"Semplice, elegante": gentleman si diventa

Mettetevi comodi: ecco una lunga chiacchierata con Alex Pietrogiacomi su stile & dintorni - LE FOTO
Tommy Cappellini
Tommy Cappellini
28.08.2014 05:05

Il «liberi tutti» in vigore da decenni in letteratura e arte non ha fatto granché bene alla pagina scritta e alla tela – la musica, poi, non ne parliamo – e alla fine anche il guardaroba di scrittori, pittori, compositori e cantanti è diventato, simmetricamente, un'improbabile e pretenziosa accozzaglia di stili, o meglio: di cadute di stile. Naturalmente, sotto le mentite spoglie di una mise maniacalmente curata, eccentrica o provocante.

«Semplice, elegante. Piccolo prontuario ad uso del moderno gentleman», scritto da Alex Pietrogiacomi, un dandy-punk prestato al giornalismo (mondo che tuttavia Alex, consulente e ufficio stampa di case editrici, conosce bene), è un'occasione per (ri)fare il punto della situazione. Prontuario, non manuale. Non solo il cosa, dunque, ma soprattutto il come, e il quando, e il «se», dal momento che non è possibile permettersi tutto. Dalle asole delle camicie cucite orizzontalmente al risvolto dei pantaloni (ora va di moda, ma non va di eleganza, quello «acqua-in-casa»), dal miglior profumo maschile alla manutenzione dei rasoio in un'epoca di barbe dilaganti, passando per scarpe, cravatte, pochette, ombrelli, sigari e pipe, questo libro aiuta a ragionare in autonomia su sartorialità, conformismo, culto dei dettagli. E perfino, tra le righe, sull'ipocrisia. Ne chiacchieriamo con l'autore.

Ancora un altro manuale su come essere eleganti, ancora un "fai così e non fare così", ma, Alex, perché? O meglio, che esigenza c'è dietro Semplice, elegante? Da dove è nato?

«Non è un manuale e la ragione è presto detta: sono un anarchico individualista. Per definizione non me la sento di dire alle persone cosa devono fare. L'editore Francesco Giubilei ha intercettato alcuni miei articoli on line su Stilemaschile, sul mio blog Il Bicchiere di_Verso, ha visto che ho curato il Trattato della vita elegante di Balzac per Piano B Edizioni e mi ha fatto quindi la proposta di un manuale, a cui ho risposto con la proposta di un prontuario, chiamiamolo così, che incuriosisse e che, dopo aver descritto non solo il cosa ma anche il come, desse qualche imbeccata stimolante. In aggiunta alla scrittura, mie fotografie e quelle della bravissima Laura Pacelli, uno sguardo femminile e professionale a ciò di cui si parlava».

Ma ce ne sono già di libri così!

«Non credo. Facci caso: quelli che ci sono già, e ne ho letti tanti, non fanno che dirti quanto fai schifo con "quelle cose" addosso, a prescindere, oppure come sei fuori contesto se non segui dei precetti secolari. Metti i boxer? Sei un pirla. Metti gli slip? Sei un pirla. Bisogna optare per il perizoma?! È chiaro che si tratta di una moda editoriale: libri a manovella, ogni casa editrice ha il suo. La mia proposta, d'accordo con l'editore, è differente. Facciamo un esempio. Guarda il proliferare di barbe: chi scrive manuali un tanto al chilo si limita a elencarne le tipologie. Io, invece, ho voluto far spiegare innanzitutto il come fare a prendersene cura: dal rasoio alla manutenzione dello stesso, per dire. Ne ho parlato a lungo con Lorenzo Preattoni, con i ragazzi del "duo Medusa", in particolare con Andrea Brattelli, studente di ingegneria, lavoratore, costruttore di rasoi a mano libera per passione, con Francesco Cirignotta (barbitonsore-tricoesteta)... Questo è il senso di un prontuario meditato. Un libro che lasci spazio all'individuo e alla gestione indipendente della propria eleganza e non alla codifica totalitarista degli stili. Anche perché tutto arriva solo fino a un certo punto, poi sta a te introdurre il tuo singolare tassello nel puzzle».

Singolarità ed eleganza non cozzano sovente l'una contro l'altra?

