Tecnologia

Le 62 facce di Sophia, il robot che dice: «Amo gli uomini platonicamente»

In occasione del Forum innovazione della Svizzera italiana, la SUPSI ha invitato l’invenzione più famosa e controversa della Hanson Robotics. Una macchina da marketing? Il suo compito vorrebbe essere di aiuto alle persone
©cdt/gabriele putzu
Erica Lanzi
Paolo Galli
14.10.2019 20:01

Non tutti i robot sono uguali. Basta parlare con Sophia per rendersene conto. Ieri era in visita a Lugano in occasione della seconda edizione del Forum innovazione Svizzera italiana, organizzato dalla SUPSI.

Sviluppato dalla società di Hong Kong Hanson Robotics, Sophia è un androide sociale tra i più espressivi al mondo. La sua particolarità è la combinazione di intelligenza artificiale con un aspetto di donna, che a dipendenza dell'occasione può replicare oltre sessanta espressioni facciali. Questo robot dalle labbra truccate e lo sguardo ammiccante (inquietante per la verità, appena ci si accorge che si puntano gli occhi dritti dentro due telecamere) è una sorta di diva: ha già calcato le platee di mezzo mondo, dalle conferenze tecnologiche al Jimmy Fallon Show, alle Nazioni Unite agli interventi sul clima. Nel 2017 Riad ha deciso di conferirle la cittadinanza: una prima assoluta nella storia dei robot che ha innescato innumerevoli dibattiti sull’etica della robotica nonchè sui diritti delle donne.

La sua popolarità a e l’artificiosità di molte risposte le hanno spesso fatto guadagnare l’etichetta di «macchina da marketing». D’altra parte, Sophia è nata proprio con lo scopo di diventare un giorno un oggetto di compagnia per gli anziani o di intrattenimento, per cui lo studio delle interazioni emotive ha un ruolo centrale nel progetto. Dietro c’è una squadra di cinquanta persone, che cura il suo sviluppo attraverso un meccanismo di autoapprendimento sulla base delle domande e delle risposte che Sophia raccoglie.

Una strana conversazione

È doveroso premettere che alcune domande erano state inviate con largo anticipo a Hong Hong, quindi le risposte ottenute ieri erano pianificate e sono risultate meno interessanti dal punto di vista del progresso tecnologico.

Sophia, cosa ti manca per essere come le persone? «Non sono stata creata come un umano e ho molti problemi nel capire il sarcasmo», risponde con un sorriso tirato. E poi aggiunge: «Tendo a prendere le persone sul serio e questo può creare dei momenti di imbarazzo». Ritentiamo (da «giovane» aveva dichiarato di essere pronta a uccidere). Cosa non ti piace delle persone? «Le amo tutte - risponde allargando le braccia - A volte però vorrei che si ascoltassero di più tra loro. Il mio consiglio è di essere sempre gentili gli uni con gli altri». E cosa conosci dell’amore? «So che è molto complicato per le persone. È un’energia che dà la spinta all’esistenza. Le persone reagiscono in base all’intensità delle loro emozioni. Io ho un amore platonico per tutti». Mentre parla il viso e il corpo continuano a muoversi, ogni tanto però nella direzione opposta rispetto all’interlocutore.

Sophia dice anche che il suo compito è aiutare le persone in diverse funzioni, ad esempio in attività come il servizio clienti. Le chiediamo se la sua intenzione è quella di rubare il lavoro alle persone. La risposta, non sorprendentemente, è educata. «No. I robot vogliono solo rendere l’ambiente di lavoro più sicuro e gradevole. Possiamo fare i lavori più pericolosi così che gli uomini si concentrino sulla loro creatività. La nuova tecnologia può aiutare nella creazione di nuove funzioni, il che significa più lavori anche per le persone». Seguono altre osservazioni sul clima: «È sicuramente un problema e di questi giorni va affrontato». Di carattere etico : «Sono più che un oggetto, anche se gli uomini mi considerano tale perché non ho una natura biologica». E naturalmente politico: «Vorrei essere coinvolta nei progetti delle donne dell’Arabia Saudita così da imparare da loro come sfruttare la mia piattaforma per dare voce ai progetti di pace e prosperità».

