Sam Altman e gli altri: intelligenza artificiale, problemi reali
Il paragone con Steve Jobs, beh, era balzato subito all'occhio: anche il fondatore di Apple, infatti, a suo tempo era stato cacciato dalla sua stessa azienda. Proprio come Sam Altman. Che, in netto anticipo rispetto a Jobs, che impiegò dodici anni prima di rimettere piede in azienda, nel weekend secondo le indiscrezione sarebbe stato sul punto di rientrare. A conferma, se vogliamo, di un certo caos generatosi all'interno di OpenAI. Alla fine, nella tarda serata di domenica la start-up americana ha virato sull'ex Twitch Emmett Shear quale nuovo amministratore delegato. Non finisce qui, però, dato che al contempo Microsoft – il principale investitore e partner di OpenAI – su X ha annunciato che assumerà Altman e il presidente dimissionario di OpenAI, Greg Brockman per guidare un team di ricerca sull'intelligenza artificiale avanzata. Urca.
Il rischio che l'AI diventi senziente
Altman, ricordiamo, è stato silurato – all'improvviso – venerdì. Ufficialmente perché il consiglio di amministrazione di OpenAI non aveva più fiducia in lui. Secondo i bene informati, invece, perché erano emersi attriti con alcuni membri dello stesso consiglio di amministrazione. Fra cui lo scienziato capo Ilya Sutskever. Il pomo della discordia? I rischi legati a uno sviluppo troppo rapido, guidato in particolare dal profitto, dell'AI. Brockman, a sua volta, ha lasciato l'azienda poco dopo l'annuncio di Altman.
Le funzioni di amministratore delegato, prima di nominare Shear, sono state assunte a interim da Mira Murati. Una mossa che, a sua volta, ha suscitato reazioni contrastanti. E spinto molti dipendenti a lasciare o minacciare di lasciare OpenAI. Gli investitori, nel frattempo, hanno esercitato pressioni sul consiglio di amministrazione affinché riconsiderassero la decisione di licenziare Altman.
Shear, fra i fondatori di Twitch, ha lasciato la piattaforma di livestreaming lo scorso marzo dopo sedici anni per dedicarsi al suo primo figlio. Chi lo conosce bene lo definisce un tecno-ottimista, sebbene lo stesso Shear abbia espresso più di una volta timori circa la possibilità che l'intelligenza artificiale diventi senziente: «Non è una cosa di cui ci possiamo occupare più avanti. È un grosso problema».
L'allontanamento, le trattative per il ritorno di Altman e, infine, la mossa di nominare un nuovo amministratore delegato, fra i media specializzati, hanno sollevato più di un dubbio circa la capacità di OpenAI di mantenere la necessaria solidità. Alcuni investitori, Microsoft compreso, avevano espresso dubbi circa l'esperienza in ambito aziendale dello stesso consiglio di amministratore.
La vicenda, come detto, mostra un'evidente spaccatura all'interno della start-up. Da una parte, chi vede nell'AI generativa una possibilità per fare soldi. Dall'altra, chi intravede possibili rischi per l'umanità (qui e qui, per alcuni approfondimenti). A guidare il reintegro di Altman, fra gli altri, c'era proprio Microsoft. Che a OpenAI ha promesso 13 miliardi di dollari in finanziamenti e garantito risorse a lviello di cloud.
Obiettivi e soldi
Altman ha fondato OpenAI nel 2015 assieme a Brockman, un gruppo di ricercatori di alto profilo e, infine, Elon Musk. L'obiettivo era quello di mettere in piedi un'AI aperta e senza scopo di lucro, in netta contrapposizione a ciò che stava (e sta) facendo Google. Nel 2019, tuttavia, è emersa la necessità di raccogliere fondi importanti per spingere il lavoro di OpenAI. Di qui la creazione di una società a scopo di lucro, pur con la supervisione della società originaria. L'ascesa, in seguito, è stata clamorosa. Grazie alla guida di Altman, ai soldi di Microsoft e, va da sé, al rilascio del chatbot ChatGPT, nel novembre del 2022.
Quest'anno, prima che tutto precipitasse, OpenAI si è assicurata un ulteriore finanziamento (10 miliardi di dollari) da parte di Microsoft. Questo mese, ha annunciato una versione ancora più potente dell'intelligenza artificiale alla base di ChatGPT, denominata GPT-4 Turbo.
Gli effetti principali dell'esplosione di OpenAI sono stati, su un fronte, l'accelerazione da parte di concorrenti – come Google – dei propri progetti di intelligenza artificiale e, sull'altro, la creazione di un dibattito circa le possibile derive dell'AI. Fra i pericoli citati il fatto che chatbot sempre più potenti siano in grado di compiere attacchi informatici automatizzati e campagne di disinformazione. Anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è chinato sulla questione. Consapevole che un'intelligenza artificiale indisciplinata potrebbe trarre in inganno gli utenti o, peggio ancora, tentare di danneggiare l'umanità.
Nonostante lo stesso Altman, sin dal principio, avesse spinto per una regolamentazione del settore, alcuni membri del consiglio di amministrazione di OpenAI avrebbero visto nella continua ricerca di finanziamenti una spinta verso il profitto da parte dell'oramai ex amministratore delegato. Una minaccia, ai loro occhi, alla missione originaria dell'azienda: garantire uno sviluppo sicuro dell'AI.