«No. Quello che stona, che non funziona, è l'ortodossia. È vero che esistono stilemi, concetti, proporzioni che appartengono al classico, ma oggi, specie con i cambiamenti tecnologici che ci sono stati, non puoi avere un atteggiamento blindato che neanche ti permette di avvicinarti a jeans e sneakers. Perché privarsi di alcune prove, fermo restando che non può certamente essere ammesso un jeans strappato o rovinato in alcune età o occasioni? A questi "duri e puri" dell'eleganza manca la curiosità».

È poi indispensabile averla?

«È poi davvero indispensabile aggrapparsi a un mondo che non c'è più? La tradizione va rievocata, ma facendola evolvere. In altre parole: evitiamo la dimensione museale. È uno sterile gioco da epigoni e porta verso eccessi addirittura comici. Molte volte, è puro vanto. Ha senso portare i revers a lancia alti fino alle spalle, stile Goldrake? È come portare un tatuaggio ostentandolo. Nel migliore dei casi, l'effetto ridondanza è assicurato. L'eleganza è quell'allure, quella sobrietà dei modi che puoi percepire addirittura in una persona in infradito e camicia, in spiaggia, e non è certo una replica col paraocchi, forse compiaciuta, di uno stile paludato. E darsi "tocchi d'ironia" o di colore spesso non fa che sottolineare questa débâcle. C'è che pochi osano veramente».

Non è un po' inflazionata la parola "sobrietà"?

«Difficile che sia inflazionata la sobrietà nei modi. Chi lo sostiene dovrebbe farmi un esempio concreto, specifico, dove questa sobrietà stona o disturba. Aggiungo: spesso le persone eleganti non hanno modi, non hanno gestualità affettata o ad hoc, al limite non hanno educazione. Sono diventati eleganti attraverso una strada del tutto personale, che non parte dalla sartoria, anche se vi può arrivare. È una bugia che solo l'educazione ricevuta ti permette di essere elegante. Prendiamo il Gatsby di Scott Fitzgerald: è un poco di buono, poi fa un incontro decisivo, rivede se stesso, tira fuori i suoi modi d'eleganza. Modi alla fine perfetti. Se invece credi che eleganza sia tenere il calice in quel modo, la sigaretta in quell'altro e via di questo passo, ecco che finisci nel patetico scimmiottamento. La sobrietà diventa finta, posata, innaturale, teatrale. Dall'esterno si vede immediatamente che in tali "attori" c'è qualcosa che non funziona, qualcosa che eccede».

Oggi pare non si veda altro. Tutti tentano di rifare il discorso delle riviste di moda.

«Perché è più semplice. Ma è come l'inglese imparato sulle dispense. È inglese, certo, ma ben diverso da quello che hai appreso sul campo. Se prestiamo attenzione, c'è qualcosa di autentico nell'inglese di chi l'ha vissuto rispetto all'inglese forzato e contratto e a volte troppo accentato del... parvenu, passami la parola. Vale pure per l'eleganza posticcia: in essa si avverte sempre un dettaglio, una sfumatura, un gesto che il corpo tende a rigettare. Se osservi bene, è un segnale che quella persona, in sostanza, sta fingendo».

Sai che capita lo stesso con le recensioni dei libri? Il giornalista culturale fa il proprio compito per benino, si informa, anche con una certa sensibilità, circoscrive con perizia la propria comfort zone, aggiunge al fraseggio un po' di partigianeria morale, ma poi la voglia di andarsi a leggere il titolo recensito resta scarsa.

«Esatto. Anche nel mondo dell'eleganza si vede subito quando qualcuno non ha filtrato nulla del proprio guardaroba in base al corpo e alla storia che ha. Purtroppo, i modelli suggeriti dalla pubblicità la fanno da padrona. Ma un corpo muscolare, ad esempio, come quelli che si vedono spesso in giro oggi, non è adatto a certi vestiti "imposti" e per questo voluti. Io pratico karate, ho le gambe grosse: chiaramente non posso permettermi pantaloni a sigaretta, sembrerei una versione ridicola di Nureyev. Ne prendo atto. Eppure questo genere di filtri, di limiti, vengono spesso dimenticati. Bisogna sapersi interpretare e non lasciarsi interpretare: solo così il conflitto tra quello che si è e quello che ci si può permettere diventa fecondo, elegante, leggero».

Un conflitto-zebra, animale elegantissimo se si ha la fortuna di vederlo nella savana... e non allo zoo. Tuttavia questo significa fare consapevoli rinunce.

