Quando i cibi creano dipendenza come l'alcol e le sigarette

Patatine fritte, barrette di cioccolato e bevande gassate, ma anche prodotti surgelati da cucinare al volo nel classico forno a microonde. Sono i cosiddetti cibi ultraprocessati (UPF: ultra-processed food), alimenti confezionati frutto di numerose lavorazioni industriali. Gli esperti li definiscono «prodotti industriali contenenti ingredienti non disponibili nelle cucine domestiche». Nel 2022 uno studio pubblicato sul British Medical Journal (BMJ) aveva descritto i possibili problemi alla salute legati all’assunzione dei cibi ultraprocessati, che, in caso di eccessi, possono portare ad un aumento del rischio di tumore al colon anche del 30%. Questi alimenti sono progettati per ingolosire il consumatore, con il rischio che se ne consumino troppi. Oggi, stando un nuovo studio pubblicato sempre sul BMJ, i ricercatori ritengono che non solo sia difficile resistere agli UPF, ma che questi creino addirittura dipendenza. Già, come le sigarette o l’alcol, ma in maniera diversa, perché non causata da una specifica sostanza (nicotina o etanolo). L'analisi di 281 studi effettuati in 36 Paesi condotta da scienziati provenienti da Stati Uniti, Spagna e Brasile, ha rilevato che il 14% degli adulti e il 12% dei bambini hanno sviluppato una dipendenza da UPF.
L’autrice principale della revisione, la professoressa Ashley Gearhardt dell’Università del Michigan, nel 2009 ha creato la Yale Food Addiction Scale per quantificare il problema. Interpellata dal Guardian, ha spiegato di aver applicato al cibo i criteri diagnostici usati solitamente per alcol, nicotina, cocaina ed eroina. I criteri in questione includono l'assunzione eccessiva, la perdita di controllo sul consumo, il senso di appetito, l'uso continuativo nonostante le conseguenze negative e l'astinenza. Se una persona ha subito due o più di queste categorie nel giro di un anno, accompagnate da significativi disagi o malessere, allora si può parlare di dipendenza da cibo.
La prof.ssa Gearhardt parla di casi di persone con seri problemi di salute, come il diabete di tipo 2, incapaci di rinunciare ai cibi dannosi. E fa un paragone con ciò che spesso accade ai malati di cancro ai polmoni con le sigarette: nonostante la malattia non riescono a smettere di fumare. Chi è affetto da una dipendenza da UPF, solitamente fa molta fatica a rinunciare ad alimenti ricchi di carboidrati raffinati e/o grassi aggiunti. Dolici come caramelle o barrette di cioccolato e snack salati hanno maggiori probabilità di causare dipendenza rispetto, ad esempio, ai latticini vegetali o alle alternative della carne. Anche questi ultimi sono ultraprocessati, ma vengono progettati per uno scopo diverso dal puro piacere (come i primi): sono sostitutivi dei prodotti di origine animale.
Secondo il medico Chris van Tulleken, autore del libro Ultra-Processed People: Why Do We All Eat Stuff That Isn’t Food … and Why Can’t We Stop?, il cibo non può creare dipendenza come l’alcol o il tabacco, ma, spiega al Guardian, «gli UPF non sono veri alimenti. Lo scopo del cibo è fornire nutrimento. Gli scopi principali degli UPF sono il profitto e la crescita economica».
Il concetto del dottor van Tulleken è espresso nello studio reperibile sul BMJ attraverso un esempio: il consumo di biscotti. Quelli fatti in casa contengono burro e zucchero (ovvero grassi e carboidrati), ma la maggior parte delle persone raramente ne mangerà un'intera porzione in una sola volta. Per un pacchetto di biscotti ultraprocessati, però, può essere più difficile riuscire a fermarsi. Questi ultimi, secondo i ricercatori, sono «più accessibili, convenienti e ampiamente commercializzati rispetto a quelli fatti in casa». È dunque più probabile che vengano assunti in quantità tali da sviluppare una dipendenza. In questo caso i biscotti confezionati diventano simili alle sigarette: «I fumatori utilizzano le foglie di tabacco da centinaia di anni», tuttavia, sottolinea lo studio, con «l’invenzione, nel 1880, della macchina per rollare le sigarette è stato possibile crearle in serie. Ciò ha contribuito ad un aumento delle sigarette fumate di oltre il 1.000%». Insomma, sono diventate più semplici da consumare, proprio come i biscotti confezionati.
Secondo il recente studio, la dipendenza da cibo provoca picchi di «dopamina extracellulare nel corpo striato (una componente sottocorticale del telencefalo)». Questi picchi sono simili a quelli causati da alcol e nicotina, e anche i livelli di dipendenza risultano quasi identici (il 14% degli adulti è dipendente dall’alcol, il 18% dalla nicotina).
A differenza dell’etanolo e della nicotina, gli scienziati non hanno però identificato una sostanza chimica specifica responsabile della dipendenza da cibo. In pratica, non c’è una singola molecola che crea dipendenza: una bevanda gassata e uno snack salato sono prodotti molto diversi tra loro, ma entrambi possono dare dipendenza. Il problema, ipotizzano i ricercatori, sarebbe piuttosto dovuto al modo in cui i diversi ingredienti – carboidrati raffinati e grassi aggiunti - interagiscono tra loro.
Un secondo fattore di rischio sarebbe la velocità con cui vengono consumati gli UPF: le sostanze che colpiscono rapidamente il nostro cervello hanno maggiori probabilità di creare dipendenza, motivo per cui le sigarette sono molto più assuefacenti dei cerotti alla nicotina, che rilasciano la sostanza in modo più lento. O la frutta secca che, nonostante sia ricca di grassi, viene digerita dal nostro corpo dopo parecchio tempo, senza quindi un effetto istantaneo di dopamina. Gli UPF, invece, sono concepiti per fornire carboidrati e grassi all’intestino (e al cervello) il più rapidamente possibile.
Un ulteriore fattore di dipendenza, infine, potrebbe essere la presenza di additivi. Queste sostanze aromatiche, infatti, amplificano i gusti dolci e salati in bocca. I ricercatori evidenziano: «Gli additivi alimentari probabilmente non creano dipendenza da soli, ma potrebbero rinforzare gli effetti delle sostanze nell’intestino».
Le dipendenze da cibo, si legge nell’articolo pubblicato sul BMJ, possono causare «disfunzione neurale, impulsività e sbalzi emotivi, nonché un peggioramento della salute fisica e mentale, con conseguente minore qualità della vita».