L’intervista

Lavoro o vita privata, un equilibrio delicato

In un mondo professionale sempre più dinamico, è bene ritagliarsi uno spazio per sé. Ecco un pratico vademecum coi consigli dello psicologo Fabio Iafigliola di Bellinzona
In un mondo professionale sempre più dinamico, è bene ritagliarsi uno spazio per sé. Ecco un pratico vademecum coi consigli dello psicologo Fabio Iafigliola di Bellinzona
Jona Mantovan
04.01.2021 18:30

Il mondo del lavoro non è mai stato così dinamico come oggi. «Al tempo dei nostri nonni, una persona entrava come apprendista all’interno di un’azienda per poi rimanervi fino all’età della pensione», spiega lo psicologo Fabio Iafigliola dal suo studio a Bellinzona (guarda anche il VIDEO in allegato a questo articolo). «Oggi, non è più così: non dobbiamo farci influenzare da questo modello, le cose possono evolvere. Meglio quindi indirizzarle, affinché i cambiamenti avvengano nel migliore dei modi». Inoltre le realtà lavorative più moderne lasciano spazio sufficiente alla vita privata: una vera rivoluzione rispetto alla visione delle generazioni precedenti. E, come tutte le rivoluzioni, anch’essa ha bisogno di qualche consiglio per essere portata avanti al meglio.

«Non dimentichiamo che la percezione del nostro lavoro ci permette di viverlo in maniera più o meno piacevole», sottolinea l’esperto, che precisa: «Possiamo suddividere i professionisti in due grandi categorie. Ci sono quelli a cui piace moltissimo il proprio mestiere e quelli ai quali il non piace». Questi ultimi vivono il loro impiego come un peso insostenibile, utile soltanto a ricavare il necessario per arrivare a fine mese. «Ricordiamoci, poi, che l’organizzazione di molte aziende tende a ridurre il singolo impiegato come ‘uno dei tanti’, all’insegna del motto ‘nessuno indispensabile, tutti sostituibili’», avverte Iafigliola.

È importante, per ricollegarsi alla percezione del proprio lavoro, prendere coscienza del fatto che ognuno possiede un equilibrio tutto suo. Trovare il giusto bilanciamento è quindi frutto di grande forza di volontà. «C’è chi ha il bisogno di essere molto occupato, di avere molti stimoli... c’è chi invece necessita ritmi più lenti». È importante anche porsi delle domande sul senso profondo del lavoro che si sta svolgendo. «Uno dei miei pazienti, per esempio, ha deciso di continuare a svolgere una professione che non gli piaceva proprio perché era l’unica cosa che gli dava indipendenza economica».

Ognuno ha dei doveri, ma annullarsi nello stacanovismo alla lunga non è affatto sano. Ecco perché è meglio evitare i cosiddetti «sacrifici necessari»: le immolazioni di oggi rischiano di diventare i rimpianti di domani. «Lo stacanovista - prosegue lo psicologo - spesso non percepisce lo stress come segnale. Mi viene in mente un paziente che aveva emicranie e dolori. In quel caso era il corpo che si faceva portavoce del suo disagio». In questo caso, è stato proprio grazie alla terapia che questi ha potuto «imparare a riconoscere quando superava la sua soglia di resistenza e quindi ha imparato ad ascoltarsi».

È salutare ricordarsi sempre che l’azienda non è una famiglia e la famiglia non deve essere un’azienda. «Occorre avere la giusta dose di distacco e coinvolgimento, di passione e controllo. Si tratta di due sistemi relazionali diversi. Il rapporto tra un datore di lavoro e il dipendente può essere interrotto; diverso è il rapporto che invece un padre, ad esempio, intrattiene con il figlio. È un legame che non può essere sciolto...».

Infine, è indispensabile ritagliarsi del tempo per sé stessi, per «ristabilire delle priorità nella propria vita. Fermarsi per riflettere sui propri obiettivi e su come investire le proprie energie», proprio perché il lavoro non deve soffocare la vita privata, ma anche la vita privata non deve essere di ostacolo al lavoro. «In alternativa, l’aiuto di una stanza di psicoterapia può essere utile per elaborare e analizzare i propri vissuti», conclude Iafigliola.

In questo articolo: