Nei paesaggi di van Gogh e Cézanne
Itinerario
(Aprile 2011)
- 1° giorno Ticino – Arles (680 km)
- 2° giorno Arles
- 3° giorno Arles – Les Baux-de-Provence – Saint-Rémy-de-Provence (50 km)
- 4° giorno Saint-Rémy-de-Provence – Aix-en-Provence (75 km)
- 5° giorno Aix-en-Provence
- 6° giorno Aix-en-Provence – Ticino (600 km)
Durata del viaggio: 6 giorni
Operatore turistico: Organizzato in proprio
Goethe sosteneva che se si vuole veramente conoscere un artista bisogna visitare i luoghi in cui ha vissuto. È mossi da questa consapevolezza che mia moglie Carla ed io abbiamo preparato questo itinerario alla scoperta di due grandi maestri della pittura che ci hanno sempre affascinati: Vincent van Gogh e Paul Cézanne. Un viaggio che coniuga la Provenza, una delle regioni più affascinanti della Francia, con due artisti che più di chiunque altro hanno celebrato le sue bellezze. Cézanne amava moltissimo questa sua terra e sentiva di appartenere a quei paesaggi che erano i soggetti della sua arte. «Ci sarebbero dei tesori da svelare in questo paese – scriveva a un amico nel 1886 – che non hanno ancora trovato un interprete all’altezza delle ricchezze che offre». E pochi mesi prima di morire confessava con amarezza: «Non riesco a raggiungere l’intensità che si dispiega davanti ai miei sensi. Non ho la ricca magnificenza dei colori che anima la natura».
Van Gogh ha realizzato in Provenza molti dei suoi dipinti più significativi, attratto da quel sud che con la sua luce costituiva per lui, come per molti altri artisti del suo tempo, il luogo ideale per sviluppare il proprio potenziale creativo.
Da queste riflessioni è così scaturito un doppio percorso che ci ha portati a visitare alcuni tra i luoghi turistici più interessanti della regione: il primo sulle orme di van Gogh tra Arles e Saint-Rémy-de-Provence; il secondo sulle tracce di Cézanne nella regione di Aix-en-Provence. Questa cittadina addossata alla montagna di Sainte Victoire, la cui aspra bellezza ha ispirato alcune delle migliori opere di Cézanne, si presenta con le nobili facciate sul Corso Mirabeau e con un’atmosfera rilassata e «charmante» tipica delle città della Francia meridionale.
La regione compresa tra Arles e la graziosa località Saint-Rémy-de-Provence tanto cara a van Gogh, è pure ricca di spunti interessanti, a iniziare dalle Alpilles, piccole alpi in miniatura le cui cime non superano i 700 metri di altezza. Il villaggio di Les Baux-de-Provence, luogo di visita gettonatissimo, con le sue case disabitate e con il suo castello – oggi in rovina, ma per molti secoli inespugnabile – poggia su uno sperone roccioso di questa suggestiva catena montuosa. Pure immersa nello spettacolare quadro delle rocciose Alpilles la città romana di Glanum, con le sue rovine considerate tra le meglio conservate della Roma antica. Arles, dove van Gogh ebbe il suo primo impatto con il sud della Francia, custodisce altri importanti monumenti di quest’epoca: l’arena, il teatro antico e una necropoli.
van Gogh, il più amato
Vincent van Gogh è il pittore che suscita in me le emozioni più forti. Davanti ai suoi quadri non devo pensare. Sono diretti. Comunicano con i miei sensi. Mi trasportano nel suo mondo, dove la natura ha un ruolo predominante. I suoi fiori, i cipressi e gli ulivi, i campi di grano, le notti stellate ci parlano. Ma preparando questo viaggio ho scoperto anche le doti letterarie del grande maestro rileggendo le lettere scritte al fratello Theo, alla sorella, a Gauguin e ad altri amici in cui raccontava sé stesso e la Provenza con incredibile sensibilità. Per quanto possibile descrivo pertanto il nostro itinerario citando queste fonti preziose.
