Perù

Tra storia, mistero e natura

A 180 chilometri da Cuzco, la città considerata dagli Incas l'ombelico del mondo, in fondo alla Valle Sacra, circondata da una magica atmosfera sorge Il Machu Picchu, una montagna interamente scolpita: visitarla è un’esperienza indimenticabile! Uno dei più affascinanti misteri archeologici al mondo è costituito dalle misteriose linee di Nazca. Diviso in tre zone naturalistiche (la costa; la sierra, ossia la catena montuosa andina, e la selva, cioè la foresta pluviale amazzonica), il territorio peruviano offre al turista una straordinaria molteplicità di bellezze naturalistiche.
Giò Rezzonico
01.10.2014 12:00

Itinerario

(ottobre/novembre 2014)

  • 1° giorno Ticino - Lima
  • 2° giorno Lima
  • 3° giorno Lima - Isole Ballestas - Nazca
  • 4° giorno Nazca
  • 5° giorno Nazca - Arequipa
  • 6° giorno Arequipa - Canyon del Colca
  • 7° giorno Canyon del Colca - Lago Titicaca (Puno)
  • 8° giorno Lago Titicaca
  • 9° giorno Lago Titicaca - Cuzco
  • 10° giorno Cuzco
  • 11° giorno Cuzco - Urubamba - Aguas Calientes (Machu Picchu)
  • 12° giorno Machu Picchu - Cuzco
  • 13° giorno Cuzco - Puerto Maldonado (Foresta amazzonica)
  • 14° giorno Foresta amazzonica
  • 15° giorno Puerto Maldonado (Foresta amazzonica) - Lima
  • 16° giorno Lima - Ticino
  • 17° giorno Ticino

   

Durata del viaggio: 17 giorni

Operatore turistico: Kel12

 

 

 

  

Il nostro ampio itinerario richiede tre settimane di viaggio e tocca le destinazioni turistiche principali di questo splendido paese. Ci spostiamo in parte in aereo, in parte con un piccolo bus. Oggi si viaggia in Perù in perfetta sicurezza. Fanno ormai parte del passato i tempi (un ventennio a partire dagli anni 70) in cui il paese era sconvolto dalla guerriglia di Sendero Luminoso (si veda appendice 1) ed era pericoloso attraversarlo in automobile. 

Il viaggio ci permette in primo luogo di conoscere la storia peruviana scoprendo le civiltà preincaiche, nonché naturalmente il mondo degli Incas con la visita di Cuzco, considerata il centro del mondo ai tempi dell’impero, e della magica montagna sacra del Machu Picchu. Seguiamo anche le tracce degli invasori spagnoli che lasciarono interessanti testimonianze, soprattutto a Lima e a Cuzco. In secondo luogo rimarrete affascinati dal mistero archeologico delle linee di Nazca, che propongono animali disegnati in modo stilizzato sulle sabbie del deserto: per ammirarli si sorvola la zona in aereo. 

Il paese propone infine anche una natura straordinaria. Sulla costa visiteremo le Isole Ballestas considerate delle piccole Galapagos. Nella Sierra Andina percorreremo la Valle del Colca, dove faremo l’incontro con alpaca, lama e vigogne dalla lana sopraffina, nonché con i maestosi condor. Nella foresta amazzonica ci lasceremo affascinare dalla vegetazione e dalla fauna tropicali, mentre sul Lago Titicaca raggiungeremo le isole galleggianti abitate dagli indios Uros. 

 

La dura impronta spagnola sul Perù precolombiano

Quando si parla del periodo precolombiano in Perù il pensiero corre subito all’impero, nonostante questa civiltà fosse stata preceduta da altre culture altrettanto affascinanti ed estremamente evolute. Ma allora perché degli Incas sappiamo molto, mentre per quanto riguarda i loro antenati siamo costretti ad attenerci alle ipotesi degli archeologi? Sostanzialmente perché tutte queste popolazioni, Incas inclusi, non possedevano un sistema di scrittura. Della giovane civiltà Incas, nata appena un secolo prima dello sbarco dei conquistadores, sappiamo molto perché quando gli Spagnoli condotti da Pizarro conquistarono il Perù nella seconda metà del XVI secolo avevano cronisti al seguito, che ci hanno trasmesso numerose testimonianze raccolte all’epoca. I cronisti, in mancanza di testi scritti basavano infatti le loro ricerche su fonti orali, che li informavano in modo preciso sulla cultura Incas, ma non avevano nessun interesse a raccontare la lunga e complessa storia dei popoli che li avevano preceduti. Il loro intento era infatti di proporre agli Europei un’immagine gloriosa di sé stessi, presentando le Ande come una terra popolata da selvaggi ai quali solo l’arrivo degli Incas portò la luce della civiltà.

Gli Spagnoli dominarono le colonie latinoamericane per quasi quattro secoli, fino all’inizio dell’Ottocento. In Perù la maggior parte delle realizzazioni architettoniche della civiltà Incas vennero letteralmente smontate dagli invasori e con quel raffinato materiale – si trattava di pietre perfettamente levigate – vennero costruiti i palazzi e le chiese cattoliche dei conquistadores. Per questa ragione, salvo al sito del Machu Picchu, che non fu mai scoperto dagli Spagnoli, sono giunte a noi nella loro integrità ben poche costruzioni incaiche. Per contro le principali città del paese propongono un’interessante architettura coloniale, che ricorda moltissimo quella della terra madre: la Spagna.

