In crociera tra il 76.mo e l'80.mo parallelo
Itinerario
(giugno 2022)
- 1° giorno Longyearbyen, Spitsbergen
- 2° giorno Hornsund, Spitsbergen
- 3° giorno Bellsund, Spitsbergen
- 4° giorno Navigazione verso le banchise di ghiaccio
- 5° giorno Makeoyane, Spitsbergen
- 6° giorno Raudfjorden, Spitsbergen
- 7° giorno Ny-Ålesund
- 8° giorno Longyearbyen, Spitsbergen
Durata del viaggio: 8 giorni
Operatore turistico: Kel 12
Polo Nord o Polo Sud? Artico o Antartico? È una scelta che ricorre spesso tra gli amanti di viaggi. Diciamo che fare paragoni tra le destinazioni non è mai corretto: vale la pena di visitare i due poli della terra, ma meglio iniziare da quello più settentrionale. D’altra parte sono molto diversi tra loro. L’Artide è un deserto di ghiaccio circondato dalle masse continentali dell’Eurasia e dell’America, mentre l’Antartide è un vero e proprio continente circondato dal Pacifico, dall’Atlantico e dall’Oceano Indiano.
A nord dell'arcipelago artico delle isole Svalbard, oltre l’80.mo parallelo, si inizia a navigare tra piattaforme di ghiaccio. All’inizio sono sparse, poi si infittiscono sempre più fino a diventare, in prossimità della banchisa, un’uniforme distesa bianca. Con un po’ di fortuna si può scendere dalla nave per camminare su quel deserto gelato, con la consapevolezza che il Polo Nord dista meno di 1'000 chilometri. Questo territorio dove regna il silenzio più assoluto è l'habitat ideale del protagonista di qualsiasi viaggio nell’Artico: l’orso polare, perennemente a caccia di foche. Ed è lui il responsabile di una delle principali differenze tra i due poli: quella cioè di un sud popolatissimo di animali (soprattutto pinguini e foche di ogni specie), che si lasciano avvicinare dall’uomo; mentre al nord foche, trichechi, renne e volpi, terrorizzati dal timore di finire sotto gli artigli degli orsi, sono diffidenti e si mostrano poco. Nonostante ciò, durante il nostro viaggio-spedizione attorno all’arcipelago delle Svalbard ne abbiamo incontrati parecchi, così come abbiamo ammirato alcuni branchi di belughe e di narvali (cetacei dal caratteristico dente, che raggiunge fino 2 metri di lunghezza su un corpo di 6, la cui forma simile a una vite ha dato origine al mitico unicorno).
Ma bisogna riconoscere che l’incedere dell’orso – ne abbiamo seguito uno per quasi un’ora a bordo dei gommoni mentre avanzava lentamente lungo la costa – è maestoso e affascinante.
I confini dell’Artico
Non tutti sono d’accordo su come delimitare l’Artico. Gli specialisti delle varie discipline si sbizzarriscono in definizioni differenti, ma l’interpretazione più ricorrente è quella geoastronomica, secondo la quale fanno parte del Circolo Polare Artico quei territori in cui almeno un giorno all’anno il sole non tramonta mai. Avvicinandosi poi all’estremità nord della terra, durante i mesi estivi, le giornate si fanno sempre più lunghe e le notti più brevi. Al Polo per 6 mesi (per la precisione 190 giorni) è sempre chiaro e per altrettanti sei (per la precisione 175 giorni) è sempre buio. Per coloro che sono attratti dal fascino dell'estremo nord una delle mete artiche più interessanti, da dove partirono innumerevoli spedizioni alla conquista del Polo, è rappresentata dalle isole Svalbard, al largo delle quali inizia la banchisa.