Lettere che testimoniano quanto fosse inconsapevole di ciò che stava diventando per l’umanità intera: uno dei più grandi pittori di tutti i tempi e forse il più amato perché «bramava un’arte scevra di cerebralismi – scrive Ernst H. Gombrich nel suo «La storia dell'arte» (Milano 1998) – che non richiamasse soltanto l’attenzione dei ricchi intenditori, ma desse gioia e consolazione a ogni creatura umana». «Io come pittore – scriveva sconsolato van Gogh nel maggio del 1889 al fratello Theo – non esprimerò mai niente di importante». Squattrinato, doveva risparmiare anche sull’uso dei colori. Sempre al fratello confidava: «se avessi più denaro ne spenderei di più per fare colorazioni molto ricche». E più tardi si interrogava: «mi sembra una follia fare pittura che tanto costa e che non fa guadagnare niente, neppure rimborsa le spese. Mi sembra una cosa del tutto irragionevole».
La scoperta della luce nella Francia del sud
Van Gogh arriva in Provenza nel febbraio del 1888, quando «ci sono dovunque almeno 60 centimetri di neve. (…) Ma ben presto il tempo è cambiato e si è fatto più mite – ho così avuto modo di conoscere questo mistral», il vento provenzale che solitamente porta il bel tempo, pulisce l’aria e dona profili nitidi alla natura. «Poiché mai ho avuto una simile fortuna, qui la natura è straordinariamente bella. Tutta la cupola del cielo è ovunque di un azzurro meraviglioso, il sole ha un irraggiamento di zolfo pallido ed è dolce e affascinante come la combinazione dei celesti e dei gialli nei van der Meer di Delft. (…) Comincio a sentirmi del tutto diverso rispetto al momento in cui sono venuto qui, non ne dubito, non ho più esitazioni nell’iniziare qualcosa, e questa situazione potrebbe evolvere ulteriormente. Ma che natura! (…) Al tramonto, ieri ero in una brughiera pietrosa dove crescono querce piccole (nella regione di Arles ndr.) e contorte, sullo sfondo una rovina in cima a un colle, e nella valle campi di grano. Non poteva essere più romantico. (…) E tutte le linee erano belle, l’insieme di una nobiltà incantevole. (…) Stando qui a lungo credo che diverrei completamente del paese. (…) Sto lavorando accanitamente, perché gli alberi sono in fiore e volevo fare un giardino di Provenza di straordinaria gaiezza».
Ma la sua malattia mentale purtroppo si scatena in occasione di un lungo soggiorno dell’amico Paul Gauguin ad Arles, quando Vincent manifesta propositi omicidi e per punirsi si taglia il lobo di un orecchio. Lo va in seguito a offrire alla prostituta di un bordello che frequentava assieme a Gauguin. Dopo quel tragico episodio sarà lui stesso a chiedere di essere internato in un manicomio. Finisce così l’epoca del soggiorno ad Arles (febbraio 1888-maggio 1889) per iniziarne un’altra a pochi chilometri di distanza nella casa di cura di Saint-Paul de Mausole, un antico monastero francescano adibito a ospedale psichiatrico nei pressi di Saint-Rémy-de-Provence. Vincent vi soggiorna un anno per poi trasferirsi a Auvers-sur-Oise, dove il 27 luglio 1890, in preda a una crisi, si toglie la vita sparandosi un colpo di rivoltella al petto.
Ad Arles rimangono poche tracce di van Gogh. La casa gialla che si affacciava su piazza Lamartine abitata dall’artista è andata distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Rimane invece l’ospedale, immortalato in un celebre dipinto, in cui il pittore fu ricoverato dopo essersi ferito all’orecchio. Altri luoghi in città sono stati ritratti da Vincent, ma ovviamente, sia l’agglomerato urbano sia la campagna, in un secolo sono molto mutati. Non così è stato invece per i luoghi attorno alla casa di cura, nella campagna di Saint-Rémy-de-Provence, che sono rimasti assolutamente intatti e dove si possono ancora ammirare gli alberi secolari interpretati da Vincent. Ma diamogli di nuovo la parola attraverso le sue lettere.