Le testimonianze più interessanti del periodo coloniale – almeno quelle sopravvissute ai numerosi terremoti – sono rappresentate da palazzi, ma soprattutto da edifici religiosi. I principali si trovano a Lima, dove nella cattedrale sono custodite le spoglie di Pizarro, ad Arequipa, dove si può visitare un complesso religioso di 20 mila metri quadrati, una vera e propria cittadella nella città, e nella magnifica Cuzco, dove visitando il centro storico ci si immerge nell’epoca coloniale.

Di particolare interesse a Cuzco e nei suoi dintorni le opere prodotte dalla Escuela Cuzqueña di pittura, alla quale si devono sorprendenti combinazioni tra l’arte europea del XVII secolo e la fantasia degli artisti andini legati alla loro tradizione. Uno degli esempi più eloquenti di questo incontro è rappresentato nella cattedrale di Cuzco dalla raffigurazione di una Madonna, che indossa una gonna a forma di montagna orlata da un fiume che scorre: un’immagine che ricorda quella della Pachamama, la Madre Terra della civiltà Incas. A noi piace pensare che questo adattamento della Vergine Maria in un personaggio religioso andino fosse anche un modo per resistere e ribellarsi al modo opprimente con cui gli Spagnoli imposero la loro religione e la loro cultura alle popolazioni indigene. 

 

Lima, la città dei re

Diciamo la verità, Lima è una città interessante per i suoi musei, è probabilmente una città seducente per viverci, ma non è una bella città. Da aprile a ottobre è immersa nella nebbia e il suo cielo, come scrive il premio Nobel peruviano Mario Vargas Llosa è «color cenere». Si dice che Pizarro fondò qui la «città dei re» perché essendo sbarcato in estate non si rese conto del suo clima mutevole.

Il centro storico che si sviluppa attorno alla Plaza Mayor conserva ancora una certa eleganza con le vestigia architettoniche più visibili e raffinate dell’epoca coloniale. Un reticolo di affollate stradine risalenti ai tempi di Pizarro ospita la maggior parte di edifici coloniali giunti intatti fino ai nostri giorni. Più volte distrutta da terribili terremoti, saccheggiata e occupata dall’esercito cileno durante la guerra del Pacifico (1879-1883), terra di rifugio per milioni di contadini andini che negli anni Ottanta sfuggirono dalla follia dei guerriglieri (cfr. Appendice 1), Lima aveva 300 mila abitanti nel 1930, tre milioni e mezzo negli anni ’70 e oggi si avvicina ai 10 milioni. Interessante notare, infine, che a Lima si possono ammirare diverse costruzioni dell’architetto ticinese Michele Trefogli di Torricella (cfr. Appendice 2). 

Prima di partire per un itinerario nel Perù vale la pena di visitare il Museo Nacional de Arqueología, Antropología e Historia del Perú, il Museo Larco (Tesoros del antiguo Perú), ed eventualmente altri come il Museo de Oro del Perú y Armas del Mundo o quello de la Nación, per rendersi conto del quadro storico del paese antecedente l’avvento della civiltà Incas. Prima del 1532, quando Francisco Pizarro approdò con i suoi uomini sulla costa settentrionale del Perù, le Ande erano infatti già state testimoni dell’ascesa e del declino di numerose civiltà. Tra queste, la cultura Chavín, che fiorì attorno al primo millennio avanti Cristo ed è considerata la madre delle civiltà peruviane; la civiltà Nazca; i bellicosi Huari, che verso il 600 dopo Cristo costruirono una capillare rete stradale e, ovviamente, gli Incas, il cui impero arrivò a estendersi dalla Colombia meridionale fino a metà dell’odierno Cile. 

 

CUZCO E IL MACHU PICCHU

Quando si parla del Perù il pensiero corre subito al Machu Picchu e alla civiltà incas. E in effetti la visita alla Montagna Sacra non delude le aspettative. Nonostante il fortissimo afflusso di turisti – alcune migliaia al giorno – il Machu Picchu, grazie alla sua magia e alla sua vastità, regge bene l’impatto. È situato in fondo a una strettissima valle chiusa da imponenti montagne con una vegetazione amazzonica. 

 

Verso la Valle Sacra

Raggiungiamo questa valle dove scorre il Fiume Sacro uscendo a ovest di Cuzco, che visiteremo al ritorno, per passare da Maras, una località famosa per la sua miniera di sale. Il luogo è particolarmente suggestivo. In questa ripida vallata gli Incas hanno ricavato dei terrazzamenti, dove hanno scavato numerose vasche collegate tra loro da canali scolpiti nella roccia. L’acqua che sgorga dalla sorgente e finisce nelle vasche è fortemente salata (molto più di quella del mare), perché lungo il suo percorso attraversa una montagna costituita di sale. Una volta raccolta nelle vasche viene lasciata evaporare al sole per ottenere un sale purissimo. Ancora oggi i contadini del vicino villaggio utilizzano queste antiche saline degli Incas, gestendole in cooperativa come attività accessoria.