L’arcipelago delle Svalbard
L’arcipelago delle Svalbard, situato tra il 76.mo e l’80.mo parallelo, è un’oasi ghiacciata abitata da orsi bianchi, da migliaia di uccelli marini, da balene, trichechi, foche, nonché volpi e renne polari. È una terra delicata, dagli equilibri fragilissimi, che ogni anno accoglie circa 4 mila turisti. Nonostante il suo territorio sia vasto una volta e mezzo la Svizzera, è abitato solo da 2'500 anime. La principale isola dell’arcipelago è Spitsbergen, dove ha sede la capitale Longyearbyen, fondata ad inizio Novecento da un magnate americano, proprietario di un’importante miniera di carbone, ora dismessa. Longyearbyen è anche l’unico luogo abitato tutto l’anno, oltre alla base scientifica di Ny-Ålesund situata nel grande scenario della Baia del Re, sulla costa ovest, dove si trovano i fiordi più spettacolari, con i ghiacciai che scendono dalle vallate fino ai bordi del mare. Li raggiungiamo a bordo della Boréal, un bastimento con chiglia rafforzata appartenente alla flotta della compagnia francese Ponant. Partendo dalla capitale ci dirigiamo dapprima verso sud, fino alla Baia di Hornsund, per poi risalire e visitare i fiordi più a nord e proseguire in seguito in direzione del Polo Nord per raggiungere la banchisa.
Il primo esploratore a sbarcare su queste isole disabitate fu l’olandese Willem Barents nel 1596. Non fece però mai ritorno in patria, perché la sua nave rimase dapprima imprigionata e in seguito venne schiacciata dai ghiacci. Altri navigatori dopo di lui si spinsero fino alle Svalbard diffondendo la voce che quel mare era ricco di cetacei. Il territorio venne così colonizzato, inizialmente dai balenieri, quindi da cacciatori alla ricerca di pellicce pregiate e, infine, a partire dalla metà dell’Ottocento, da società attive nello sfruttamento industriale delle miniere di carbone.
Con la firma del Trattato di Parigi del 1920 le Svalbard sono state poste sotto la sovranità norvegese. L'accordo prevede anche che tutti i cittadini dei paesi firmatari (e sono tantissimi: 14 iniziali più altri in seguito) possono esercitare attività commerciali sull’arcipelago.
Iceberg e banchisa
L'arcipelago è al 60 per cento ricoperto da ghiaccio (solo la Groenlandia registra una percentuale maggiore) e conta oltre 2600 ghiacciai.
Questi paesaggi immacolati, inesplorati e selvaggi rappresentano certamente la maggiore attrattività del viaggio. Penetrare nei fiordi è un’esperienza magica. I ghiacciai, che si protendono fino al mare specchiandosi nelle acque, svaniscono spesso all’orizzonte confondendosi con il cielo grigio chiaro. Navigando tra gli iceberg capita di essere circondati da una corona di ghiacciai che colmano ogni vallata creata dalla conformazione del territorio. Girandomi su 360 gradi, con un solo colpo d’occhio, ne ho contati una dozzina. Il silenzio assoluto viene talvolta interrotto da boati provocati dal distacco di enormi iceberg, che precipitano dalle pareti del ghiacciaio a strapiombo sul mare, provocando ragguardevoli moti ondosi. È per questa ragione che quando dalla nave ci si imbarca sui gommoni non ci si avvicina mai a più di 300 metri dalla costa. Il mondo degli iceberg è affascinante per le forme e le colorazioni che assumono. Ma può anch’esso essere minaccioso. Queste enormi montagne di ghiaccio, formatesi con le precipitazioni nevose (quindi di acqua dolce), hanno un volume sommerso otto volte superiore a quello della parte visibile e succede che si capovolgono provocando un forte movimento in superficie. Anche per questo motivo è quindi prudente che il gommone mantenga le dovute distanze.
Molto diversa è invece la conformazione della banchisa, costituita dal congelamento (che avviene a circa meno 2 gradi) dell’acqua marina. Navigando in direzione nord dopo l’80.mo parallelo si incontrano dapprima piattaforme sparse, che vanno via via intensificandosi fino a diventare una distesa bianca uniforme, che può raggiungere uno spessore di 4 metri. L’esperienza di navigare in questi ambienti è unica: per il silenzio, interrotto solo dal sibilo di qualche lastrone di ghiaccio che si spacca, per la vastità dell'orizzonte bianco. La sensazione è quella di trovarsi in un vero e proprio deserto bianco sperduto in mezzo al nulla.