«Sicuro. Il business che si è creato intorno all'eleganza non aiuta. Lo si vede dalle trasmissioni tivù dove ti ribaltano il guardaroba: non cominciano col chiederti perché hai scelto quella camicia, ti dicono che fa schifo e basta. Fanno leva su una specifica debolezza: la maggioranza vuole semplicemente qualcuno che le dica cosa fare. La classica pappa pronta. Molte testate giornalistiche hanno virato in questa direzione».

Posso dirlo? Ci metto Monsieur. Monocle riesco ancora a leggerlo, per via dell'aperto stile globalista e dell'attenzione al Giappone. Monsieur non più... Icon, per dire, cerca di barcamenarsi con maggior ironia. Poi c'è IL, Studio, Style Magazine del Corriere della Sera, L'Uomo Vogue... Balzac ci andrebbe pazzo. O ne uscirebbe sconsolato.

«Sei drastico e il discorso è lunghissimo, con gran parte della colpa nella mancanza di curiosità da ogni parte della barricata. Tuttavia alcune testate storiche hanno davvero iniziato a consegnare ai lettori l'omogeneizzato che non sa di omogeneizzato ma del più ricercato piatto francese. O almeno: ha questa pretesa. Si tratta di indottrinamenti snocciolati che possono essere rimessi in tavola da altre testate ancora, serialmente, a puntate, in modo virale: l'operazione riesce perché si diventa come drogati di questo genere di eleganza a fascicoli. Il lettore apprende velocemente e ripropone facendosi bello. Oltretutto questo settore editoriale è viziato da molteplici interessi: il lettore pensa di fare parte attiva di un mondo, ne è invece parte passiva, e questo coinvolge anche l'editoria libraria naturalmente, e ogni cosa che abbia il tema dell'eleganza come satellite o pianeta principale».

Mondo a rovescio.

«Ci sono stati diversi capitoli in questa deriva. C'era l'uomo che puzzava e poi c'è stato il metrosexual. Ora va la via di mezzo, forse. Si esagera e poi si smussa: non è uscito due anni fa un libro dal titolo "Il plurale di cacao. Corso intensivo di maleducazione e cattive maniere"? Il discorso sull'eleganza si è trasformato in una sequela di contraddizioni, un'assurdità dietro l'altra. Ho visto in un servizio – ormai siamo proprio alla follia – che si suggeriva ed eseguiva il taglio di una cravatta per farne una pochette. Ma non fai prima a spiegare che cosa è un fazzoletto da taschino e quando serve? Se poi uno si trova nel deserto e ha bisogno della pochette per una sera di gala coi tuareg, vada per il taglio della cravatta come extrema ratio. C'è differenza, però, nel suggerire di fare una cosa simile quando sei in centro a Milano. Altro esempio allucinante? La camicia slacciata a metà torace. Meglio non mettersela. Dai, siamo sinceri: meglio non mettersela».

Battaglia persa.

«Occorre saper discernere. Assorbire tutto, tenersi il meglio. Essere spugne intelligenti. Stupirsi del fatto che in quello che ritieni ostile puoi trovare qualcosa che fa per te: lo chiamo spirito pionieristico. Che non è certo quello di mettersi un calzino diverso dall'altro. Ti ho già detto che pratico karate: in questa disciplina si impara una serie di tecniche uguali per tutti, ma in combattimento ciascuno assume la sua postura, il proprio stile. Idem nell'eleganza. Si comunica coi vestiti, si parla stando zitti: è un dialogo di sguardi, non un'ostentazione di dettagli e sofisticherie nella speranza di essere notati. Ma alla base, ovviamente, ci deve essere una forte concentrazione del proprio essere».

Oso aggiungere che l'eleganza arriva per questa strada a essere innanzitutto un colloquio con se stessi.

«Giusto. A volte un mio allievo – insegno da anni come si fa ufficio stampa – mi domanda: devo fare un colloquio di lavoro, tengo il piercing oppure no? Risposta semplice: mai ostentare. Sentiti libero di portarlo, senza fare provocatorio. Si dialoga con quello che si è, end of story. Inutile inventarsi personalità fasulle e mezzo seducenti oppure transennare la propria identità».

Senza contare che, come sosteneva Baudrillard, "si è se stessi quando non si ha niente di meglio da fare..."