Da Maras la strada scende ripida verso la Valle Sacra, dove si raggiunge l’interessante sito archeologico di Ollantaytambo. La fortezza-tempio, che si trova in posizione strategica su un’antica via d’accesso alla regione amazzonica, fu l’ultima roccaforte incas a resistere all’esercito spagnolo. Osservandola si resta colpiti dai terrazzamenti in pietra che si stagliano contro il profilo naturale dei dirupi. La zona del tempio, finemente lavorata, si trova in cima alle terrazze. All’epoca della conquista erano in costruzione delle mura che non furono mai ultimate. In alto, sopra l’altra sponda del Fiume Sacro, si trovano altri edifici incas in rovina e una inquietante roccia scolpita, che rappresenta Viracocha: il dio creatore del Perù osserva i turisti con sguardo particolarmente severo.

A Ollantaytambo termina la strada carrozzabile e parte il treno che porta ad Aguas Calientes, dove pernottiamo e ripartiamo il mattino seguente di buon’ora per salire in corriera al Machu Picchu. Oltre il villaggio di Ollantaytambo la Valle Sacra si restringe fino a coincidere con il corso del tumultuoso fiume immerso in una vegetazione subtropicale, circondato da montagne torreggianti e dominato dalla cima innevata del Salcantay, che ammiriamo dai finestrini del treno.

 

Machu Picchu. Tetto del mondo

Quando si arriva su quella cima, nonostante ci si trovi a un’altezza di soli 2400 metri, sembra di avere raggiunto il tetto del mondo. Tutt’attorno, altre montagne più alte, che il mattino sono sovente immerse nella nebbia, conferiscono al luogo un’atmosfera ancora più suggestiva. In basso le acque del Fiume Sacro che scorre sinuoso verso il Rio delle Amazzoni circondano la montagna. I palazzi, i templi e i terrazzamenti sono interconnessi da più di un centinaio di scalinate in pietra a forte pendenza. Colpisce la capacità degli Incas di integrare la natura esistente nei loro progetti architettonici. Attorno a un’enorme roccia già presente sul luogo sono per esempio stati costruiti tre templi (dedicati al sole, alla terra e all’acqua) incorporando questo elemento naturale considerato sacro nell’intervento architettonico dell’uomo. In qualsiasi punto ci si trovi si possono ammirare terrazzamenti spettacolari che sembrano tagliare i pendii scoscesi, trasformando le montagne in giardini pensili. La cittadella, progettata ed edificata a metà del Quattrocento dall’imperatore Pachacuti, non fu mai trovata dagli Spagnoli e fu quindi risparmiata fino alla sua scoperta nel 1911 dalle razzie dei conquistadores e dei tombaroli. A riportare alla luce le rovine ricoperte da una fitta vegetazione fu l’esploratore statunitense Hiram Bingham, convinto di aver scoperto la favolosa città perduta di Vilcabamba, ultimo rifugio degli Incas perseguitati dai conquistadores. Questa tesi venne però smentita in seguito dagli archeologi, nonostante siano tuttora costretti ad affidarsi a supposizioni sulla natura del Machu Picchu, dato che la civiltà incas, così come quelle che la precedettero, non possedeva un sistema di scrittura e quindi non tramandò le sue conoscenze. Ciò nonostante la presenza di numerosi edifici sacri indica che si trattava di un centro cerimoniale, anche se nelle urbanizzazioni incas non esisteva quasi mai una rigida separazione tra il sacro e ciò che apparteneva al mondo del commercio e dell’economia. Di conseguenza questa cittadella è considerata dagli archeologi un classico e ben conservato esempio di centro urbano incas suddiviso in quattro zone: abitativa, agricola, sacra (con particolare attenzione all’astronomia) e artigianale.

 

Cuzco, ombelico del mondo

Dal Machu Picchu, che è il maggiore gioiello della cultura incas giunto fino a noi, ritorniamo a Cuzco che era il centro dell’impero incaico e dista quasi 200 chilometri, oggi percorribili in treno. Secondo la leggenda, nel XII secolo, Inti, il dio sole, alla ricerca di un territorio per il suo popolo guardò verso la terra e creò Manco Cápac, il primo incas, e Mama Ocllo, sua sorella e consorte. La coppia nacque sull’Isola del Sole nel Lago Titicaca, da dove intrapresero un lungo cammino. Inti consegnò a Manco una verga d’oro chiedendogli di trovare un terreno in cui sarebbe riuscito a conficcarla fino a farla scomparire: quello sarebbe stato l’ombelico del mondo. Nacque così l’affascinante città di Cuzco, indiscussa capitale archeologica del continente sudamericano e oggi una delle città più turistiche della terra. 

L’espansione che portò alla creazione dell’impero incas iniziò solo con il nono re Pachacutec, che si rivelò anche un eccellente urbanista, ideando Cuzco a forma di puma: un animale sacro. Fino ad allora gli Incas avevano dominato solo una piccola zona attorno alla capitale. Il successore di Pachacutec, suo figlio Túpac Yupanqui nella seconda metà del XV secolo conquistò altri territori. Alla sua morte l’impero si estendeva da Quito in Ecuador fino a sud di Santiago del Cile, passando per tutta la costa dell'oceano Pacifico. 