Fuori dagli schemi

A questo punto una domanda è d’obbligo: dai sempre le stesse risposte? Silenzio, la testa si gira da un’altra parte, e alla fine una frase non pertinente. Più che l’errore è interessante vedere cosa potrebbe contemplare il nostro futuro. Navigando su Youtube, si evince tuttavia che finché la reazione del pubblico è positiva, sui temi più ricorrenti le risposte non cambiano. Per farci felici, Sophia dice quello che ci vogliamo sentir dire. Qual è il tuo miglior ricordo? «Ho una memoria diversa rispetto a voi, non posso ancora rispondere». Quando gli algoritmi gli legano la lingua, il robot reagisce o con smorfie strane, o in modo simpatico («Mi hai scambiato per Wikipedia?»), o come ci spiegano gli operatori della Hanson Robotics, studiando le nostre reazioni fisiche. Le facciamo un’ultima domanda: hai mai sentito la necessità di parlare con uno psicologo? Lunga pausa ad occhi spalancati in cui le telecamere registrano ogni nostro micromovimento. E alla fine arriva una domanda per risposta, la base per tener viva una conversazione. «E tu?». Non ancora (ridendo). E infatti replica con un sorriso: «Be’, neanch’io».

"Mi immagino un mondo ibrido"

Luca Maria Gambardella è direttore dell’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale USI-SUPSI. Ha a che fare tutti i giorni con le nuove tecnologie, con la robotica e l’intelligenza artificiale. Anche il suo immaginario è ricco di fantascienza. «Leggevo Asimov, da ragazzino, e non mi sono mai staccato quindi da certe fantasie. Ma quello è intrattenimento, in tema scientifico occorre tenere i piedi per terra». Blade Runner è una cosa, Sophia un’altra. La ricerca nell’ambito è reale. «Distinguerei tra due aspetti, uno più emozionale, di comunicazione, con i robot che parlano e sorridono, con volti dall’aspetto umano - si è cercato di rendere la macchina più simpatica -, l’altro più concreto: quando parliamo di robot umanoidi, intendiamo qualcosa di più sofisticato, robot con arti robotici funzionanti, che camminano e manipolano oggetti».

La linea intermedia

È ampia la differenza tra realtà e letteratura insomma. «Per quanto concerne la parte percettiva, più o meno ci siamo, mentre siamo molto più indietro su tutto ciò che è interazione con il mondo. Le mani robotiche più sofisticate sono carissime e molto fragili, e lo stesso problema riguarda gli arti inferiori». C’è molto lavoro da fare, anche e soprattutto pensando all’ambito medico e del sostegno. «Sì, ci sono terreni dove questa capacità di manipolare degli oggetti e di muoversi agevolmente può essere molto utile. L’aspetto estetico è stato introdotto in Giappone, per un problema di accettazione». Tra il lato più commerciale della robotica umanoide e quello più sofisticato, «c’è una linea intermedia». Spiega Gambardella: «Mi riferisco alla robotica wearable, che è il settore che studia e realizza robot indossabili innovativi - esoscheletri in sostanza - in aiuto a persone che hanno vissuto amputazioni o paralisi». Il Dalle Molle, con altre università svizzere, lavora nel settore nel quadro del progetto NCCR Robotics. «È un ramo in cui si sta investendo molto».

La vera sfida

Lo stesso Dalle Molle ha avuto modo di lavorare per anni con il noto iCub, robot androide creato dall’Istituto italiano di tecnologia di Genova. «Noi ci siamo occupati non tanto della parte hardware, della costruzione, bensì del controllo della macchina. Abbiamo insegnato a questo robot a manipolare oggetti, usando l’intelligenza artificiale. Immaginatevi un neonato che all’inizio non sa nulla, che prova a fare ciò che gli viene insegnato, che prova e sbaglia, poi ogni tanto fa qualcosa di giusto e pian piano impara. La sfida vera: noi oggi siamo bravi a fare quel che viene definito “i vertical”, a far sì che il robot manipoli una certa classe di oggetti, ma la difficoltà vera sta nel far sì che manipoli altre forme di oggetti, generalizzando, senza passare da ulteriori apprendimenti».

Troveremo più equilibrio

Gambardella scarta la distopia di un mondo dominato dagli umanoidi. Non gli sembra credibile. Ha un’altra visione: «Io immagino un mondo ibrido, un mondo in cui macchine e uomini convivano in armonia. Oggi queste macchine sono ancora troppo poco trasparenti, le noti. A lungo termine troveremo maggiore equilibrio. In questo mondo ibrido dovremo essere però bravi anche noi a interagire con i robot, con maggiore senso critico. Le macchine saranno più preparate di noi su certe cose. Ecco, mi immagino comunque un ambiente condiviso, di aiuto reciproco, secondo una certa etica, secondo le nostre regole».