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San Giovanni Battista a Gnosca

Questo monumento poco conosciuto, per non dire dimenticato, è stato oggetto di un intelligente intervento di restauro ad opera degli architetti Tita Carloni e Angelo Martella, avvenuto nel 1992-3, che ricorda l’interessante ristrutturazione di Castelgrande a Bellinzona eseguita da Lio Galfetti. Due soluzioni architettoniche che sanno accostare in modo originale antico e moderno. Ma incuriosisce anche la storia di questo monumento, anticamente conteso tra le diocesi di Milano e di Como, quindi sconsacrato e abbandonato a sé stesso a fine Settecento, utilizzato come fienile prima di venire considerato bene cantonale protetto nel 1955 ed essere restaurato quasi 40 anni dopo.
Giò Rezzonico
Carla Rezzonico
Giò RezzonicoeCarla Rezzonico
01.01.2022 12:00

 

 

La chiesa di San Giovanni Battista – o meglio quel che di essa rimane – si trova nel nucleo di Gnosca, villaggio della Riviera a poca distanza da Bellinzona lungo la strada cantonale che porta a Biasca sul versante destro del Ticino.

L’intervento di ristrutturazione e di consolidamento di Carloni e Martella non voleva restituire all'edificio la sua antica funzione religiosa, ma metterne in luce la forma e lo spazio, reso accessibile a possibili fruizioni alternative. Negli anni il monumento è diventato un qualificato e affascinante spazio espositivo.

Dopo i necessari lavori di pulizia e sgombero (rovi e sterpaglie si erano infiltrati tra le macerie), si è provveduto al consolidamento e successivamente all’integrazione di alcune parti mancanti. La scelta è caduta su materiale contemporaneo (blocchetti di cemento), che non imita la pietra ma instaura con le antiche mura un buon rapporto, sia per il colore che per l’aspetto. Il pavimento, molto rovinato, è stato rifatto con mattoni di cemento. 

Gli interventi sono stati evidenziati, così che la parte antica e quella contemporanea sono facilmente distinguibili.

 

Una storia travagliata

La storia di questo edificio è complessa: sorto nella prima metà del XII sec. fu per secoli al centro di dispute tra Como, di rito romano, e il capitolo della chiesa di Milano, di rito ambrosiano. La prima citazione di San Giovanni si trova in un documento del 1202, che ne stabilisce l’appartenenza a Como. Si sa che l’altra chiesa di Gnosca, dedicata a San Pietro martire, apparteneva invece alla diocesi di Milano. Le contese perduravano, e nonostante gli interventi pacificatori dell’arcivescovo Carlo Borromeo nel 1538, continuarono fino alla fine del Settecento. Nel 1783 il vescovo di Como per mettere fine alle controversie, dovute alla diversità dei riti ma anche probabilmente a questioni economiche, ordinò la sconsacrazione della chiesa di San Giovanni.

Il documento del 1202 attesta che la sua consacrazione era avvenuta una settantina di anni prima, dunque nei primi decenni del XII secolo. Si trattava di una semplice chiesetta romanica volta a oriente, costituita da una navata e da un’abside semicircolare. Tra la fine del XV secolo e la prima metà del XVI, la chiesa fu ingrandita: si prolungò la navata dopo aver demolito la parete a nord e si costruì una nuova abside, ruotando l’orientamento di 90°. Probabilmente risale a quel tempo anche la decorazione pittorica attestata dagli atti pastorali del 1583, oggi scomparsa. Il campanile fu edificato nel 1627, mentre qualche decennio più tardi fu eretta la sagrestia. 

In seguito all’ordine di sconsacrazione (1783) furono tolti gli arredi sacri, l’altare, il fondo battesimale e il tetto. Negli anni che seguirono, il tempo, i vandalismi, la facilità con cui si potevano asportare utilissime pietre fecero dell'ex chiesa un ammasso di ruderi. Lo studioso Rahn ne eseguì il rilievo nel 1872. San Giovanni fu oggetto di nuovo interesse e s’iniziò a studiarne i documenti, ma nel 1923 i ruderi vennero messi all’asta e acquistati da una famiglia del luogo, che più tardi ne fece un fienile. Lo storico Emilio Motta nel 1928 chiese di inserire San Giovanni nell’elenco dei beni protetti, ma senza successo. La proposta fu riformulata da Virgilio Gilardoni nel 1955 e questa volta fu accettata. Negli anni Sessanta il comune di Gnosca acquistò i ruderi e dopo un primo progetto non concretizzato, affidò il recupero agli architetti Tita Carloni e Angelo Martella (1992-93). 

 

 

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