Un paesaggio senza alberi
Ma oltre al ghiaccio cos’altro si vede? Durante l’estate artica, nelle regioni non ricoperte dai ghiacci perenni, la vegetazione prende il sopravvento con un’intensa presenza cromatica. Il fiore più tipico e emblematico delle Svalbard è il rarissimo Cotone artico. Nell’arcipelago si contano meno di 200 specie vegetali, ma nessuna pianta. O, perlomeno, non come la intendiamo noi. Esistono infatti delle specie di alberi nani che non superano i 2-3 centimetri di altezza, ma sono considerate piante perché hanno una componente lignea. Perché, vi chiederete, le piante non possono crescere? A causa della presenza del cosiddetto Permafrost, cioè di un terreno permanentemente gelato in profondità, dovuto alle acque sotterranee trasformatesi in ghiaccio. Le radici delle piante non sono infatti abbastanza robuste per infrangere lo strato di permagelo. Per lo stesso motivo, in estate durante il disgelo l’acqua in superficie non viene assorbita dal terreno per cui si ha l’impressione di camminare su un tappeto molleggiato. Per questa stessa ragione non è possibile sviluppare attività agricole. Anche i fiumi, d’altra parte, non potendo scavare in profondità si espandono in superficie.
Orsi polari…
Obiettivo di qualsiasi viaggio artico è l’incontro, possibilmente non ravvicinato, con l'orso polare: il più grande e temibile animale carnivoro della terra. Le guide naturalistiche che ci accompagnavano nelle escursioni durante gli sbarchi con i gommoni erano molto attente ad evitare spiacevoli incontri ravvicinati. Questi animali sono infatti molto curiosi, ma se vi trovate non armati a tu per tu con uno di loro, non avete scampo. Per questa ragione gli accompagnatori durante qualsiasi gita sono sempre armati. Se si dovesse incontrare un orso lungo il cammino, sparerebbero dapprima in aria con una pistola lanciarazzi, ma se ciò non dovesse essere sufficiente sarebbero costretti ad abbattere questo splendido ma minaccioso animale privo di inibizioni. Nonostante pesi fino a 700 chilogrammi e misuri fino a 3 metri di lunghezza, l'orso polare è infatti molto agile e veloce, sia su terra, sia in acqua (tra le dita ha delle membrane natatorie). Il suo pelo è bianco, con sfumature giallognole, che gli permettono di mimetizzarsi sulla neve: in effetti un occhio non addestrato non lo scorge facilmente. Sotto il pelo la pelle è nera e ricoperta da uno strato di grasso, che protegge dal freddo. Il muso è appuntito e il naso forma una linea continua con la fronte. Gli artigli sono mortali, le orecchie piccolissime. Il suo habitat è tra il 65.mo e l’80.mo parallelo e lo si può incontrare ovunque: sulle piattaforme della banchisa, ma anche sulla terra ferma. Ne abbiamo avvistati due che incedevano maestosamente lungo la costa e due madri che risalivano invece una montagna innevata con i loro cuccioli, che diventano autonomi all’età di 3 anni.
I maschi combattono tra di loro e il più forte si accoppia con la femmina, che in inverno scava una tana nel terreno ghiacciato, dove si ritira per partorire, riducendo le sue funzioni vitali (non si può parlare di letargo). L’entrata della tana nel frattempo sarà ricoperta dalle precipitazioni nevose e i piccoli verranno alla luce nel periodo più gelido dell’anno, per poi uscire all’aperto in primavera.
…ma non solo
La preda preferita dell’orso polare sono le foche, che vivono sulla banchisa e sulle piattaforme ai suoi bordi. Sono golose di merluzzi e aringhe, molto presenti in quelle fredde acque ricche di fitoplancton e di krill.
