Romy Schneider moriva 30 anni fa

ROMA - Gli occhi color oceano torbido, un fascino ineguagliabile e disperato, attrice-feticcio di Claude Sautet e Luchino Visconti e poi contesa dai più grandi, da Losey a Chabrol, da Costa-Gavras a Tavernier. Romy Schneider ebbe una vita che, se le regalò il successo sul lavoro, non le risparmiò le ferite dell'anima e i lutti più atroci. Moriva 30 anni fa, in una tiepida notte parigina: seduta su una poltrona, la penna in mano, sul tavolo una lettera interrotta.
A scoprirla, il mattino del 29 maggio 1982, fu Laurent Pétain, il suo ultimo, giovane, compagno. Romy aveva 44 anni. Il medico parlò di arresto cardiaco, ma molti sospettarono il suicidio. Un mix di alcol e sonniferi, connubio fisso per lei da quando, un anno prima, aveva perso il figlio David, 14 anni, morto in un tragico incidente scavalcando il cancello di casa. Un dolore fatale, aggiunto a troppi altri: il tormentato legame con Alain Delon, il suicidio del primo marito Harri Majen, il divorzio dal secondo Daniel Biasini, da cui nascerà la figlia Sarah, oggi anche lei attrice.
Rosemarie Magdalena Albach-Retty, questo il suo vero nome, era nata a Vienna nel 1938, figlia d'arte, da un padre donnaiolo e una madre invadente risposatasi con con un uomo che aveva per la piccola Romy un'interesse al limite del morboso, raccontano le cronache. La madre Maria, ex stella dell'impero cinematografico nazista, le impose la strada della recitazione a soli 15 anni. «Volevo vivere e allo stesso tempo fare dei film. Non ho mai trovato l'uscita da questa contraddizione», amava raccontare. A soli 17 anni interpretò «La principessa Sissi», primo film della trilogia (vd video) che la rese famosa (vista da più di 25 milioni di persone). La grande fama si trasformò però presto in un peso per Romy, che si sentiva oppressa e inquadrata in un ruolo. Per questo nel 1957 girò la commedia «Montpi» con Helmut Kaeutner.
La svolta nella carriera avvenne sul set de «L'amante pura» (1958) di Pierre Gaspard-Huit, dove conobbe Alain Delon. L'incontro fu fatale e non ben visto in Germania. La relazione sentimentale portò Romy Schneider a trasferirsi a Parigi. Seguirono produzioni prevalentemente francesi o italiane con grandi registi quali Luchino Visconti, Alberto Bevilacqua (»La Califfa»), Bertrand Tavernier («La morte in diretta»), Jacques Deray (»La piscina», sempre con Delon), Dino Risi («Fantasma d'amore»). Tra i suoi partner al cinema anche Orson Welles, Woody Allen, Anthony Perkins. Dal 1969 al 1978 col regista francese Claude Sautet girò ben cinque film, tra cui i successi «Le cose della vita», «La ragazza e il commissario». Nel 1972 la Schneider fu per un'ultima volta Sissi nel film «Ludwig» di Luchino Visconti, un'interpretazione però molto lontana dall'esordio. Nella seconda parte della sua carriera non recitò quasi mai in Germania, eccezion fatta per «Foto di gruppo con una signora» tratto dal romanzo di Heinrich Boll.
Il suo fascino era legato alla malinconia, a una ferita segreta che lei tentava di mascherare con l'ironia e la passione. Delon (che non si perdonò mai di non averla sposata) non smise mai di amarla e Romy lo sapeva: erano passati quasi vent'anni da quando si erano lasciati. Alain venne avvertito della morte improvvisa dell'attrice e si precipitò da lei. Quel giorno volle restare da solo per diverse ore a vegliarla e le scrisse una lettera: «Ti dico addio, il più lungo degli addii, mia Puppele», «Penso a te, a me, a noi. Non verrò in chiesa né al cimitero, ti chiedo perdono». Secondo il quotidiano «Bild», la Stasi nel 1976 aveva aperto un fascicolo nei confronti dell'attrice. A suscitare l'interesse sarebbe stato il sostegno a un movimento d'opposizione, il Schutzkomitee Freiheit und Sozialismus. La Schneider - si legge negli atti - non avrebbe solo versato soldi, ma avrebbe anche reclutato nuovi membri, come Yves Montand e Simone Signoret. Accuse difficili da confermare: il fascicolo viene chiuso nel 1982, a pochi giorni dalla sua morte.
Un fascino immutato quello dell'attrice austriaca: non ha ancora un volto la prossima Romy Schneider dello schermo, ma la a coppia di Raymond (produttore) e Géraldine Danon (regista) non ha dubbi: «Non pensiamo a un classico biopic, ma un dramma concentrato sui giorni del suo ultimo film, quando Romy stava già male e cercava un'ultima ragione di vivere».