Ma davvero ChatGPT sta acquisendo tratti sempre più simili ai nostri?
Ma davvero ChatGPT sta acquisendo tratti sempre più simili ai nostri? Il solo fatto di discutere di quanto il programma di OpenAI, per citarne uno, stia diventando simile agli umani dovrebbe essere sufficiente a far drizzare immediatamente le orecchie. Non solo ci si interroga maggiormente sul funzionamento tecnico di questa e altre intelligenze artificiali (IA), ma al centro dei dibattiti si sta anche inserendo in maniera sempre più costante il fantascientifico tema della relativa umanità di queste ultime. Siamo davvero a questo punto?
Ad alimentare le ipotesi più disparate a questo proposito sono stati gli ultimi aggiornamenti del chatbot di OpenAI per i suoi abbonati. A questo stadio l’IA sarebbe in grado di conversare e raccontare storie con voci all’apparenza umane; sarebbe anche capace di vedere cosa abbiamo nel frigorifero, tramite fotografie, consigliandoci delle ricette corrispondenti agli ingredienti che possediamo; potrebbe aiutarci a riparare la nostra bicicletta, ma ci permetterebbe anche di assistere nostro figlio in matematica, solamente con la condivisione di una fotografia. Tutte queste richieste, che ora è possibile fare al programma, sono sempre state le tipiche domande da porre a un genitore, a un amico o a Internet. Ma avere tutte le risposte in uno stesso luogo, che effetto ci fa? Spesso si teme per la propria privacy o per i limiti del programma e, proprio a riguardo a questo, l’organizzazione stessa di ChatGPT mette le mani avanti, dichiarandosi consapevole delle imperfezioni del programma e desiderosa di continuare lavorare sulle sue difese, anche grazie ai consigli degli utenti. «L'uso e il feedback del mondo reale ci aiuteranno a migliorare ulteriormente queste protezioni, mantenendo lo strumento utile» si legge, infatti, sulla pagina ufficiale di OpenAI.
Per meglio comprendere quest’ultima frontiera raggiunta da ChatGPT, il CdT ha incontrato Antoine Bosselut, esperto di elaborazione del linguaggio naturale (NLP), intelligenza artificiale (IA) e apprendimento automatico (ML) al Politecnico di Losanna (EPFL).
Capacità creative comparabili alle nostre …
«Sono almeno 15 anni – esordisce il professore – che si lavora sui sistemi multimodali che combinano testo e immagini». Essere in grado di descrivere in modo esauriente le immagini risulta dunque essere un obiettivo dell’IA di lunga data. A oggi, le intelligenze artificiali, compreso il modello di OpenAI, hanno appreso non solo a comunicare tramite immagini o testo, ma hanno anche imparato a esprimersi oralmente in maniera originale. Il risultato? Appare spesso simile a quello creativo di un essere umano. Questo chatbot ha dunque capacità d’inventiva simili alle nostre?
Un divario rimane ancora, eppure, secondo Bosselut, «c’è meno differenza di quanto si possa immaginare. Questo perché – prosegue il nostro interlocutore – gran parte della creatività e dell'immaginazione umana consiste nel collegare concetti e idee differenti, assemblandole in visioni inedite». Ad esempio, l’esperto porta quella che è probabilmente la serie fantasy più nota dell’ultimo decennio. «Game of Thrones è un'opera incredibilmente fantasiosa, ma due dei suoi temi principali, le lotte di potere e il fantastico, si trovano in molti lavori precedenti». È in questo modo che avviene il processo creativo: «Molto di ciò che inventiamo deriva da progetti antecedenti». Ed è proprio in questo che risiede l’abilità delle IA come ChatGPT. «Sono infatti molto brave a combinare e interpolare temi esistenti in contenuti apparentemente nuovi, proprio come facciamo noi».
… ma (fortunatamente?) non del tutto
Tuttavia, la maniera di raggiungere un determinato risultato sembrerebbe essere molto diversa dalla nostra. «La creatività di ChatGPT è principalmente statistica – puntualizza il docente dell’EPFL –. Ciò significa che di solito cerca di produrre qualcosa che si situi nella media delle aspettative rispetto a ciò che viene richiesto». Cosa vuol dire questo? In pratica l’IA riprenderebbe motivi comuni, come quello di un cavaliere, un drago, una principessa se gli venisse domandato di raccontare una storia fantasy, ma non si spingerebbe oltre.
Questa proprietà rende quindi improbabile la comprensione di richieste molto creative. «Se gli chiedessi – assume l’esperto – di generare un'immagine di un alligatore che cavalca un'anatra nell'acqua, probabilmente produrrebbe la rappresentazione di un'anatra sopra un alligatore, perché è statisticamente più probabile. Potrebbe anche concepire l'immagine di un alligatore dei cartoni animati che cavalca un'anatra galleggiante. Ma un'immagine realistica di un alligatore sopra un'anatra sarà molto più difficile da ideare».
Inoltre, il professore aggiunge che, al contrario di alcune persone molto creative, «ChatGPT non è verosimilmente in grado di creare da solo contenuti completamente nuovi».
