Quale futuro avrà l'intelligenza artificiale, dopo il siluramento di Sam Altman?
E adesso? La domanda, dopo il siluramento di Sam Altman, è più che mai attuale. Riformuliamo: che futuro avrà OpenAI, quale soprattutto, dopo che il consiglio di amministrazione ha fatto fuori il cofondatore e amministratore delegato dell'azienda? Il tutto, si badi, facendo arrabbiare il principale partner e investitore di OpenAI, Microsoft. Allargando il campo, che ne sarà dello sviluppo dell'intelligenza artificiale e della sua regolamentazione, ora che Altman – fra i primi se non il primo a insistere affinché vengano stabiliti dei confini – sembrerebbe fuori dai giochi?
Il consiglio di amministrazione di OpenAI, più o meno apertamente, nel suo comunicato ha fatto capire di aver perso fiducia nelle capacità di Altman. Cose che succedono, si dirà, nell'universo tech. Perfino Steve Jobs, a suo tempo, venne cacciato dalla sua stessa azienda, la Apple. Salvo poi farvi ritorno in pompa magna, anni dopo. A contribuire alla mossa, secondo i media, sarebbero state da un lato le lotte intestine sullo status di Open AI. Ovvero: deve rimanere un'azienda non profit o votarsi al guadagno?
Nessuna azione
Di sicuro, il fatto che Altman non possedesse azioni della società non ha aiutato. Se ne avesse avute, sarebbe stato più complicato licenziarlo. Una rarità, se vogliamo, che aveva fatto esitare non poche società di venture capital. Restie a investire in un'azienda il cui fondatore, dall'oggi al domani, avrebbe potuto finire male. Così è stato, in effetti.
Detto ciò, OpenAI non è una start-up qualunque. È stata, e rimane, alla base di una vera e propria rivoluzione. Quella dell'intelligenza artificiale, appunto. E il merito, beh, è proprio di Altman. Che ha ottenuto investimenti esterni, in particolare da Microsoft, instillando altresì una mentalità imprenditoriale. Senza finanziamenti, non sarebbe stato possibile costruire e allenare un modello linguistico enorme come ChatGPT. Per tacere di DALL-E.
Le ricadute, ora, potrebbero essere pesanti. Se non pesantissime. Non tanto, o non solo, in termini di proteggere l'umanità da un'intelligenza artificiale che potrebbe, passateci il termine, impazzire. Ma altresì perché la prossima generazione di modelli di intelligenza artificiale richiederà enormi quantità di denaro. E OpenAI, fresca di siluramento del suo CEO, dovrà dimostrare a Microsoft innanzitutto di essere (ancora) un'azienda solida, stabile e votata al profitto. Un'azienda che, al momento, vale 90 miliardi di dollari circa. I rischi, per Microsoft, in caso contrario sarebbero incalcolabili. Semafor, al riguardo, scrive che OpenAI potrebbe avere bisogno di Microsoft più di quanto Microsoft abbia bisogno di OpenAI. Tradotto: la concorrenza è agguerrita e il colosso fondato da Bill Gates e Paul Allen, un domani, potrebbe rivolgere altrove i propri interessi.
E Altman, che cosa farà?
Quanto a Sam Altman, la cui politicizzazione non è granché gradita nella Silicon Valley, verosimilmente fonderà una nuova società assieme a Greg Brockman, oramai ex presidente di OpenAI dopo le dimissioni presentate venerdì. «Sam e io siamo scioccati e rattristati da ciò che il consiglio ha fatto oggi» ha twittato Brockman circa la decisione di far fuori Altman. «Anche noi stiamo ancora cercando di capire esattamente cosa sia successo». Da buon enfant prodige dell'intelligenza artificiale, stando ai più, Altman non dovrebbe avere problemi a raccogliere ingenti capitali per un'avventura lontano da OpenAI.
Resta da capire, tornando a Microsoft, che cosa farà il colosso rispetto a OpenAI. Se, per intenderci, continuerà a utilizzare i modelli di OpenAI per i propri prodotti o se stia già pensando a possibili sostituiti. Detto dell'addio di Altman, in OpenAi è ancora forte il sentimento che la start-up debba essere amministrata e gestita da qualcuno che abbia a cuore, innanzitutto, la sicurezza dell'intelligenza artificiale e, di riflesso, dell'umanità rispetto ai profitti. Una posizione che Microsoft non necessariamente condivide. Mira Murati, che sostituirà proprio Altman, potrebbe in ogni caso rappresentare il giusto equilibrio vista la sua esperienza.
Chi potrebbe approfittarne?
In generale, se fino a venerdì OpenAI sembrava in netto, nettissimo vantaggio sulla concorrenza, la stessa concorrenza ora potrebbe beneficiare dello stallo creatosi con l'uscita di scena di Sam Altman. Citiamo Anthropic, fra l'altro fondata da un gruppo di ex dipendenti di OpenAI preoccupati per la sicurezza dell'intelligenza artificiale, ma anche Google, Amazon e altri, tantissimi altri ancora. Fra cui il discusso Elon Musk, che ha appena lanciato Premium+ su X alla modica cifra di 20 franchi al mese. Si tratta di un'aggiunta rispetto alle versioni Basic e Premium che, parola dell'eccentrico miliardario, darà l'accesso a Grok, l'intelligenza artificiale sviluppata proprio dal team di Musk. In realtà, come è stato contestualizzato dagli utenti di X, l'abbonamento Premium+ è «solo» la condizione per poter accedere alla lista d'attesa di Grok. In ogni caso, è evidente che anche Musk vuole essere della partita.
Come spesso accade negli articoli sull'intelligenza artificiale e dintorni, in conclusione abbiamo chiesto un parere e un giudizio proprio a ChatGPT, la creatura di Altman. Dopo i soliti convenevoli e le solite precisazioni, fra cui quella di non sapere che cosa è successo nel mondo dopo il gennaio 2022, alla domanda se OpenAi sia destinata a fallire senza il suo fondatore il chatbot ha risposto così: «Non posso fare previsioni sul futuro di OpenAI o su come la sua leadership possa influenzare il suo successo. Molte variabili possono incidere sul destino di un'organizzazione. Tuttavia, OpenAI è composta da un team di professionisti altamente qualificati, e il suo successo dipenderà da diversi fattori, tra cui la sua capacità di adattarsi alle sfide e innovare nel campo dell'intelligenza artificiale».