Quando il coronavirus non ci fa dormire

La pandemia ha influenzato anche il nostro modo di dormire e riposarci: la crisi sanitaria ha infatti portato con sé un forte aumento dei disturbi del sonno, che già prima dell’arrivo del coronavirus erano presenti in un’ampia fascia della popolazione. Una serie di dati significativi, a questo proposito, è stata presentata quest’oggi durante la conferenza stampa della Fondazione Europea del Sonno (European Sleep Foundation, ESF), un’importante istituzione, con sede a Lugano, presieduta da Claudio Bassetti, direttore del Dipartimento di Neurologia dell’Inselspital di Berna e Decano della Facoltà di medicina di Berna. All’incontro hanno partecipato anche Fabrizio Barazzoni, cofondatore con Bassetti della ESF; Mauro Manconi, responsabile del Servizio di Medicina del Sonno presso il Neurocentro della Svizzera italiana di Lugano e Winfried Randerath, direttore medico dell'ospedale Bethanien a Solingen in Germania, entrambi membri del Consiglio di fondazione ESF. La conferenza stampa è stata organizzata per sensibilizzare alla Giornata mondiale del sonno, indetta per venerdì 19 marzo dalla World Sleep Society. Secondo Fabrizio Barazzoni, «i disturbi del sonno rappresentano sempre più un importante problema di salute pubblica: la durata media del sonno negli ultimi 20 anni è infatti diminuita di ben 40 minuti, tra il 3 e il 5% della popolazione assume regolarmente sonniferi. Già prima dell'attuale pandemia, il 30% della nostra popolazione soffriva di insonnia o di altri disturbi cronici del sonno e il 20-30% degli incidenti è dovuto ad attacchi di sonnolenza, mentre circa un terzo della popolazione ha ammesso di essersi addormentato al volante nell'ultimo anno». Un altro problema è la difficoltà da parte di molti medici a delineare con precisione i disturbi del sonno e ad attivare le terapie più adeguate. «Come riferisce uno studio pubblicato il 22 febbraio con il supporto anche dalla Fondazione Europea del Sonno sulla rivista scientifica European journal of neurology (“Insomnia disorder: clinical and research challenges for the 21st century”), esistono ancora carenze significative nelle ricerche epidemiologiche e cliniche condotte fino a oggi, soprattutto per quanto riguarda una più precisa identificazione dei diversi tipi di insonnia, che potrebbe invece consentire una maggiore efficienza in termini di costi e di terapie», sottolinea Bassetti. La Fondazione Europea del Sonno ha attivato diverse iniziative (Master bi-universitario di studi avanzati, “Think Tanks” e formazione continua con la Sleep Medicine Summer School e la Sleep Science Winter School internazionali) proprio per migliorare la conoscenza di questi disturbi. Dal 19 marzo verrà diffusa anche una newsletter mensile di approfondimento (l’iscrizione può essere effettuata sul sito europeansleepfoundation.ch).
Disturbi del sonno e coronavirus
Il SARS-CoV-2 ha effetti sui disturbi del sonno, in modo diretto e indiretto. Le cellule nervose hanno il recettore (la proteina ACE2) utilizzato dal coronavirus per agganciarsi ed entrare, e questo, in caso di contagio, può causare una serie di effetti neurologici: dal calo della percezione degli odori e dei sapori (iposmia e ipogeusia), sino a forti mal di testa, agitazione psicomotoria, stati di coscienza alterata, encefalite, e altro ancora. Solo negli ultimi mesi sono cominciati ad arrivare anche i dati sui disturbi del sonno, e nuove ricerche sono state avviate. Uno studio partirà anche in Ticino, con i riflettori puntati sugli effetti della COVID-19 sulla sindrome delle gambe senza riposo (Restless legs syndrome, in inglese), che provoca contrazioni notturne delle gambe, con movimenti incontrollati e irrequietezza. Su questo tema, Mauro Manconi spiega: «I pazienti COVID sembrano soffrire di “Restless” in misura maggiore, rispetto a chi non è colpito da tale disturbo. Lo studio partirà in maggio e riguarderà almeno 300 persone con infezione pregressa, o in atto. Oltre al Neurocentro, parteciperanno anche alcuni istituti di ricerca italiani: Auxologico San Luca (Milano); San Raffaele (Milano); Mondino (Pavia); Auxologico Piancavallo (Pordenone). Lo studio è finanziato da un “grant” dell’Istituto Auxologico». Al momento non è ancora del tutto chiaro come e perché il coronavirus influisca sul sonno, ma si ipotizza che il SARS-CoV-2 possa avere un effetto specifico sulla melatonina, l’ormone che regola il ritmo sonno-veglia. Al di là degli effetti diretti della COVID-19 sui pazienti, vanno considerate anche le conseguenze psicologiche della pandemia, tra timore per la salute, restrizioni, problemi economici e tutto quello che stiamo vivendo dal 2020: nella popolazione si sono accentuati i disturbi del sonno. Una ricerca dell’Università di Southampton, in Gran Bretagna, eseguita la scorsa estate su 15 mila persone, ha rivelato per esempio che una su 4 riferiva difficoltà a dormire (prima della pandemia questa percentuale era di una su 6). Il fenomeno è apparso particolarmente evidente nelle donne: l numero di quelle che dormivano male è passato dal 18,9% al 31.8% (contro l’11,9% diventato 16,5% tra gli uomini). Anche in Cina si sono visti numeri simili: in base a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica «Sleep Medicine» dai ricercatori di varie università, e condotto su 5.400 persone, l'insonnia al limite della soglia (“subthreshold”) nella popolazione generale è passata dal 14,6% al 20.6%, in seguito alla diffusione del coronavirus. Tassi preoccupanti si sono registrati anche in Italia, come segnalato da uno studio pubblicato sulla rivista «Frontiers in Psychiatry», i cui risultati hanno mostrato una prevalenza di insonnia clinica del 18,6%, rispetto ai dati di riferimento europei del 10,1% e italiani del 7,0%. Questi problemi riguardano ovviamente anche negli operatori medico-sanitari, sottoposti a situazioni di fortissimo stress durante la pandemia. I neurologi dell’Università di Ottawa, in Canada, hanno effettuato una revisione di 55 studi dedicati al tema, che hanno coinvolto 190 mila persone tra medici e altri operatori sanitari: stando ai dati pubblicati sulla rivista scientifica «Psychiatry Research», insonnia, depressione, ansia e stress post-traumatico sono aumentati in media dal 15 al 24%.
Terapie per l’insonnia
Secondo Mauro Manconi: «L’insonnia non è un sintomo da sopprimere, ma è una malattia da curare, con gli strumenti terapeutici adeguati». Esistono infatti terapie specifiche che possono essere prescritte dagli specialisti di medicina del sonno: quale trattamento di prima linea non vi sono i classici sonniferi, ma la terapia cognitivo-comportamentale, definita CBT-I. È però fondamentale, naturalmente, tutelare la qualità del riposo. A volte, spiegano gli esperti, portano aiuto anche semplici accorgimenti: per esempio, non bisogna lavorare con il computer nel letto, consultare il telefono subito prima di dormire, né eccedere con le notizie. È utile regolare i ritmi circadiani esponendosi alla luce naturale al mattino, e poi mantenere una suddivisione dei tempo anche se si lavora in casa, riservando ai pasti un ruolo specifico e regolare.