Gli Spagnoli, guidati da Francisco Pizarro, conquistarono Cuzco l’8 novembre del 1533 con un manipolo di uomini. Ma dopo avere occupato e saccheggiato la città rivolsero la loro attenzione soprattutto alla nuova capitale Lima e Cuzco entrò in un lento letargo diventando una delle tante città coloniali. Nel corso delle guerre di conquista gli Spagnoli avevano saccheggiato oro e argento e avevano letteralmente smontato gli edifici e utilizzato i raffinati materiali per costruire chiese cattoliche e palazzi. Oggi Cuzco è certamente la città del Perù che testimonia in modo più affascinante i fasti dell’architettura coloniale. Le numerose vie che convergono sulla splendida e pittoresca Plaza de Armas, cuore della Cuzco incas e in seguito fulcro della città dei conquistadores, conducono nei vari quartieri che risalgono all’epoca della conquista spagnola. Ma allo stesso tempo, in città e negli immediati dintorni, rimangono importanti testimonianze dell’impero incas e della curiosa urbanistica a forma di puma, con la piazza centrale situata nella posizione del petto dell’animale sacro e la testa nella collina dove si trova la fortezza di Sacsayhuamán.

 

Nel cuore della civiltà incas

A pochi passi da Plaza de Armas, nella posizione delle zampe posteriori del puma, si trovava Koricancha, il più ricco tempio dell’impero incas che aveva le pareti completamente rivestite in oro e argento (si parla di 700 lamine d’oro massiccio del peso di 2 chilogrammi ciascuna), dove si ritiene fossero custoditi i corpi mummificati di diversi sovrani incas e dove i sacerdoti sembra studiassero le attività dei corpi celesti. I blocchi dei muri in pietra levigata sono incastrati in maniera così precisa che tra uno e l’altro non si riesce a inserire un foglio di carta. La posizione di questo tempio era stata accuratamente studiata: dal complesso si diramavano dozzine di sentieri sacri diretti verso oltre 300 centri cerimoniali o altri luoghi di culto. Costruito all’inizio del XV secolo, pochi decenni più tardi fu saccheggiato dai conquistadores, in parte distrutto e in seguito trasformato in chiesa cattolica dai domenicani. Oggi il sito si presenta come una strana combinazione di elementi architettonici incas e coloniali, sormontati da un modernissimo tetto protettivo in metallo e vetro.

Su una collina, attualmente nella periferia della città, in corrispondenza della testa del puma, si trova Sacsayhuamán, che fu una fortezza, ma probabilmente anche un centro cerimoniale. Le sue mura corrono a zig zag per 600 metri sull’altipiano e sono considerate uno dei grandi tesori archeologici del Sud America, anche se della struttura originale non rimane che il 20 per cento. Dopo la conquista gli Spagnoli «smontarono» infatti molti muri, convinti che fossero opera del diavolo, e utilizzarono le pietre perfettamente levigate per costruire le loro case a Cuzco, ma lasciarono sul posto i massi più imponenti perché erano troppo pesanti: mediamente 300 tonnellate ciascuno. Ci si chiede come avessero fatto gli Incas a trasportarli fin lì dalle cave distanti diversi chilometri. 

Ai margini della città si possono visitare altri luoghi sacri. A Qenqo, su un altare ricavato dalla roccia e dominato da una scultura raffigurante un puma, si effettuavano supplizi di animali, il cui sangue scorreva verso una grotta sottostante lungo canali scavati nel sasso. A Puka Pukara (Fortezza rossa), lungo la strada che porta alla Valle Sacra, venivano probabilmente ospitati i viandanti. Mentre a Tambomachay, un luogo soprannominato «il Bagno degli Incas», si può ammirare un tempio dedicato al culto dell’acqua, che sgorga tuttora dalla roccia.

 

LE MISTERIOSE LINE DI NAZCA

Un colibrì, un pellicano, un ragno, un puma, una lunghissima lucertola, una scimmia con una stravagante coda arrotolata e, non poteva mancare, un condor dall’enorme apertura alare. Una galleria d’arte all’aperto incisa nella sabbia del deserto, uno dei più affascinanti misteri archeologici del mondo. Stiamo parlando delle cosiddette linee di Nazca in Perù, attorno alle quali sono nate un’infinità di interpretazioni. Ma come ha affermato la matematica e archeologa tedesca Maria Reiche, conosciuta come la «Dama de Nazca», che ha dedicato la sua vita a studiarle, su un fatto tutti concordano: «rappresentano un meraviglioso equilibrio tra paesaggio e arte. Ciò che mi appassionò sin dall’inizio – ha affermato in un’intervista la studiosa oggi scomparsa – fu questa mediazione e intreccio tra natura e cultura. E l’uomo antico ha saputo rispettare questo accordo». A scoprire queste opere d’arte a cielo aperto fu l’archeologo americano Paul Kosok nel 1939, quando sorvolando il deserto notò una serie di lunghissime linee e di enormi figure incise nel paesaggio. Maria Reiche cominciò a studiarle e a «restaurarle» nel 1946. «È stato sufficiente spostare polvere e sassi – spiegava ai turisti durante una conferenza quotidiana che teneva nei saloni dell’Hotel de Turistas a Nazca – per fare emergere porzioni di superficie più chiare perché meno esposte al sole, che si sono mantenute inalterate per molti secoli grazie alla quasi totale assenza di precipitazioni e di vento nella zona». Quanto alla realizzazione di queste enormi figure, che si estendono per centinaia di metri, la studiosa riteneva che fossero state realizzate prima su modelli in scala ridotta per poi riproporli sul terreno grazie all’utilizzo di lunghe corde.

 

In volo sopra le Linee di Nazca

Per ammirare i misteriosi disegni, che si estendono nella Pampa de San José su una superficie di 500 chilometri quadrati, vengono organizzati da varie società durante tutta la giornata voli con piccoli aerei. I velivoli volteggiano per circa mezz’ora sopra le magiche figure offrendo ai turisti vedute davvero sorprendenti. 

Ma il mistero sulle fantomatiche linee rimane irrisolto, anche perché la civilta Nazca non possedeva un sistema di scrittura attraverso il quale comunicare ai posteri la sua storia. Maria Reiche era convinta che le linee rappresentassero una sorta di calendario astronomico correlato ai punti in cui i corpi celesti sorgevano e tramontavano verso oriente e verso occidente. L’archeologo peruviano Manuel Toribio Mejía Xesspe riteneva invece che fossero state create per camminare o danzare, probabilmente a scopi rituali. Dopo aver studiato il fenomeno per un decennio, Anthony Aveni, uno dei principali archeoastronomi del mondo è arrivato alla conclusione che si trattasse di sentieri percorsi durante riti per propiziare la pioggia. Non è mancato chi ha scomodato anche gli extraterrestri per spiegare il mistero di Nazca. 

 

La civiltà Nazca

Le sabbie del deserto su cui si estendono le linee di Nazca nascondevano anche le tracce di una delle numerose culture preincaiche presenti in Perù. La civiltà Nazca, esistita tra il 200 e l’800 dopo Cristo, è famosa per le sue ceramiche riccamente decorate, che hanno permesso di studiarne la storia. Alcune delle figure rappresentate sugli oggetti rinvenuti dagli archeologi – motivi e disegni di ogni genere, da piante e animali a feticci e divinità – riecheggiano le stesse linee di Nazca.

Il museo archeologico della vicina cittadina di Ica e il Museo Arqueológico Antonini espongono numerosi oggetti di questa civiltà, tra cui una ricca collezione di ceramiche. Particolarmente impressionanti sono una serie di mummie incredibilmente ben conservate (da quelle di bimbi a quella di un piccolo macaco) e una ricca presenza di teschi. Alcuni presentano tracce di interventi chirurgici. Le civiltà preincaiche praticavano infatti delicate operazioni al cranio. E, a quanto sembra, in molti casi con successo. Altri mostrano invece importanti deformazioni. Nel rispetto di credenze religiose, ai neonati veniva infatti fasciata la testa per ottenere crani allungati. Altri ancora finivano appesi alla cinture dei guerrieri, che esibivano orgogliosi i teschi delle vittime uccise in combattimento.

 

Acquedotti e cimiteri Nazca

Nei dintorni dell’animata e simpatica cittadina di Nazca si possono visitare acquedotti e cimiteri risalenti all’epoca delle famose linee. L’acquedotto, che portava l’acqua dalle montagne verso la città, è costruito in sasso ed è intercalato da una serie di pozzi, dove si può scendere fino all’acqua seguendo un tragitto a spirale. I due cimiteri si trovano invece in un desolato deserto verso sud non distanti uno dall’altro. Quello di Cahuachi, dove gli scavi sono tuttora in corso, era probabilmente destinato ai notabili. Su un rilievo naturale si erge un imponente gruppo di sei piramidi e un luogo destinato alla mummificazione. A Chauchilla, invece, sparse su un terreno desertico polveroso si vedono letteralmente migliaia di tombe destinate alla gente comune. Alcune, profanate dai tombaroli, sono state lasciate aperte e offrono alla vista del visitatore corpi mummificati di persone sole, di coppie o di intere famiglie. Il luogo è molto suggestivo, ma per certi aspetti anche macabro, perché i tombaroli hanno sparpagliato frammenti di ossa sul terreno che sono tuttora visibili. 

 

LE MERAVIGLIE DELLA NATURA

Quando si parla di Perù il pensiero corre subito al Machu Picchu e alle misteriose linee di Nazca, ma questo affascinante paese dell’America latina è molto interessante anche per le sue bellezze naturali: la foresta amazzonica, sinonimo di avventura e di scoperta; le vallate solcate dai condor, animali sacri per la civiltà incas; le immense spiagge oceaniche lungo la costa occidentale; le Isole Ballestas, considerate delle Galapagos in miniatura; i paesaggi montani andini; il Lago Titicaca con le sue isole galleggianti, dove secondo la tradizione sulla Isla del Sol nacquero Manco Cápac, il primo Incas, e Mama Ocllo sua sorella e consorte. 

 

Il fascino della foresta amazzonica

Forse perché sinonimo di avventura, la scoperta naturalistica più affascinante del viaggio è certamente l’incontro con la foresta amazzonica meridionale. Nei bellissimi resort rispettosi dell’ambiente e immersi nella vegetazione tropicale, dal sorgere del sole al tramonto si è accompagnati da un assordante canto di uccelli. Durante la giornata si può partecipare a gite lungo i fiumi Tambopata o Madre de Dios, entrambi affluenti del Rio delle Amazzoni, e avventurarsi lungo canali e sentieri che penetrano nella foresta alla scoperta di caimani, scimmie, uccelli di ogni genere, bradipi, tapiri e ogni sorta d’insetti. Osservando le guide muoversi in quel paesaggio tanto affascinante quanto inospitale ci si rende conto di come la nostra società abbia perso il contatto con la natura e i suoi segreti.