La casa di cura di Saint-Rémy
«Credo proprio che Peyron (il medico che lo ha in cura ndr.) abbia ragione quando dice che non sono pazzo propriamente parlando, perché il mio pensiero è assolutamente normale e chiaro nel frattempo e perfino più che in precedenza. Ma nelle crisi è tuttavia terribile e allora perdo conoscenza di tutto. Ma ciò mi spinge al lavoro e alla serietà come un carbonaio sempre in pericolo si affretta in ciò che fa. (…) Il lavoro mi distrae infinitamente più di ogni altra cosa e se un giorno potessi metterci dentro tutta la mia energia sarebbe probabilmente la migliore medicina. (…) Con un altro anno di lavoro forse arriverò a una sicurezza di me dal punto di vista artistico. Ed è sempre qualcosa che vale la pena di cercare. Ma bisogna che abbia un po’ di fortuna».
Dopo le crisi Vincent è costretto in camera – se ne può visitare una simile a quella da lui occupata nella casa di cura a Saint-Rémy – e allora dipinge il paesaggio che vede dalla sua finestra attraverso le sbarre di ferro. Ecco la descrizione del quadro: «In primo piano un campo di grano devastato e sbattuto a terra da una tempesta. Un muro di recinzione e al di là il verde-grigio di qualche ulivo, delle casupole e delle colline. Infine, nella parte alta della tela, una grande nuvola bianca e grigia immersa nell’azzurro. È un paesaggio di una semplicità estrema anche di colorazione».
Nei periodi in cui la salute glielo consente vive all’aperto. «Non avendo tela in questi ultimi giorni ho percorso in lungo e in largo il paese e comincio a sentire di più l’insieme della natura nella quale vivo. In futuro ritornerò forse anche spesso sugli stessi motivi di Provenza». Racconta allora di lavorare negli uliveti e di ritrarli «con duro e grossolano realismo». E poi parla dei cipressi «così caratteristici del paesaggio della Provenza» e descrive le sue emozioni. «Fino a ora non ho potuto farlo come lo sento; di fronte alla natura mi prendono emozioni che giungono fino allo svenimento e allora per quindici giorni non sono più capace di lavorare».
Un altro tema affrontato da van Gogh è quello dei campi di grano. Ecco la descrizione di una tela: «Lo studio è interamente giallo, terribilmente impastato, ma il modello era bello e semplice. Vidi allora in quel falciatore – vaga figura che lotta come un ossesso in piena canicola per terminare il suo lavoro – vidi in lui allora l’immagine della morte, nel senso che l’umanità sarebbe il grano che viene falciato. Se vuoi, è dunque l’opposto di quel seminatore che avevo tentato qualche tempo fa. Ma in questa morte, niente di triste, tutto accade in piena luce con un sole che inonda tutto con una luce d’oro fino».
Vincent non manca di immortalare anche gli splendidi paesaggi delle Alpilles. «Per il momento ho in cantiere un quadro di un sentiero fra le montagne con un piccolo ruscello che scorre tra le pietre. Le pietre sono di un lilla compatto, grigio e rosa, con, qua e là, cespugli di bosso e alcune specie di ginestre che, in autunno, prendono ogni sorta di colore, verde, giallo, rosso, bruno. In primo piano il ruscello è bianco, fa la schiuma come se avesse sapone; più in là riflette l’azzurro del cielo».
A Saint-Rémy-de-Provence van Gogh lavora anche sul soggetto dell’autoritratto. «Si dice – e io lo credo volentieri – che sia difficile conoscere se stessi, ma non è neppure facile dipingere se stessi. Così io attualmente lavoro a due miei ritratti – in mancanza di altri modelli – perché è tempo che faccia qualche figura. Uno l’ho iniziato il primo giorno che mi sono alzato, ero magro, pallido come un diavolo. È azzurro-viola scuro e la testa biancastra con capelli gialli, dunque un effetto di colore. Ma poi ne ho cominciato un altro di tre quarti su fondo chiaro».
