Progresso

Il «super» acceleratore per andare oltre gli enigmi della fisica

Al CERN il successore dell'LHC potrebbe avere un futuro: i risultati intermedi dello studio di fattibilità soddisfano i requisiti tecnici e ambientali – «Non solo conoscenza: la tecnologia del Collider aiuterà anche economia e società»
Giacomo Butti
06.02.2024 06:00

Sono passati 16 anni dal suo lancio. Ne mancano almeno altri 16 al suo previsto pensionamento. Il Large Hadron Collider (LHC), l'acceleratore di particelle dell'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN), non è nemmeno a metà della sua vita, ma alla sede di Meyrin la pianificazione per la successione della grande infrastruttura, situata nel sottosuolo al confine fra Francia e Svizzera, è da tempo entrata nel vivo. Dopo tre anni di lavoro, di cui uno sul campo, il CERN ha approvato la scorsa settimana il rapporto sullo stato di avanzamento dello studio di fattibilità per il Future Circular Collider (FCC), il colossale acceleratore che – forse – verrà.

Attenti a tutto

Forse. Come evidenziato in conferenza stampa dalla direttrice generale del CERN Fabiola Gianotti, «la realizzazione dell'FCC rimane una possibilità». Lo studio in corso, del resto, non sorvola su alcun dettaglio e riguarda, sì, fattibilità tecnica e scientifica, ma anche finanziaria e ambientale. I risultati intermedi non sono stati resi pubblici, ma il responsabile del progetto, Michael Benedikt, ha potuto fornire qualche indizio: «I dati confermano che abbiamo trovato un luogo ottimale» dove costruire l’FCC, ha spiegato ai media. «Il tunnel e le strutture di superficie verrebbero integrate in modo ideale con strade e infrastrutture già esistenti». Soddisfazione è stata espressa anche dal presidente del Consiglio CERN, Eliezer Rabinovici: «Siamo molto impressionati dalla qualità dei primi report, e non abbiamo individuato alcun ostacolo tecnologico o scientifico che potrebbe fermare il progetto: attendiamo i risultati finali, previsti per il 2025». Se anche l’esito di questi dovesse essere positivo, gli Stati membri del CERN (tra i quali la Svizzera) potranno svolgere i passi successivi verso studi più approfonditi e l'approvazione finale del progetto, con l’avvio dei lavori non prima di metà anni 2030.

Il paragone

Ma a che cosa servirà, dovesse essere realizzato, l’FCC? L’obiettivo dietro la sua progettazione è lo stesso che già aveva animato, fra fine anni ‘90 e inizio 2000, quella dell’LHC: creare uno strumento con il quale approfondire la nostra comprensione della fisica delle particelle e, con essa, dell’Universo. Operativo dal 2008 (ma utilizzato, a causa di alcuni problemi tecnici, solo dalla fine del 2009), l’LHC è un sistema circolare di tunnel – 27 chilometri a una profondità media di 100 metri – all’interno del quale due fasci di particelle vengono fatte viaggiare a una velocità prossima a quella della luce prima di essere fatte collidere. Anni di test hanno mostrato come le collisioni, misurate da una serie di rilevatori, siano in grado di generare nuove particelle – come il celebre Bosone di Higgs, scoperto nel 2012 – la cui esistenza è in grado di fornire indizi sulle regole che controllano la materia nell’Universo.

Decisamente più potente dell’LHC, l’FCC potrebbe aiutare gli scienziati ad andare oltre. Con il Future Circular Collider, il CERN immagina un tunnel lungo ben 91 chilometri, posto a una profondità media di 200 metri, in grado di generare energie di collisione oltre sette volte più grandi di quelle dell’LHC (100 TeV contro i 14 dell’attuale acceleratore). Secondo le tabelle di marcia del CERN, se tutto dovesse procedere per il verso giusto, un primo collisore fra elettroni e positroni (FCC-ee) potrebbe essere utilizzabile attorno al 2045. Una seconda macchina (FCC-hh) utilizzerebbe poi la stessa struttura, a partire dal 2070, per far collidere protoni su protoni. Un modo, insomma, per allungare la vita dell’infrastruttura e mantenere l’organizzazione al centro delle ricerche sulla fisica particellare fino alla fine del secolo.

Concretamente, sperano i ricercatori, l’FCC potrebbe portare i ricercatori a compiere nuove scoperte: provare, ad esempio l’esistenza della materia oscura. Ma in generale, ha sottolineato Gianotti, «l’FCC vuole essere uno strumento con il quale rivolgersi alle domande aperte, quelle prive di chiara guida teorica».

Ricadute

Quanto costerebbe il gioiellino? Le stime si aggirano attorno ai 15 miliardi di franchi, ma una cifra più precisa verrà fornita l’anno prossimo. La maggior parte dei costi, ha garantito la direttrice generale, sarà coperta dal budget del CERN, ma contributi importanti arriveranno probabilmente anche da partner esterni, come gli Stati Uniti o il Giappone: «Lavoriamo con oltre 12.000 scienziati di circa 100 nazionalità diverse, con l’FCC il CERN punta a un progetto ancora più globale».

Tutto questo per la mera conoscenza? Non proprio. L’FCC, ha spiegato Gianotti insieme a Michael Benedikt, responsabile dello studio di fattibilità dell’FCC, «non aiuterà soltanto a comprendere i fondamenti di natura e fisica, ma fungerà anche da motore d’innovazione. Per costruirlo, svilupperemmo nuove tecnologie – legate, ad esempio, al settore della criogenia, dei magneti superconduttori o del vuoto – il cui impatto su società ed economia potrebbero essere enormi».

Un occhio all’ambiente

Far funzionare un simile strumento richiede, però, tanta energia. Il nuovo mastodontico acceleratore non rischia di far impennare la bolletta elettrica e, con essa, l’impatto ambientale? Non proprio, ha risposto Benedikt, «l’implementazione dell’FCC porterebbe a un consumo annuo di circa 2-2,1 TWh, il 30% in più di quanto consumato attualmente dal CERN». Fra gli obiettivi ambientali del progetto, ha poi specificato Gianotti, «v’è anche la riduzione dei costi energetici. Lavoriamo, in particolare, anche alla riutilizzazione dell’energia normalmente sprecata. Il calore generato dall’impianto, ad esempio potrà essere utilizzato per riscaldare le strutture del CERN e i villaggi vicini».

Geopolitica

In attesa dei risultati finali dello studio (in arrivo nel 2025), il CERN guarda a Oriente. Insieme al 2024, infatti, con ogni probabilità si chiuderà anche la cooperazione internazionale dell’organizzazione europea con la Federazione Russa: una conseguenza dell’invasione dell’Ucraina. La fine dell’accordo comporterà l’addio alle collaborazioni con gli istituti scientifici legati al Cremlino, ma non con i ricercatori di nazionalità russa.