La foresta amazzonica meridionale del Perù è considerata uno dei migliori luoghi del Sud America per osservare gli animali nel loro habitat. Questa regione, con il bacino idrografico del Río Madre de Dios, suo cuore pulsante, abbraccia una larga fascia di foresta pluviale compresa tra le Ande e il confine con la Bolivia e il Brasile. Gran parte del territorio è protetto all’interno del perimetro dei parchi nazionali e delle riserve naturali. Il Perù si è infatti distinto per la salvaguardia di questo patrimonio mondiale e quando si sorvola la zona il verde brillante della foresta peruviana spicca accanto al color ruggine delle aree deforestate oltre il confine. Secondo l’Instituto de Investigaciones de la Amazonía Peruana (IIAP), questo paese ospita più specie di uccelli (circa 1800) di qualsiasi altra nazione del pianeta e figura al vertice della classifica anche per mammiferi, pesci di acqua dolce, anfibi e piante da fiore. Circa un quinto delle farfalle del mondo svolazza in queste foreste.

La giungla occupa il 50 per cento del territorio peruviano, ma accoglie solo il 5 per cento della popolazione e nella profondità della foresta parecchie tribù sono entrate in contatto con la nostra civiltà solo negli ultimi cinquant’anni, mentre ancora recentemente sono stati scoperti gruppi rimasti isolati dal resto del mondo.

Questo piccolo Eden è raggiungibile in aereo da Lima o da Cuzco con destinazione Puerto Maldonado, la caotica città situata all’affluenza dei fiumi Tambopata e Madre de Dios. Prossimamente sarà attraversata dalla Carretera Interoceánica, che collegherà l’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico attraversando il Brasile e il Perù.

 

Isole galleggianti sul Lago Titicaca

Secondo le credenze andine da un’isoletta del Lago Titicaca partirono Manco Cápac, il primo Incas, e Mama Ocllo, sua sorella e consorte, entrambi creature del dio Sole, alla ricerca dell’ombelico del mondo, che individuarono a Cuzco dove ebbe origine la civiltà Incas. Il lago si trova nel punto in cui lo spoglio altipiano andino incontra le leggendarie vette e le fertili vallate delle Ande a quasi 4 mila metri ed è considerato il bacino navigabile ad alta quota più grande al mondo. La sua più importante attrazione turistica è costituita dalle isole flottanti, sorta di enormi zattere formate da strati di canne, abitate dagli indios Uros nella baia di Puno, la cittadina più importante che si affaccia sulle acque del Titicaca nella regione peruviana. L’attività principale di questa popolazione è il turismo. E questo toglie un po’ di fascino alla visita, perché non si capisce fino a che punto ci si trovi di fronte a una realtà autentica oppure artefatta ad uso commerciale. 

Le circa ottanta isolette si raggiungono in un’ora di navigazione dal porto di Puno. Per accedere al villaggio galleggiante si paga un pedaggio e a ogni barca viene assegnata un’isola diversa da visitare. Su ognuna abitano più famiglie, fino a un massimo di circa trenta persone. La nostra imbarcazione si dirige verso un’isoletta dove vivono due famiglie. Ci riceve il capo di quella minuscola comunità e ci racconta la storia dei suoi antenati, che nel XV secolo, spaventati dall’arrivo degli Incas, si rifugiarono a vivere in piccole imbarcazioni sul lago. Proseguirono la loro esistenza su queste case-zattera fino alla metà dell’Ottocento, quando scoprirono che le radici della pianta di totora, una specie vegetale tipica del lago, avevano la proprietà di galleggiare. Assemblarono così queste radici in blocchi cubici di circa un metro di lato con un palo conficcato al centro per poterli legare tra loro fino ad ottenere un’ampia superficie piana, sopra la quale venivano poi depositati strati incrociati di foglie secche della stessa pianta, la totora. Queste isole, che richiedono una continua manutenzione, hanno una durata di circa trent’anni, dopo di che devono essere abbandonate a causa del terribile odore prodotto dal marciume che si produce nella base a contatto con l’acqua. Le singole isole sono ancorate tra loro tramite pali conficcati nel basso fondo del lago, ma se un vicino diventa scomodo possono essere facilmente spostate. I loro abitanti si mantengono vendendo graziosi prodotti artigianali ai turisti e coltivando i terreni di loro proprietà lungo la costa del lago.

  

I condor della Valle del Colca

Dalla graziosa cittadina di Arequipa una strada sale verso la Reserva Nacional de Salinas y Aguada Blanca, un altipiano di 367 mila ettari a quota 4300 metri. Il paesaggio è armonioso e offre la possibilità di osservare al pascolo tre dei quattro (la quarta specie è il guanaco) camelidi presenti nell’America del sud: alpaca, lama e soprattutto le rarissime vigogne. La lana di questi ultimi animali, che vivono allo stato selvaggio nella prateria della riserva naturale, è considerata la più pregiata al mondo: una sciarpa costa tra i 700 e i 1000 franchi svizzeri. Le vigogne possono essere tosate solo ogni sette anni e al massimo due, tre volte durante la loro esistenza. Per farlo i campesinos si raccolgono in cerchio circondando i loro greggi. Gli animali spaventati si lasciano così trattare e la lana viene poi consegnata allo Stato che la affida a ditte specializzate per la lavorazione.