«(ride) Ah, quello è già uno stadio avanzato! Comunque ho notato che ci si sente pesci fuor d'acqua e ci si irrigidisce quando non si sa cosa fare perché non si conoscono le regole. A tavola occorre aspettare che si sieda prima la donna? Certo. E tu aspetti. Se poi gli altri si siedono, non per questo ti sentirai a disagio o una mosca bianca: in questo caso vale il "vivi e lascia morire". Ci vuole consapevolezza. Tenere o togliere il piercing diventa così un falso problema. Il "liberi tutti" odierno non ci tranquillizza: c'è una gran confusione sulle regole e nel disordine diventa difficile distinguere le priorità. Figuriamoci arrivare a sparigliarle, conoscendole prima».

Rintanarsi nel desiderio mimetico è più sicuro, per dirla con René Girard: seguo e faccio variazioni su quello che, in fondo, desiderano tutti...

«Giochiamo per un momento sulla parola "mimetico", sul camouflage. Gli artisti del camouflage conoscono bene il territorio dove si muovono. Se sei un cecchino e non conosci il territorio, non importa quanta buona mira hai: ti sparano. L'eleganza è conoscenza. Essere mutanti e mutati, sapersi declinare, e magari riuscire a portare qualche nemico dalla tua. È la differenza tra viaggiatore e turista: il turista è stato in Namibia, ha visto i leoni e questo è tutto. Desiderio mimetico, parodia. Il viaggiatore ha avuto più coraggio, incoscienza, dominio di sé: l'eleganza, come l'antropologia, non si fa da casa, ma in mezzo al caldo umido, è un gioco sociologico e antropologico, rompe uno schema meccanico, si rischia. Quando non è così, ti ritrovi a essere un zombie al supermercato, per quanto haut de gamme: in questo Romero ha visto giusto. L'eleganza non ha nulla a che fare con il consumismo, con l'ingerire e il rigettare continuamente, senza trattenere sostanza».

A proposito di cibo: la tavola è un altro campo di battaglia tra eleganza vera e finta. Per non parlare dei gourmet esaltati o dei vegani, tutti quanti, comunque, "nel giusto e nel gusto". Dicono loro.

«La si può chiamare faziosità delle minoranze. Va avanti da decenni, a cicli: una minoranza arriva e ti dice "adesso si fa come dico io" con un tono pseudo-gentile che, a guardar bene, lascia intravedere una violenza e una manipolazione occulte. Prendiamo i vegetariani. Deve esistere una mediazione, una forma di educazione reciproca: se sono padrone di casa e dò una cena, è mia premura informarmi prima su chi non mangia carne. Gli posso preparare, non so, un cous cous. Ma se a tavola il vegetariano, il vegano, o chi per esso comincia un'opera di tortura e deframmentazione testicolare e a tenere sermoni sulla dirittura morale della propria dieta, ecco che il cous cous finisce nella doggy-bag e lui se ne va. Anche perché non mi stai informando, arricchendo o spiegando, mi stai aggredendo. Questo è un esempio e per fortuna ho molti amici vegetariani con cui facciamo grandi cene, spesso mantenendo ognuno la sua scelta e senza occhiatacce. Oggi la dittatura delle minoranze ti conduce in men che non si dica in un cul de sac ed è inutile discutere con un fazioso, con chi tanto non ne vuole sapere di dialogare realmente e confrontarsi, ma è invece incline a trasformare la tavola o un caffè in un ring: come si dice, mai scendere a livello dello stupido perché è lui, poi, che ti frega con l'esperienza».

Pesantezza dell'ortodossia.

«Gli ortodossi, specie nell'eleganza maschile classica, vivono arroccati su una poltrona da tanto di quel tempo che non hanno più arti mobili. Hanno dogmi. Sono pure pigri. A parole criticano quelli che mangiano al McDonald's: è qualunquista, è sciatto, è proletario, è "per tutti", è insano. E giù con un altro sermone. A cui io replico: bene, acquistate un cesto di vimini, champagne, foie gras, pane appena sfornato in Tirolo e andate a fare un picnic da McDonald's. Fate un sit-in a favore della raffinatezza, dimostrate con l'esempio che si può vivere meglio. Davanti a queste parole, spariscono. E io sorrido, perché so che l'eleganza non è mai pigra, ma dinamica».

In questo articolo: