Sarà un supervulcano a seppellirci?

Al mondo ne sono recensiti una dozzina: sono i supervulcani, caldere che possono arrivare a un’estensione di decine di chilometri. Uno dei più noti è quello statunitense di Yellowstone ma ne abbiamo anche uno alle porte di casa. O quasi. È quello dei Campi Flegrei, situati tra Pozzuoli e Napoli. Il termine supervulcano non appartiene al linguaggio proprio della vulcanologia, perché è stato coniato dagli autori di Horizon, programma di divulgazione scientifica trasmesso dalla britannica BBC nell’ormai lontano 2000. Fatto sta che il termine è quanto mai azzeccato per quelle mega-caldere che nella storia di questo nostro pianeta sono state all’origine di ciclopiche eruzioni, tanto grandi da cambiare in tutto e per tutto il paesaggio dove sono state recensite e di influenzare anche per anni e anni il clima di tutta la terra. Di che far apparire delle quisquilie – senza voler mancare di rispetto nei confronti di coloro che li hanno dovuti subire – gli eventi degli ultimi tempi, ossia il risveglio dell’Etna e quello del vulcano all’origine dello tsunami che ha provocato centinaia di vittime in Indonesia.
Le conseguenze dell’attività di un supervulcano sono assolutamente gigantesche e catastrofiche, tanto che la scomparsa dell’uomo di Neanderthal, per esempio, appare anche legata all’attività di una gigantesca caldera esplosa in Campania, non così lontano dai Campi Flegrei. Un fenomeno avvenuto 39.000 anni or sono e che costituisce quella che a tutt’oggi è la manifestazione più recente di un supervulcano su suolo europeo. Il clima cambiò a tal punto – ci fu una sorta di lungo e ininterrotto inverno – da ridurre flora e fauna in modo drastico, togliendo così il sostegno alimentare agli uomini di Neanderthal, il cui destino fu poi la scomparsa totale. Un’estinzione magari già inevitabile ma che sicuramente venne accelerata da questa catastrofe naturale, secondo più ricercatori.
Gli scienziati hanno stabilito che l’eruzione più violenta nella storia del nostro pianeta è avvenuta 600.000 anni fa nel parco di Yellowstone, il cui supervulcano eruttò 950 chilometri cubi di materiale. Un evento di grado 8 – quello massimo – sulla scala VEI, acronimo di «Volcanic Explosivity Index». Si parla di tempi remotissimi ma l’ultima esplosione di un supervulcano è ben più recente. È quella del Tambora avvenuta nel mese di aprile del 1815 in Indonesia, di grado 7 sulla scala VEI e con conseguenze pesanti anche a livello climatologico. Infatti, il successivo 1816 è passato alla storia come l’anno senza estate nel nostro emisfero, quello nord. Le ceneri e i gas del Tambora finiti nell’atmosfera ebbero come conseguenza alluvioni, basse temperature e precipitazioni abbondanti. E anche – per certi versi – la fatale sconfitta dell’esercito di Napoleone Bonaparte del 18 giugno 1815 a Waterloo, dove i francesi, a causa del terreno inzuppato dall’acqua, fino a mezzogiorno non poterono utilizzare i loro cannoni contro le truppe britanniche del duca di Wellington e quelle prussiane del feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blücher. Certo, l’esercito napoleonico non venne sconfitto solo ed esclusivamente per questo motivo, come ben raccontano gli storici. Il brutto tempo è però stato uno dei fattori che gli ha giocato contro, in particolare per quel che riguarda la possibilità di utilizzare fin da subito l’artiglieria.
La caldera dei Campi Flegrei, tornando ai supervulcani delle nostre latitudini, ha un diametro dai dodici ai quindici chilometri, parecchi di più rispetto ai quattro del Vesuvio che si trova sul lato opposto del golfo di Napoli. Quindi, è facile immaginarsi quali potrebbero mai essere le conseguenze di un suo improvviso risveglio, cosa che a livello planetario, comunque, vale per qualsiasi caldera gigante che torni prepotentemente in attività. Appunto perché le conseguenze potrebbero riguardare – e forse il condizionale lo toglieremmo – tutto il nostro pianeta. Fra l’altro, un recente studio di esperti italiani ha sottolineato che il supervulcano campano è entrato in un nuovo ciclo di attività e la sua camera magmatica si starebbe ricaricando. Quando potrebbe scatenarsi una nuova eruzione, però, non è dato sapere. Almeno per il momento.
Quando sarà, si tratterà verosimilmente di un’eruzione di tipo pliniano. Un evento che per la prima volta venne descritto da Plinio il Giovane, in occasione della distruzione delle città romane Pompei ed Ercolano causata dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo. In questi casi la lava è molto viscosa e si accumula alla sommità del vulcano impedendo ai gas di uscire, così che l’aumento della pressione porta poi all’esplosione parziale oppure totale dello stesso. Quando il vulcano esplode, la colonna di ceneri e lapilli può salire in cielo per decine di chilometri e nel momento in cui il materiale espulso dalle viscere della terra inizia a ricadere verso la terra, ecco che si formano colate piroclastiche – o nubi ardenti, se preferite – assolutamente devastanti per uomini, animali, flora, fauna ed edifici. Senza contare, come abbiamo già scritto, l’influenza sul clima che possono avere a livello planetario le ceneri rimaste nell’atmosfera.
Di che far tremare i polsi, insomma. E di temere anche per le sorti dell’umanità, a vederla con pessimismo. D’altronde, non è che questa nostra navicella che è la terra abbia avuto una vita chissà quanto tranquilla da quando si è formata. Già, perché gli scienziati di estinzioni di massa ne hanno catalogate sin qui cinque, ognuna delle quali ha portato a un massiccio sovvertimento dell’ecosistema esistente in questa o quell’era geologica. L’estinzione di massa più conosciuta è quella dei dinosauri, avvenuta poco meno di 66 milioni di anni fa e dovuta a un meteorite precipitato nella zona della penisola messicana dello Yucatán. Quindi, se non sarà un supervulcano a cancellarci dalla faccia della terrà sarà comunque qualcos’altro, una manifestazione assolutamente incontrollabile da parte di noi umani. E se proprio dovessimo essere stra-fortunati, ci penserà comunque il nostro sole, quando sarà alla fine della sua vita, a distruggere tutto. A proposito degli ultimi istanti del sole, però, ne riparleremo tra qualche miliardo di anni, fra i cinque e mezzo e i sette, stando alle previsioni.