Cézanne, padre della pittura moderna
Paul Cézanne è oggi universalmente considerato il padre della pittura moderna, colui che ha saputo sintetizzare la tradizione in forme geometriche e allusive, aprendo la strada al cubismo e alle altre avanguardie. Nonostante le frequentazioni con gli intellettuali e gli artisti parigini, ha condotto una ricerca personale e in qualche modo isolata, approdando tuttavia a soluzioni che sono state imprescindibili per l’intero Novecento pittorico. Come scrive Ernst H. Gombrich nel suo «La storia dell'arte» (Milano 1998) «non stupisce che Cézanne giungesse spesso sull’orlo della disperazione e che lavorasse incessantemente senza mai interrompere gli esperimenti. Il vero miracolo è che abbia potuto ottenere nei suoi quadri un risultato apparentemente impossibile». Nell’arte è così, osserva ancora Gombrich, «a un tratto l’equilibrio si produce e nessuno sa come e perché». E conclude «Cézanne aveva deciso di non accettare per dato nessun metodo pittorico tradizionale, ha voluto ricominciare daccapo, come se non fosse esistita pittura prima di lui».
«Più che un pittore Cézanne era la pittura stessa divenuta vita«, ha scritto il suo allievo e amico Émile Bernard. »Non c’era un istante in cui egli vivesse al di fuori di essa: era come se, tra le dita, egli tenesse sempre il suo pennello. A tavola, si fermava ogni momento per studiare le nostre figure in rapporto agli effetti di luce e ombra; ogni piatto, ogni frutto, ogni bicchiere, qualsiasi oggetto eccitavano i suoi commenti, la sua riflessione. L’indice puntato tra gli occhi, mormorava: Ecco così ho una netta visione dei piani».
Approfondendo la figura di questo grande precursore dell’arte moderna, fa riflettere e amareggia l’incomprensione della cultura dell’Ottocento nei confronti della sua opera: le sue tele furono infatti sempre rifiutate ai concorsi ufficiali. Atteggiamento che andava a rafforzare un già esagerato spirito autocritico del maestro. Un mese prima di morire scriveva, sempre all’amico Bernard: «Vivo in uno stato di malessere diffuso. Tale stato durerà fino a quando le mie ricerche non saranno arrivate in porto… La mia costante preoccupazione è per la meta da raggiungere. Lavoro sempre davanti alla natura e mi sembra di fare lenti progressi». Un anno prima al critico d’arte Roger Marx aveva scritto: «La mia età e le mie condizioni non mi permetteranno di realizzare il sogno d’arte che ho inseguito per tutta la vita. Ma sarò eternamente riconoscente al pubblico d’intelligenti amatori che ha avuto – al di là delle mie esitazioni – l’intuizione di ciò che ho voluto tentare per rinnovare la mia arte».
«Ho giurato di morire dipingendo – scriveva ancora Cézanne a Bernard il 21 settembre 1906 – piuttosto d’abbandonarmi all’impotenza avvilente che minaccia i vecchi. Vittime delle passioni umilianti dei sensi». Meno di un mese più tardi, sorpreso da un temporale mentre dipingeva all’aperto veniva colto da una congestione. La sua salute già malferma non resistette. Il 20 ottobre, in una lettera al figlio del maestro, la sorella di Cézanne riassumeva drammaticamente la situazione: «Tuo padre si è ammalato lunedì… È rimasto fuori sotto la pioggia per parecchie ore; l’hanno condotto a casa sul carro di un lavandaio e due uomini hanno dovuto metterlo a letto. L’indomani mattina prestissimo è andato in giardino a lavorare a un ritratto di Vallier, sotto un tiglio: ne è venuto via moribondo». Il giorno seguente moriva.
Casa, scuola e famiglia
Il nostro itinerario nella Provenza di Cézanne parte inevitabilmente dalla città, dove l'artista è nato e ha vissuto. Ci si sposta quindi nella campagna alla ricerca dei soggetti delle sue opere: la montagna di Sainte Victoire, le cave di Bibémus, la residenza estiva di Jas de Bouffan, il suo ultimo atelier ai bordi della città, la valle dell'Arc.
Nel 1904, due anni prima della morte di Cézanne, il suo allievo Émile Bernard arriva in treno a Aix-en-Provence per incontrare il maestro senza conoscere il suo indirizzo. Chiede per le strade dove abita il pittore e mostra ai passanti persino una sua fotografia, ma nessuno lo conosce. Eppure a Parigi, Bruxelles e Berlino il suo nome cominciava a essere noto, soprattutto tra le giovani generazioni di pittori che riconoscevano in lui un innovatore. Nel corso degli ultimi decenni Aix-en-Provence ha finalmente scoperto il talento del suo concittadino. Partendo dall’ufficio turistico, un percorso a piedi illustrato da un prospetto e segnalato sul suolo cittadino con dadi in metallo, permette di ripercorrere le tappe principali della sua vita: la casa in cui è nato al numero 28 di Rue de l'Opéra, la chiesa della Sainte Madeleine dove è stato battezzato, il negozio del padre situato sotto l’abitazione della famiglia sul Corso Mirabeau, il collegio Bourbon dove è nata l’amicizia con Émile Zola, il Musée Granet che ha sempre rifiutato le sue opere. Tutti luoghi che hanno fortemente indirizzato la vita di Cézanne.
Il padre Louis-Auguste era una persona molto ambiziosa che apparteneva a una famiglia di immigrati italiani (originaria di Cesana Torinese) dediti al commercio, giunta ad Aix-en-Provence quattordici anni prima della nascita di Paul. Qui Louis-Auguste apre una piccola fabbrica di cappelli di feltro in cui lavora come operaia Anne Elisabeth Honorine Aubert, madre del pittore. Quando Paul ha nove anni, il padre, uomo pragmatico e autoritario, rileva una banca in fallimento assieme a un socio. Inizia così per la famiglia un periodo di prosperità finanziaria, che permetterà a Cézanne di dedicarsi per tutta la vita alla pittura senza avere l’assillo di guadagnarsi da vivere. Il denaro di famiglia gli darà questa grande libertà che si rivelerà fondamentale per la sua opera, perché gli permetterà di non piegarsi a compromessi commerciali.
La famiglia Cézanne, considerata di nuovi ricchi dall’aristocratica Aix-en-Provence, non è amata né apprezzata in città. D’altra parte il giovane Paul non si conforma allo status che la sua condizione economica imporrebbe e assume atteggiamenti provocatori, come farà per tutta la vita anche nella sua attività artistica. Henri Pontier, direttore del museo Granet, disprezza la sua arte a tal punto da affermare che finché gli acquisti li farà lui nessun quadro di Cézanne entrerà mai a far parte della collezione. Una posizione condivisa dall’establishment artistico di allora, ostile all’opera innovativa e rivoluzionaria del maestro, considerato il padre della pittura moderna. Cézanne rimarrà fedele alle sue convinzioni per tutta la vita, anche nei momenti più difficili, ma soffrirà sempre per questo atteggiamento di chiusura nei suoi confronti. Si narra addirittura che uno degli ultimi pensieri prima di morire andò proprio a quel Henri Pontier, che tanto aveva osteggiato la sua arte.
Un’altra vittima della chiusura mentale della Aix di inizio Ottocento fu Émile Zola, uno dei più noti e amati scrittori francesi del XIX secolo. Anch’egli di origini italiane giunge in città con il padre ingegnere che aveva progettato una diga. I compagni di classe al Collège Bourbon lo escludono salvo il giovane Paul, con il quale nascerà un’amicizia fraterna, che durerà trent’anni fino a quando uscirà il romanzo «L'Oeuvre». È la storia di un pittore incapace di disciplinare il suo talento, che finisce per suicidarsi davanti a un dipinto che non riesce a portare a termine. Cézanne rimane profondamente ferito dal pensiero che il suo migliore amico lo consideri un genio abortito e rompe la relazione.
Dipingere la natura nella natura
«Mio caro Emile – scriveva Cézanne all’amico Bernard nel 1866 – ogni quadro realizzato all’interno, in studio, non varrà mai quello fatto all’aperto. Dipingendo all’aperto il contrasto tra le figure e gli sfondi è sorprendente, e il paesaggio è magnifico. Ci sono cose veramente superbe, bisogna che mi decida a lavorare esclusivamente all’aperto».
