Tendenze

Big Tech e lavoro a distanza, c'eravamo tanto amati

Da Elon Musk a Sam Altman, passando per Google, il tempo dell'ufficio fra le mura domestiche sembrerebbe finito – È il tramonto di un'epoca, seppur breve? Gli esperti dicono no, non ancora
© CdT/Archivio
Red. Online
29.07.2023 13:00

Lavoro a distanza, telelavoro, home e/o smart working. Durante la pandemia, soprattutto nelle fasi più acute, l'ufficio era diventato una chimera, o quasi. Addirittura, non pochi esperti e analisti profetizzavano che, un domani, la nuova normalità sarebbe stata proprio questa: lavorare, sì, ma fra le proprie mura domestiche o, ancora meglio per certi versi, in località come le Canarie. A distanza, appunto. Nel frattempo, il vento è cambiato. Tant'è che, ora, molte aziende stanno facendo marcia indietro sul tema. Chiedendo, a gran voce, ai propri dipendenti di tornare in ufficio.

La spinta, in questo senso, è arrivata soprattutto da Big Tech. Che, pur con sfumature diverse, ha condannato apertamente la pratica. Lo scorso maggio, ad esempio, l'amministratore delegato di OpenAI, Sam Altman, aveva dichiarato che il lavoro a distanza «è un esperimento fallito», definendolo «uno dei peggiori errori dell'industria tecnologica da molto tempo a questa parte» poiché, banalmente, stare lontano dall'ufficio danneggia la creatività. A maggior ragione se parliamo di una start-up come OpenAI, alla base di ChatGPT.

Vero e proprio boia del telelavoro, se così vogliamo definirlo, Elon Musk aveva tuonato contro i dipendenti di Twitter lontani dall'ufficio già lo scorso marzo, dicendo loro che il lavoro in sede non era affatto facoltativo. Anzi. Una posizione, questa, certo non nuova, pensando alle indiscrezioni circolate a suo tempo attorno a Tesla e all'home working, ma anche al diktat imposto proprio ai dipendenti di Twitter lo scorso novembre: ciao ciao smart working.

A giugno, invece, era stato il turno di Google, con la classica missiva avvelenata nella quale imponeva ai dipendenti almeno tre giorni alla settimana in ufficio. Non solo, la presenza in sede sarebbe stata considerata positivamente nella valutazione delle prestazioni, come riportato dal Wall Street Journal. Tradotto: meglio se vi fate vedere, cari lavoratori.

Diversi quotidiani, fra cui il New York Times, quest'anno hanno dedicato molti approfondimenti ed editoriali al tema, sostenendo fra le altre cose che il lavoro a distanza, a conti fatti, sta deludendo le giovani generazioni poiché le priva dell'esperienza comunitaria e condivisa di un luogo di lavoro.

Eppure, gli stessi esperti e analisti tendono (ancora) a non considerare tramontato l'esperimento. Anzi, secondo Mansoor Soomro, docente di Sostenibilità e Business presso la Teesside University, nel Regno Unito, il lavoro a distanza «non ha fallito», come ha spiegato a Euronews. Ovvero, sarebbe ancora presente, molto presente nella realtà di molte aziende. 

«Durante il Covid – ha aggiunto Mark Stuart, docente presso la Leeds University Business School – la percezione iniziale era che le cose sarebbero cambiate in modo significativo dopo la pandemia, che ci sarebbe stato questo passaggio a un aumento del lavoro a distanza e che non ci sarebbe stato modo di invertire la tendenza». L'altro aspetto, parallelo, è che in principio i datori di lavoro, complice ovviamente l'emergenza sanitaria, spingevano affinché i dipendenti rimanessero a casa. Negli ultimi dodici mesi, invece, questa tendenza si è invertita. Ancora Stuart: «Quello che sta accadendo ora è un processo di rinegoziazione tra i datori di lavoro e la loro forza lavoro in termini di come sarà il lavoro a distanza in futuro».

I vantaggi del lavoro a distanza, ne avevamo parlato a più riprese, sono noti: addio al pendolarismo e, pensando al Ticino, al traffico; riduzione dei costi; miglior equilibrio fra lavoro e vita privata. Gli svantaggi, come detto, sono legati alla mancanza di socializzazione e di spontaneità. Per dirla con Altman, tanti saluti alla creatività.

Stuart, a Euronews, ha spiegato che la rinegoziazione del lavoro a distanza, inevitabilmente, porterà a «varie tensioni» fra dipendenti e aziende. È verosimile, a detta del professore, che si arriverà a un compromesso fra giorni di lavoro a casa e giorni di lavoro in ufficio. «La gente si è trasferita e non vuole fare la pendolare» ha ribadito Soomro. «Le persone si sono adattate alla flessibilità appena scoperta e non vogliono lasciarla andare».