Per di più, sebbene anche gli esseri umani abbiano un modello di creatività che attinge a temi ricorrenti dal punto di vista statistico, «nel nostro processo creativo – chiarisce Antoine Bosselut –, possiamo anche attingere a opere che ci hanno colpiti più profondamente di altre. ChatGPT, al contrario, non ha tutto questo. Il programma può solo comprendere che quelle tematiche compaiono in molte storie, ma, al momento, non ha la capacità di capire ciò che il nostro pubblico umano apprezzerà».
Hollywood e ChatGPT: una nuova sinergia?
A contribuire a questi ultimi sviluppi di ChatGPT, sono stati anche alcuni attori. Sorprendente, non è vero? Quale potrebbe essere il legame fra questo mestiere e l’evoluzione dell’IA? Nell’immaginario comune, questi due settori vengono rappresentati come alquanto distanti, eppure, le capacità recitative di questi artisti sono state sfruttate per sviluppare sistemi vocali che permettono di comunicare con il chatbot. Ma non solo. Oltre a questo, è anche possibile scegliere la voce con la quale vorremmo interagire. Ed è così che nascono Juniper, Sky, Cove, Ember e Breeze. Cinque modelli sonori all’apparenza umani, che è possibile interpellare direttamente. Nonostante a chi li ascolti risultino molto simili a quelle dell'uomo, come avviene anche per le immagini generate dall'IA, anche in questo caso, rivela Bosselut, «è solitamente possibile identificare i contenuti concepiti dal programma utilizzando metodi computazionali». Certo è che, per raggiungere questo grado di somiglianza rispetto alla voce umana, il ruolo degli attori è stato fondamentale.
A questo proposito il professore ci propone di considerare la questione anche da un altro punto di vista: «Gli attuali scioperi in corso a Hollywood forniscono un caso concreto di come gli attori vedono il loro potenziale contributo allo sviluppo dell'IA. Potremmo immaginare uno scenario in cui tutti gli interpreti di sfondo di un film (o di una pubblicità) – suggerisce – vengono generati dalle intelligenze artificiali dopo aver copiato le loro sembianze da un film o da una produzione visiva precedente». Questo permetterebbe dunque di ridisegnare il panorama cinematografico e pubblicitario ponendo all'ordine del giorno domande cruciali sul futuro delle professioni legate al mondo dell'intrattenimento.
L’economia della conoscenza a servizio dell’IA
Ma, come è facile dedurre, queste interazioni non si limitano al settore dello spettacolo. Infatti, a detta dell’esperto, la maggior parte delle professioni parteciperanno allo sviluppo dell'IA, soprattutto se fanno parte dell’«economia della conoscenza». Non solo quindi questi impieghi saranno influenzati dall’intelligenza artificiale, ma andranno a loro volta a suo vantaggio. «Un modello spesso citato a questo proposito – illustra Bosselut –, è quello dei radiologi, che interpretano i risultati di diversi strumenti di imaging medico per fare valutazioni. Ogni volta che un'immagine radiologica viene etichettata con una diagnosi – spiega –, quest’ultima può essere utilizzata per migliorare un'IA».
Lo stesso processo vale per avvocati, insegnanti, consulenti, banchieri. Praticamente qualsiasi attività svolta da qualcuno che produca un output (ad esempio, un documento, un'immagine, una registrazione) può essere utilizzata per fornire dati di addestramento per un sistema di IA. «Tuttavia, questo non è un processo automatico – specifica l'esperto –. Infatti, gli ingegneri e gli esseri umani saranno probabilmente coinvolti in questo procedimento, al fine di controllare quali immagini date al modello possono essere sfruttate per la sua evoluzione».
In questo senso, la vera sfida dei prossimi anni sarà quella di «definire la giusta modalità di interazione tra questi impieghi e i sistemi di IA, in modo da ottenere dai loro scambi sinergie vantaggiose».
Post-umani: realtà o finzione?
C’è chi suppone, però, che questi legami fra macchine e uomini andranno ben oltre le interazioni lavorative. Spingendo all’estremo considerazioni concernenti gli sviluppi umani delle IA come ChatGPT, infatti, il ricercatore e futurologo dell’Università di Oxford, Anders Sandberg, ha ipotizzato il possibile sviluppo dei post-umani. Si tratta di «intelligenze artificiali super-sviluppate che avranno acquisito consapevolezza di sé, popolando il mondo senza bisogno del controllo dei Sapiens». Realtà possibile o finzione? «Penso che siamo ben lontani da questo. Il percorso che condurrà ai rischi esistenziali dell'intelligenza artificiale è chiaro quanto quello che porterà gli alieni a invadere la Terra o un asteroide a spazzarci via», assicura il professore del Politecnico.
«In generale, la maggior parte delle discussioni sui rischi esistenziali distraggono dalle sfide reali e urgenti dell'adozione dell'IA», dichiara l’esperto facendo riferimento all'impatto che essa avrà sugli esseri umani nel prossimo decennio, quando l’intelligenza artificiale sarà sempre più presente nella nostra vita quotidiana. «Esiste un potenziale di integrazione dirompente in molti settori della società ed è di questo – conclude Antine Bosselut – che si dovrebbe parlare».