La campagna provenzale attorno alla città di Aix-en-Provence rimane di grande bellezza. La residenza estiva della famiglia Cézanne – Jas de Bouffan – sorge a due chilometri dal centro e fa ormai parte dell’agglomerato urbano. Varcando il cancello della proprietà, che anticamente apparteneva al governatore della Provenza, e imboccando il lungo viale di platani ci si immerge però in un altro mondo, dove il paesaggio cézanniano è stato salvaguardato. Fu questo il primo studio dell’artista, un luogo magico dove ha dipinto per quarant’anni. I personaggi dei famosi quadri dedicati ai giocatori di carte erano i contadini di questa tenuta.
A una decina di chilometri dalla città si trova un luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Si tratta delle cave di Bibémus, che hanno ispirato al maestro alcuni dei suoi quadri più suggestivi con le rocce color ocra che contrastano il verde della vegetazione e l’azzurro del cielo. Erano state scoperte dai romani. Dal XVI al XVIII secolo le pietre erano poi servite per costruire i palazzi signorili di Aix. Quando Cézanne veniva qui a dipingere, tra il 1890 e il 1904, il luogo era ormai abbandonato e lasciato in preda alla natura. Sebbene l’intervento umano sia pesante, perché la montagna è tagliata a strati, quei paesaggi assomigliano a un quadro astratto. L’ambiente suscita forti emozioni, che il maestro ha saputo interpretare nelle sue tele in maniera magistrale.
Torniamo ad Aix per raggiungere l'Atelier des Lauves, l’ultimo del pittore, costruito dopo aver venduto la tenuta di Jas de Bouffan in seguito alla morte della madre. Tutto è intatto: gli oggetti, i cavalletti, le pareti grigie. Sembra che l’artista l’abbia lasciato da poco. È invece passato oltre un secolo. Anche qui la città si è espansa, ma il luogo non è stato compromesso. Vi si può giungere a piedi, come faceva Cézanne, in quindici minuti dal centro città. E da qui, proseguendo lungo la collina densamente edificata, in un altro quarto d’ora si arriva su un promontorio – la Marguerite – dove il maestro si recava con il cavalletto in spalla per dipingere la montagna magica di Sainte Victoire. La prospettiva è la stessa di allora. Gasquet, autore di una biografia del maestro, presta a Cézanne parole spesso riprese tanto dai critici quanto dal pittore stesso: «Osservate questa Sainte-Victoire. Che impeto, che sete imperiosa di sole, e che malinconia, la sera, quando tutta questa pesantezza si placa… Questi blocchi erano di fuoco. C’è ancora del fuoco in essi».
Una piacevole gita in automobile, passando per la valle dell'Arc, tanto cara a Cézanne, permette di raggiungere la base della montagna che offre una prospettiva diversa, mai dipinta dall’artista. Se si prosegue girandole attorno, sul versante opposto, si trova il luogo dove Pablo Picasso chiese di essere seppellito, dopo avere acquistato una vasta proprietà che si estende lungo le pendici della Sainte Victoire: un gesto di affetto e di riconoscenza per il suo grande maestro con cui non si è mai confrontato dipingendo la sua montagna magica.
Per saperne di più
- Paul Gauguin, Vincent e Theo van Gogh, Sarà sempre amicizia tra noi, Milano 2002
- Vincent van Gogh, 150 lettere, a cura di Marco Goldin, Linea d’Ombra 2012
- Druick e Zegers, van Gogh e Gauguin, Lo studio del Sud, Milano 2002
- Ernst H. Gombrich, La storia dell’arte, Milano 1998
- Provenza, La guida verde Michelin, Milano 2008
- Paul Cézanne, Les Ateliers du Midi, Milano 2012
- Flaminio Gualdoni, Cézanne, Milano 2011
- Émile Bernard, Mi ricordo Cézanne, Milano 2011
- Les sites de Cézanne, Aix en Provence 2011
- Ernst Gombrich, La storia dell’arte, Milano 1998
- Provenza, La guida verde Michelin, Milano 2008