Oltrepassata la Reserva, la strada si fa sempre più accidentata, prosegue attraverso il desolato altipiano passando per il suo punto più alto a quota 4800 metri e infine scende verso lo spettacolare Canyon del Colca, che si allunga per un centinaio di chilometri tra vette vulcaniche superiori ai 6000 metri di quota. Il canyon, considerato il più profondo al mondo, fu originato da un’enorme faglia geologica creatasi tra due vulcani. Sullo sfondo a nord troneggia il maestoso Nevado Mismi, considerato la sorgente del Rio delle Amazzoni. 

Il paesaggio agricolo della Valle del Colca, punteggiato di cactus, è caratterizzato da terrazzamenti preincaici, che si spingono quasi fin sulle vette per sfruttare qualsiasi spazio coltivabile, ed è scolpito da una miriade di muretti che lo rendono particolarmente affascinante. Le case in sasso sono circondate da recinti, dove il bestiame viene sistemato dopo il tramonto, mentre durante il giorno può pascolare liberamente nell’ampia prateria. La vallata ospita anche un elegante resort (Colca Lodge), ben inserito nell’ambiente.

La strada si spinge fino al Belvedere della Cruz del Cóndor, dove con un po’ di fortuna si possono ammirare i condor volteggiare nel cielo. Alti fino a un metro e con un apertura alare che raggiunge i 3 metri e un peso che supera i 10 chilogrammi, questi imponenti animali trovano nel Canyon del Colca il loro habitat ideale: per spiccare il volo devono infatti lanciarsi dall’alto verso il basso sfruttando in seguito le correnti ascensionali per prendere quota. Vivono fino a 50 anni e si nutrono delle interiora degli animali. Il loro modo di cacciare è molto singolare: sui ripidi pendii del canyon sorvolano sopra malcapitati quadrupedi che spaventati dalla loro minacciosa presenza precipitano a valle diventando un prelibato bottino. In estate emigrano invece verso il mare dove si cibano della placenta dei leoni marini, di cui sono particolarmente ghiotti.

 

Tra pellicani e leoni marini

Le Isole Ballestas, 280 chilometri a sud di Lima, sono considerate le Galapagos dei poveri. Formate da scogli frequentati da folti branchi di foche, leoni marini, pinguini e da oltre 4 milioni di uccelli, soprattutto pellicani e cormorani, possono essere facilmente raggiunte in meno di un’ora di navigazione in barca a motore da Paracas. Le imbarcazioni si accostano alle isole letteralmente ricoperte da colonie di animali per osservarli da vicino. Il suolo è completamente ricoperto da deiezioni di uccelli (guano) che raggiungono i due metri di altezza per una produzione annuale di 20 tonnellate. Considerato uno dei migliori fertilizzanti al mondo il mercato del guano è stato floridissimo nel XIX secolo prima dell’introduzione dei fertilizzanti chimici. Ha quindi conosciuto un periodo di crisi, ma oggi torna di grande interesse per le coltivazioni biologiche.

Navigando verso le Isole Ballestas si osserva la famosa Candelabra, una gigantesca forma a tre bracci, alta più di 150 metri e larga almeno 50, incisa sulle colline sabbiose della costa. Nessuno sa esattamente a quando risalga, né chi ne sia l’autore, ma le teorie abbondano, come accade per le famose linee di Nazca.

 

 

APPENDICE 1

Con Sendero Luminoso i terribili anni del terrore

A partire dagli anni Settanta per un ventennio il Perù fu sconvolto dalla guerriglia di Sendero Luminoso. Spostarsi lungo le strade all’interno del paese era diventato molto pericoloso. Se non si volevano correre gravi rischi era consigliato viaggiare in aereo. Oggi le strade del Perù, anche attraverso le Ande, sono sicure, ma per una ventina d’anni Sendero Luminoso ha terrorizzato l’intero paese: anche quei cittadini deboli e poveri per i quali diceva di combattere. Chi meglio ha rievocato il clima di paura di quegli anni è stato lo scrittore peruviano premio Nobel Mario Vargas Llosa, di cui proponiamo alcuni brani tratti dal suo romanzo «Il caporale Lituma sulle Ande» (Einaudi editore). 

