Compact Disc, quarant'anni e sentirli tutti
Il compact disc ha appena compiuto 40 anni e quasi tutti lo danno già per morto, in particolare gli addetti ai lavori dell’industria discografica. Stritolato fra il successo dello streaming e la rinascita del vinile, il CD sembra ormai essere un oggetto da nostalgici degli anni Novanta: ma è davvero così?
2021 boom
Lo scorso anno ha segnato un vero e proprio boom per la musica, in qualsiasi formato. Questa industria è cresciuta del 18,5% rispetto al 2020, raggiungendo introiti complessivi per 25,9 miliardi di dollari. Di questi, il 69,3% ha origine digitale, con lo streaming che da solo vale il 65%. Le vendite fisiche sono aumentate anche loro, del 16,1%: notevolissimo perché è la prima volta in un ventennio in cui davanti alla percentuale non c’è il segno meno. Parliamo di circa 5 miliardi di dollari, il 19,3% del mercato, di cui 1,4 miliardi derivanti dal vinile e 3,6 dal CD, che quindi ad oggi vale ancora il 14% del mercato mondiale della musica. Poi negli Stati Uniti le vendite di vinili hanno superato quelle dei CD, per la prima volta dagli anni Novanta, ed il resto del pianeta sembra avere la stessa tendenza. Però non si può dire che il Compact Disc sia morto, anche se il vinile è più cool e molti grandi artisti hanno annusato l’aria per tempo pretendendo di tornare anche al vecchio formato.

Gli ABBA fanno sempre tendenza
Il quarantennale del Compact Disc non riguarda gli aspetti tecnologici ma la sua messa in commercio. Nell’agosto del 1982 fu infatti stampato in versione CD l’ultimo album degli ABBA prima dello scioglimento, The Visitors, l’anno prima pubblicato in vinile: un successo, ma inferiore ai precedenti. E nel 2021 quando i quattro svedesi sono tornati a lavorare insieme, il loro Voyage è stato il secondo album più venduto dell’anno in tutto il mondo, dietro al 30 di Adele. Come a dire che adesso come quattro decenni fa le grandi tendenze sono imposte dai grandi artisti e del resto lo stesso CD è modellato sul più grande di tutti, visto che la leggenda vuole che i 74 minuti di potenziale registrazione siano proprio 74 per contenere perfettamente la Nona di Beethoven. Di certo gli ABBA furono imitati da tutti i grossi nomi della musica, e qualche anno dopo anche da quelli meno grossi, con la coesistenza CD-vinile che sarebbe durata fino alla fine degli anni Ottanta, con il sorpasso ai danni del vinile avvenuto nel 1988 e quello sulle musicassette (sembra preistoria, ma grazie a walkman e autoradio dominavano il mercato) nel 1992.
Da Napster all'iPod
Gli anni Novanta sono quindi stati il decennio d’oro del CD, con intere collezioni di vinili e a maggior ragione di musicassette sostituite dal nuovo supporto digitale, che fra i vari pregi aveva la comodità, per le ridotte dimensioni, la facilità d’uso e, così si diceva per invogliarne l’acquisto, il suo essere eterno. In realtà un disco in vinile ben conservato può durare anche un secolo, mentre il CD dopo trent’anni potrebbe dare segni di cedimento. Ma dal punto vista del mercato sono in ogni caso tempi assurdi, visto che i problemi del CD si sono materializzati con i primi lettori MP3, nel 1997, e soprattutto Napster, nel 1999. Il file sharing è stato però un nemico meno temibile dell’iPod, lanciato dalla Apple nel 2001. Con l’era del download seguita da quella dello streaming, la nascita di Spotify nel 2008, e tutto ciò che è storia di oggi. Si può dire che il CD abbia aperto l’era digitale nel consumo della musica, ma ne sia stato alla fine anche vittima: come competere con i vari Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon Music, eccetera, ed i loro abbonamenti mensili a tutta la musica immaginabile, con un prezzo che è metà di quello di un CD nuovo?

Operazione nostalgia
Al di là di ogni considerazione di mercato, il CD musicale è ormai iscritto al campionato della nostalgia, non meno del vinile. Con l’età dei nostalgici che a volte sorprende, visto che a detta di quasi tutti gli addetti ai lavori la ripresa del CD è trainata anche dalla Generazione Z, cioè la prima generazione (parliamo dei nati fra il 1997 e il 2012) ad avere usato internet fin dall’infanzia. Ragazzi che hanno sempre scaricato in formati digitali la propria musica e che proprio per questo considerano il CD qualcosa di affascinante, di fisico, quasi di alieno. Per chi è nato e cresciuto con download e sharing, ma senza possedere fisicamente niente, anche un dischetto sembra qualcosa di terribilmente concreto, qualcosa per cui lottare e nemmeno in contraddizione con lo streaming. Qualcosa che nessuna rottura di contratto e nessun abbonamento potranno toglierci.
Quanto rende lo streaming?
Dal punto di vista degli artisti, cantanti o autori che siano, il declino del CD è stato un problema, che ha costretto tutti a riposizionarsi sulla musica dal vivo e a far fruttare il proprio repertorio. Discorso che vale per chi ce l’ha, il repertorio… Quantificare quanto gli autori di una canzone guadagnino dallo streaming è difficile, visto che il calcolo delle revenue cambia in base ai mercati, ma una stima realistica è che 1.000 ascolti in streaming per più di 30 secondi l’uno producano per chi detiene i dritti di una canzone un incasso di circa 4 dollari, da spartire fra interpreti e autori. Una canzone ascoltata un milione di volte genera quindi 4.000 dollari di royalty. È subito evidente che qualunque cantante da classifica possa fare meglio con i supporti fisici, anche ai livelli di vendita odierni.
Ma nel futuro c’è quasi solo lo streaming e quasi nessun CD: non lo pensiamo noi, ma tutti i grandi artisti che nell’ultimo anno hanno venduto in blocco il loro catalogo a fondi di investimento, da Bruce Springsteen (500 milioni di dollari incassati dalla Sony) a Bob Dylan (400 dalla Universal), passando per Sting (300 anche lui dalla Universal) e altri. Il messaggio è chiaro: con la prevista morte del CD impossibile guadagnare con canzoni nuove e quindi meglio monetizzare le vecchie. E se avessero torto? La gente comincia a dare segni di stanchezza ed al decimo miniabbonamentino potrebbe chiedersi se questa sia vita, o come minimo se questa sia musica.