelope» spiega che la lana viene tessuta a mano seconda l’antica tradizione del telaio e che non subisce alcun trattamento con sostanze nocive. I capolavori che crea - ovvero tappeti, centri tavola, capi di vestiario e oggetti vari – non sono soltanto degli originali souvenir, ma anche il simbolo di una sapienza antica, che a Lamon ritrovi anche nell’aria stessa che respiri. La «Fea» è una pecora generosa. (re.mal.)

Quando la terra promessa era la Svizzera

Maria è tornata dalla Svizzera con pochi soldi e tante disgrazie. Emma è stata più fortunata: nella sua valigia per il ritorno in patria ha riposto tante soddisfazioni mietute nel mondo della moda e, soprattutto, una vita serena. Storie di migrazione, che risalgono a quando i migranti erano i bellunesi e la meta era la Svizzera. Storie raccolte in modo informale ma coinvolgente a un tavolo dell’Osteria «Al Cavallino» di Lamon, ritrovo della gente della contrada Rugna e crocevia di chi per motivi diversi ama la montagna e la sua cucina.

Maria Campigotto (a destra) ed Emma Gaio (a sinistra) col passare degli anni non hanno resistito al richiamo atavico della propria terra e una volta in pensione hanno deciso di tornare a Lamon. Come altri che in Svizzera avevano trovato lavoro e opportunità quando – negli anni ’70 - nel Veneto di montagna era dura sbarcare il lunario. Maria Campigotto viveva a Meilen, vicino a Zurigo, e la sfangava consegnando giornali in tutta la città. Lì conobbe Ezio da Roe Alte di Sedico, custode di un biscottificio della Migros, e lo sposò. Oggi è l’unica sopravvissuta di dieci fratelli. Lei di figlie ne ha avute tre, ma sono morte giovani ed è stata dura tirare avanti con quel dolore dentro. Però esce, socializza, sfoglia l’album dei ricordi. Emma invece il marito se l’era trovato svizzero: un ex bancario che dirigeva un negozio di alta moda e ha frequentato i circoli che allora contavano. I figli sono rimasti in Svizzera, lei è tornata a Lamon per dare anche una nuova stagione creativa alla sua vena poetica. Dedica versi alla sua amata terra. Ha scritto libri, ha animato serate, è tuttora piena di energia.
A Lamon sono in tanti ad aver scelto la Confederazione Elvetica per cercare fortuna nei durissimi anni ’60 e ‘70. A Lugano è un lamonese, Severino Malacarne, a guidare la sezione ticinese della Famiglia dei bellunesi nel mondo. A Lamon è sorta la prima cellula della grande galassia dei bellunesi sparsi nei cinque continenti. C’è un bellissimo libro, «Oltre Chiasso – 1946 – 1964: emigrare in Svizzera», scritto con passione e impegno etico da Paolo Conte, che narra anche attraverso tante immagini in bianco e nero la toccante epopea di queste toste popolazioni di montagna che, a prezzo di grandi sacrifici, hanno saputo farsi voler bene in Svizzera e nel mondo. Senza paura, con dignità e abnegazione. (re.mal.)