Abbiamo incontrato con una certa frequenza le renne polari, tozze e sgraziate (con zampe corte e corpo allungato), che possono raggiungere fino a 2 quintali di peso. Ma abbiamo ammirato anche volpi polari della grandezza di un cane di media taglia. D’inverno indossano un’elegante pelliccia bianca (un tempo molto ricercata), che sostituiscono in estate con un manto bruno nerastro per mimetizzarsi meglio nei paesaggi privi di ghiaccio. Abbiamo infine avvistato alcuni pigri trichechi abbandonati sul ghiaccio con la loro stazza di quasi 2 tonnellate e con le loro possenti zanne, utili per arare il fondo marino in cerca di molluschi.
Le Svalbard rappresentano un paradiso anche per gli ornitologi essendo una delle terre polari più visitate dall’avifauna migratoria. Pareti rocciose, ben protette dai pericolosi predatori, e acque pescose, rappresentano un habitat ideale per centinaia di migliaia di uccelli marini provenienti da sud, che ogni estate, grazie a una sorta di bussola interna, tornano alle Svalbard per nidificare nelle falesie a picco sul mare, dove l’aria è lacerata da stridule grida. Il caso più eclatante è quello della sterna artica, che ogni anno emigra tra i due poli percorrendo ben 20'000 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno.
UN’OASI IN PERICOLO
Non si può parlare dell’Artide senza soffermarsi sulle conseguenze provocate dal surriscaldamento climatico. Conseguenze gravi non solo per questa delicata regione, ma con ripercussioni su tutto il pianeta. Le principali riguardano lo scioglimento dei ghiacci. A questo punto è però necessario fare una distinzione tra lo scioglimento dei ghiacciai – e quindi degli iceberg, che non sono altro che parti di ghiacciai staccatisi dal corpo principale – e quello delle piattaforme create dalla banchisa. I primi sono infatti costituiti da precipitazioni nevose (quindi acqua dolce) trasformatesi in seguito in ghiaccio, mentre le seconde sono formate da acqua marina gelata. I ghiacciai, e di conseguenza gli iceberg, sciogliendosi provocano quindi un innalzamento del livello dei mari, mentre la banchisa no. Se si pensa che in una zona relativamente piccola dell’Artico come l’arcipelago delle isole Svalbard (che si estendono pur sempre su una superficie pari a una volta e mezzo la Svizzera), il 60 per cento del territorio è ricoperto dalla coltre bianca di oltre 2'600 ghiacciai, si può ben capire come questi scioglimenti possano provocare importanti innalzamenti del livello dei mari. Un fenomeno che nel corso dei prossimi decenni rischierà di sommergere anche importanti insediamenti costieri sulle rive dei nostri mari.
I ghiacci della banchisa hanno invece una funzione di regolazione del clima. Questa enorme massa bianca ha infatti la proprietà di respingere tra il 50 e il 70 per cento dell’energia solare (si sa che il bianco riflette i raggi del sole), mentre una volta tornata ad essere acqua marina non ne rifrange che il 6 per cento. Risulta quindi evidente come la scomparsa di questo deserto bianco contribuisce a creare un ulteriore innalzamento della temperatura del pianeta, provocando altresì mutamenti nelle correnti marine con innumerevoli conseguenze sugli abitanti dei mari e della terra.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere: con lo scioglimento dei ghiacci artici si aprono infatti nuove rotte marine. Per secoli l’uomo ha cercato di individuare a nord la scorciatoia per l’Asia, che si è però sempre dimostrata impraticabile a causa del gelo. Il passaggio a nord-ovest (cioè quello che costeggia l’America) è forse stato quello più affrontato nel corso della storia. Oggi, nei periodi estivi è percorribile, ma risulta poco adatto alla navigazione commerciale, in quanto – come scrive Marzio G. Mian nel suo libro «Artico» edito da Neri Pozza –«i tratti tra le trentaseimila isole canadesi sono troppo stretti e le acque sono troppo basse». L’autore osserva anche come la cosiddetta Northern Sea Route, cioè il passaggio a nord-est lungo le coste artiche russe, sia in parte percorribile, ma non facilmente praticabile a causa dei dazi e della burocrazia imposti dalla Russia (che si inaspriranno certamente in futuro a causa dell’attuale situazione politica). Gli esperti ritengono che l’ulteriore scioglimento dei ghiacci renderà praticabile a breve la cosiddetta rotta transpolare, che prevede la navigazione in acque internazionali solcando i profondi mari del Polo Nord. Questo passaggio diretto permetterà di evitare non solo le noie burocratiche, ma accorcerà ulteriormente il tragitto via mare fra l'Europa e l'Asia. Se infatti una nave oggi per dirigersi da Rotterdam al porto giapponese di Yokohama transitando per il Canale di Suez deve coprire un percorso di 11'250 miglia nautiche, domani seguendo la rotta transpolare ne dovrà percorrere solo 4'500 (cfr op. cit. pag 152). Quasi 3 mila in meno anche rispetto alla Northern Sea Route (7'350).
