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OpenAI ha raccolto un sacco di soldi, ma che cosa ci farà?

Esperti e analisti sottolineano come il passaggio da start-up «mossa da ideali» a società a scopo di lucro sia complicato – Le perdite, quest'anno, dovrebbero aggirarsi sui 5 miliardi di dollari
Il co-fondatore e CEO di OpenAI Sam Altman. © Bryan R. Smith
Marcello Pelizzari
08.10.2024 13:30

Mercoledì, OpenAI ha completato un'importante, se non importantissima raccolta fondi. La start-up alla base di ChatGPT e della conseguente ondata legata all'uso di intelligenza artificiale generativa (IA) ha messo assieme 6,6 miliardi di dollari. Arrivando, infine, a una valutazione aziendale pari a 157 miliardi di dollari. Cifre, certo, da capogiro. Eppure, non sono in pochi a interrogarsi sul futuro di OpenAI o, meglio, sulla strada che intraprenderà.

Fra perdite e obiettivi

Al momento, OpenAI è una delle tre maggiori società non quotate al mondo. Sul podio, diciamo, è in buona compagnia: l'azienda californiana condivide infatti questo primato assieme a SpaceX di Elon Musk e al colosso cinese ByteDance, la casa madre di TikTok. Nonostante ciò, OpenAI è tutto fuorché redditizia. Possibile? Sì, evidentemente. Secondo il New York Times, l'oramai ex start-up prevede di perdere circa 5 miliardi di dollari quest'anno. A fronte di un fatturato di circa 3,7 miliardi di dollari. Il punto è che i modelli di intelligenza artificiale generativa, addestrati sfruttando un'enorme quantità di dati affinché, su precisa richiesta, producano testi, immagini e altri contenuti, hanno bisogno di parecchia energia e, parallelamente, necessitano di chip all'avanguardia come quelli di Nvidia. Chip, di riflesso, molto cari. In un'intervista rilasciata giovedì alla CNBC, la direttrice finanziaria di OpenAI ha ammesso che l'intelligenza artificiale generativa «è un'attività ad alta intensità di capitale». E questo perché, banalmente, «il prossimo modello sarà più grande e quello successivo ancora più grande» in una corsa che, pare di capire, potrebbe lasciare più di uno strascico. 

Detto delle perdite previste per il 2024, sempre secondo il New York Times OpenAI prevede di generare un fatturato di 11,6 miliardi l'anno prossimo. La forza dell'azienda, se vogliamo, è la sua base clienti. Mercoledì scorso, durante la raccolta fondi, è stato detto e ribadito che ChatGPT vanta «oltre 250 milioni di utilizzatori in tutto il mondo». Mica male. Anche se, al netto di chi sottoscrive un abbonamento, «OpenAI perde denaro ogni volta che qualcuno utilizza il suo servizio» ha spiegato nella sua newsletter Edward Zitron, fra i massimi esperti di Tech in circolazione. A mancare, insomma, sarebbe una strategia per arrivare all'agognata redditività.

C'è chi ha lasciato il progetto

Da tempo, non a caso, Sam Altman – fra i co-fondatori nonché attuale amministratore delegato di OpenAI – ha virato verso il guadagno o, meglio, verso un'azienda a scopo di lucro. Il tutto, sembra un paradosso ma non lo è, tenendo fede all'obiettivo di sempre, quello di arrivare a una IA generale, intelligente quanto gli esseri umani, da «regalare» al mondo. Friar, giovedì, al riguardo ha spiegato: «Vogliamo essere un'azienda più tradizionale. Perché complicare cose che non hanno bisogno di essere complicate? Auspichiamo che l'azienda funzioni per tutte le parti interessate».

Ma il cambiamento, lo sappiamo, è stato oggetto di discussioni, polemiche e perfino faide interne o lotte intestine che dir si voglia. Elon Musk, che nel 2015 contribuì a lanciare OpenAI, ribadisce spesso che l'azienda, questa azienda, lo ha ingannato. E lo stesso ha fatto con il resto del mondo, siccome OpenAI avrebbe tradito la sua missione iniziale. Diverse persone, fra cui Mira Murati, direttrice tecnica, nel frattempo hanno abbandonato la nave. Resta in sella, saldamente verrebbe da dire, soprattutto pensando a quanto accadde lo scorso novembre, quando venne licenziato dal Consiglio di amministrazione, Sam Altman. Il quale gode della fiducia e della stima di Microsoft, il principale investitore di OpenAI.

La concorrenza

Al citato round di finanziamento hanno partecipato Microsoft, che a suo tempo aveva iniettato nella start-up qualcosa come 13 miliardi di dollari, Nvidia, SoftBank e MGX, un fondo di investimento sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti. Microsoft, ha chiarito Friar, rimarrà il partner principale. Quello con cui, per intenderci, vi sarà una condivisione di proprietà intellettuale e prodotti. OpenAI, nel raccogliere fondi, stando al Financial Times si sarebbe garantita una clausola importante: chi si è impegnato a investire nell'azienda californiana non lo farà altrove, presso la concorrenza. Una concorrenza sempre più agguerrita, al di là del ruolo chiave esercitato da OpenAI nell'aprire il settore al business e all'utilizzo dell'intelligenza artificiale generativa fra, passateci l'espressione, i comuni mortali. Sul mercato, già oggi, esistono alternative altrettanto valide e credibili – fosse anche solo per il fatto che hanno utilizzato dati di addestramento simili – a ChatGPT. Una di queste è Grok, l'intelligenza artificiale di X e, in ultima istanza, di Elon Musk.