«Arrivarono alle prime luci dell’alba». Invasero il paese. «Conoscevano bene il luogo o erano stati ben informati dagli abitanti che erano loro complici. Appostarono sentinelle a tutte le uscite.(…) A gruppi di tre o quattro andarono dritti a svegliare le persone inserite nella lista (una lista di presunti nemici del popolo secondo le informazioni pervenute ai guerriglieri di Sendero Luminoso, ndr). Catturarono il sindaco, il giudice di pace, il direttore della posta, i proprietari dei tre spacci e le loro mogli, due smobilitati dell’esercito, il farmacista e usuraio don Sebastian Yupanqui e i due tecnici inviati dal Banco Agrario per istruire gli agricoltori in irrigazioni e concimazioni. A spintoni e calci li condussero fin nella piazza della chiesa, dove il resto della milizia (di guerriglieri ndr) aveva radunato la popolazione». Agivano a volto scoperto, «salvo tre o quattro,(…) predominavano i giovani e gli uomini, ma c’erano anche donne e bambini, alcuni dei quali non dovevano superare i dodici anni». Portavano «bandiere rosse con la falce e il martello, che issarono sul campanile della chiesa e sull’asta della casa comunale.(…) Mentre si svolsero i processi alcuni dipinsero sui muri» scritte rivoluzionarie. «Prima di cominciare (i processi ndr), intonarono inni alla rivoluzione proletaria, in spagnolo e in quechua (idioma locale ndr), annunciando che il popolo stava spezzando le catene. (…) Oltre a quelli della lista, dovettero presentarsi dinanzi al tribunale – che era tutto il paese – altri, accusati di rubare, abusare dei deboli e dei poveri, essere adulteri e praticare vizi individualisti. Si davano il turno e, pazienti, spiegavano i crimini, reali o virtuali» commessi contro il popolo, che veniva incoraggiato a partecipare al processo. «A poco a poco, superando timidezza e confusione, eccitati dalla loro stessa paura, dal clima esaltato, da buie motivazioni – vecchie liti, sepolti rancori, invidie sorde, odii familiari – gli abitanti di Andamarca si animarono a chiedere la parola.(…) Tutti furono condannati, da una selva di mani. Molti familiari degli accusati non le alzarono al momento di votare, ma, spaventati dall’esasperazione e dall’ostilità che erano fermentate, non osarono nemmeno intervenire a loro favore. Li giustiziarono facendoli inginocchiare con la testa appoggiata sul muretto del pozzo. Li tenevano ben fermi mentre la gente, passando in fila, li colpiva con le pietre prese da certi lavori di costruzione, accanto alla casa comunale. La milizia non partecipò alle esecuzioni». Non fu necessario.

 

APPENDICE 2

Emigranti ticinesi in Perù alla fine dell’Ottocento

Preparando il mio viaggio in Perù ho incontrato i nomi di diversi ticinesi emigrati nella terra degli Incas. Se i nostri antenati a metà Ottocento furono infatti attratti dalla febbre dell’oro in Australia e in California, verso la fine dello stesso secolo la meta predominante divenne l’America del Sud. Alcuni di loro fecero fortuna e assunsero ruoli importanti nella società peruviana, come gli Scerpella di Medeglia, i Marcionelli di Bironico e i Trefogli di Torricella: tutti provenienti dalla Valle del Vedeggio. Tra loro emergono due storie interessanti: quelle dell’impresario costruttore Severino Marcionelli e dell’architetto Michele Trefogli.

A Severino Marcionelli (si cfr. il «Giornale del Popolo» del 17.5.2013) venne assegnato l’incarico di costruire una tratta di ferrovia attraverso le Ande, che prevedeva anche l’edificazione di gallerie e ponti in una regione geologicamente difficile. «La laboriosa attività di avveduto imprenditore – annota Aurelio Scerpella nell’articolo sopra citato – portò Severino a diventare uno dei più eminenti rappresentanti dell’industria e della finanza in Perù». Marcionelli si distinse anche per la sua opera filantropica sia in Perù, dove finanziò un ospedale, una chiesa e delle scuole, sia al suo paese natale di Bironico, dove donò il giardino dell’infanzia e sussidiò la scuola. Nel 1930 fu nominato console onorario di Svizzera in Perù dalla Confederazione, a cui lasciò in eredità la sua lussuosa villa a Lima, oggi sede della nostra ambasciata.

L’architetto Michele Trefogli emigrò a Lima da Torricella nel 1860 e già due anni dopo il suo arrivo in Perù fu nominato architetto di Stato, in seguito architetto del comune di Lima e pure della Charity Society. Ancora oggi si possono ammirare nella capitale peruviana diverse sue realizzazioni, come le antiche sedi della Banca del Perù e dell’ufficio postale e diverse case private progettate per le famiglie più blasonate di Lima, tra cui i Conti di Goyeneche. Ha lasciato la sua impronta curando anche importanti ristrutturazioni come quella del Palazzo del Governo, che sorge sulla piazza principale della capitale, del Collegio di San Carlo, dell’attuale sede della Universidad Nacional Mayor de San Marcos e della Biblioteca Nazionale. Al suo comune di origine donò i fondi per costruire la scuola materna. A Torricella, appena dietro la chiesa su una collinetta vignata con vista sull’ampio fondovalle, trasformò la tenuta agricola dei suoi avi in un elegante edificio signorile, che si può tuttora ammirare. Fu durante i suoi frequenti viaggi in patria che l’architetto maturò l’idea di dare un aspetto più rappresentativo alla casa in cui era cresciuto. I lavori iniziarono all’inizio del Novecento e proseguirono a tappe per alcuni anni. Il nucleo già esistente fu ampliato e l’organizzazione spaziale mutata. La creazione di un cortile panoramico, di una scalinata in pietra, di ampie finestre aperte verso la vallata e, soprattutto, di una torretta in stile liberty visibile da lontano, danno ancora oggi carattere e forza a quello che è stato definito «il castello Trefogli». 

 

 

Per saperne di più

  • Perù, Lonely Planet, Torino 2010
  • Perù, Rough Guides, Feltrinelli, Milano 2013
  • Perù, National Geographic, Vercelli 2010
  • Perù, Meridiani, febbraio 2009, Milano 2009
  • Gli Inca, Edizioni Mondo, Losanna 1977
  • Cuzco e il cuore delle terre inca, WS, Vercelli 2008
  • Victor W. Von Hagen, Antichi imperi del sole, Milano 1977
  • Mario Vargas Llosa, Il caporale Lituma sulle Ande, Einaudi, Torino 2010
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