Ma anche questa medaglia ha il suo rovescio. Liberandosi dai ghiacci il mare artico diventerà sempre più appetibile alle potenze mondiali, sia per i suoi fondali ricchi di materie prime, sia per le rotte nautiche che potrebbero diventare molto trafficate. Tutto questo rischierà di creare nuovi conflitti di interessi e nuove tensioni internazionali, nonostante esistano già trattati (Polar Code e Arctic Council) non vincolanti che dovrebbero regolare le attività artiche.
LA CONQUISTA DEL POLO NORD
Furono i Greci i primi a identificare il Circolo Polare Artico e quindi a dare un nome a questa remota zona del pianeta. Ma la corsa alla scoperta delle terre più a nord del globo si fece sempre più serrata a partire dalla metà del XVI secolo, alimentata da sovrani che coltivavano il sogno di raggiungere la Cina attraverso la rotta nord, percorrendo cioè due itinerari alternativi: il passaggio a nord-ovest costeggiando l’America e la Groenlandia e quello a nord-est al largo della Siberia. La storia di queste spedizioni rivela quanto sia estremo il territorio dell’Artide, che spesso non lasciava scampo: i vascelli di molti, troppi, esploratori rimasero imprigionati e schiacciati dalla forza del ghiaccio e non fecero mai ritorno.
Ad arrivare per primo al Polo Nord fu il norvegese Roald Amundsen (1872-1928), forse il più grande esploratore di tutti i tempi. Nel corso della sua esistenza riuscì a percorrere il passaggio di nord-ovest (1905), raggiunse per primo l’Antartico (1911) concentrandosi in seguito sul Polo Nord, che conquistò nel 1926 a bordo del «Norge». Il dirigibile, pilotato dal colonnello italiano Umberto Nobile, suo ideatore, partì dalla Baia del Re nelle isole Svalbard. Nella località di Ny-Ålesund, che attualmente ospita una stazione di ricerca, si può ancora vedere il palo a cui venne issato il cavo del dirigibile prima della partenza. Per ragioni di spazio non possiamo dilungarci sull’appassionante storia della vita di Amundsen, che si concluse nel tentativo di andare a salvare Nobile, il quale per motivi nazionalistici (in Italia regnava il fascismo) si avventurò in una nuova impresa al Polo Nord per la quale non era preparato. Per finire, Nobile riuscì a trarsi in salvo, anche se poco onorevolmente, mentre l’aereo del suo soccorritore, decollato dalla Norvegia, scomparve tristemente nel vuoto.
Per saperne di più
- Daniela Pulvirenti, Terre Artiche, Guide Polaris, Faenza 2019
- Victor Stoll, Artide, Edizioni Silva, Zurigo 1991
- Marzio G. Mian, Artico La battaglia per il Grande Nord, Vicenza 2018
- Andrea Pitzer, Ai confini dell’Artico, Roma 2021
- Monica Kristensen, L’ultimo viaggio di Amundsen, Milano 2019