Mark Zuckerberg è un innovatore o un copione?
In fondo, basterebbe riguardare The Social Network. Il film diretto da David Fincher e sceneggiato da Aaron Sorkin. Incentrato, manco a dirlo, su Mark Zuckerberg e sulla sua rapida, rapidissima ascesa. Non priva di ombre e accuse da parte di ex amici e compagni di avventura. Mister Facebook, era il 2010, all’epoca venne dipinto come un vero e proprio nerd, con tanto di calze bianche e ciabatte a mo’ di biglietto da visita. Eppure, tanto nel film quanto nella realtà anche allora si intravedevano le derive machiste e iper-ambiziose dell’imprenditore e del personaggio.
A distanza di anni, si parla (ancora) di Zuckerberg perché, giorni fa, l’attuale patron di Meta ha ufficialmente lanciato il guanto di sfida a un altro maschio-alfa di Big Tech: Elon Musk, già. No, nessun incontro di arti marziali miste in una gabbia, come si mormora da tempo. Ma un nuovo, nuovissimo social network. Che, tuttavia, ha più di un tratto in comune con Twitter. La piattaforma che Musk sta trasformando in un vero e proprio parco giochi della destra repubblicana.
Apriti cielo: Threads, questo il nome della creatura, ha guadagnato oltre cento milioni di utenti in appena cinque giorni, sfruttando la complementarità con Instagram e, soprattutto, provocando non pochi pruriti a Musk. Il quale, in tutta risposta, ha minacciato cause legali accusando in particolare Meta di spionaggio industriale.
Binari conosciuti
Zuckerberg, una volta di più, sembrerebbe muoversi secondo binari conosciuti. Non quelli dell’innovazione pura, ma dell’appropriazione se così vogliamo definirla. Laddove non riesce ad acquistare un possibile rivale, come avvenuto con Instagram e WhatsApp, il nostro fa proprie idee e funzionalità altrui: è successo con TikTok e Snapchat, in parte sta succedendo con Threads che, di fatto, ricalca i meccanismi e la grafica di Twitter, in particolare del primo Twitter.
Ma perché proprio il social di Musk, considerato per giunta di nicchia? «Perché Twitter ha una finalità precisa, quella di permettere a chiunque di raggiungere l’informazione» afferma Tommaso Mazzoli, esperto di dinamiche digitali nonché professore presso le Università di Trieste e Udine. «È vero, parliamo di una piattaforma con relativamente pochi iscritti rispetto alle altre, ma la sua funzione principale, fornire un’informazione non filtrata dai media tradizionali, è quella più interessante. Resta da capire, appunto, se Zuckerberg con Threads intende replicare questo schema, cioè raggiungere un’utenza che cerca direttamente il contatto con il personaggio famoso, dal politico allo sportivo, compensando magari possibili buchi su altri social del gruppo Meta. Detto ciò, io l’ho provato e posso garantire che in effetti è simile se non speculare a Twitter».
Imprenditore, sì
Secondo alcuni analisti, la mossa di Zuckerberg sarebbe anche politica: da una parte il caos di Twitter, social sempre più divisivo e sempre più ammiccante nei confronti della destra repubblicana e, di riflesso, della disinformazione se non delle fake news; dall’altra un’alternativa «amichevole», volendo usare le parole del patron di Meta, ritenuto dai più un imprenditore liberal. Ancora Mazzoli: «Non credo che, alla base, ci sia un discorso politico. Certo, in America pensando ai social è un aspetto importante, molto importante. Ma Zuckerberg è un imprenditore e, in fin dei conti, se si è lanciato con Threads è perché intende trarne profitto. La sua storia, in questo senso, parla chiaro: dagli acquisti di altre piattaforme alle idee scopiazzate da social come TikTok o Snapchat per Instagram».
Rilanciamo, allora, la questione: Zuckerberg può considerarsi un innovatore o no? «Probabilmente no» risponde il nostro interlocutore. «Ma è un imprenditore geniale, questo sì. Perché ha saputo trarre vantaggio dai rivali o da situazioni preesistenti», come i proto-social come Friendster che hanno anticipato l’avvento di Facebook, «cui mancava quel tipo di taglio popolare e diretto che, invece, ha impresso alle sue creature». La qualità migliore di Zuckerberg, quindi, «è la sua imprenditorialità» o, meglio, «quella capacità di capire come e quando una cosa può funzionare».
Nella fattispecie, con Threads il patron di Meta ha avuto vita facile, se non facilissima. E questo perché il nuovo social è stato agganciato a Instagram, il più giovane dei social di casa Zuckerberg.
C'è ancora un pubblico?
D’accordo, ma lanciare un nuovo social, nel 2023, per giunta senza innovazioni di sorta, è davvero una scelta vincente? Significa che, nonostante il parere di molti, queste applicazioni hanno e avranno ancora un pubblico? «La morte dei social semmai può essere circoscritta a Facebook» spiega Mazzoli. «Ci siamo accorti, tutti, che è diventato un mezzo poco utilizzato e sterile, dopo un successo senza precedenti per molto tempo. È normale che, dopo quasi vent’anni, ceda il passo. È stata la piattaforma per chi, attorno al 2004, era un adolescente mentre adesso è sulla quarantina». Il professore, però, ci rende attenti su un aspetto: «Quando parliamo di social non citiamo mai i servizi di messaggistica, che certo hanno meno funzioni ma sono utilizzatissimi. C’è chi non posta pubblicamente ma lo fa nei vari gruppi di WhatsApp o Telegram. Sono dinamiche, queste, del tutto simili».
Detto della fine, ancora lontana, di questi social, all’orizzonte si delineano due direttive: quella della cosiddetta app universale, un’idea accarezzata più volte da Musk, e quella delle spunte blu e in generale dei servizi a pagamento. «Su questi aspetti, personalmente, sono un po’ scettico» conclude il professore. «Ritengo che la vera killer application sarà l’intelligenza artificiale e, in particolare, come verrà integrata. Ne aveva parlato in tempi non molto lontani Bill Gates. Chi riuscirà a proporre qualcosa in questo senso, beh, vincerà tutto».