Stati Uniti / Da New Orleans a Chicago

Un viaggio tra storia e miti

Un itinerario di circa 2000 chilometri, che attraversa gli Usa da New Orleans, la capitale del jazz e porta nella progressista Chicago. Lungo il Mississippi, dove si visitano le piantagioni di cotone coltivate dagli schiavi e attraverso stati conservatori dove il problema razziale non è ancora risolto. Lungo il percorso incontriamo alcuni miti degli Stati Uniti: Nashville, la capitale del country, i cavalli del Kentucky, le città natali di Elvis Presley, del presidente Lincoln e la Louisville di Muhammad Ali.
Giò Rezzonico
01.06.2016 12:00

Itinerario

(giugno/luglio 2016)

  • 1° giorno Zurigo - Philadelphia
  • 2° giorno Philadelphia - New Orleans
  • 3° giorno New Orleans
  • 4° giorno New Orleans - Natchez (330 km - 4 h)
  • 5° giorno Natchez
  • 6° giorno Natchez - Nashville per la Natchez Trace PKWY (800 km - 9 h)
  • 7° giorno Nashville - Hodgenville - Bardstown - Lexington (350 km - 4 h)
  • 8° giorno Lexington - Frankfort - Louisville (130 km - 2 h)
  • 9° giorno Louisville - Chicago (500 km - 5 h)
  • 10° giorno Chicago
  • 11° giorno Chicago
  • 12° giorno Chicago
  • 13° giorno Chicago
  • 14° giorno Chicago
  • 15° giorno Chicago - Zurigo

 

Durata del viaggio: 15 giorni

Operatore turistico: Organizzato in proprio

  

  

  

   

Un viaggio nella storia degli Stati Uniti, che ci permette di fare l’incontro anche con alcuni miti di questo contraddittorio paese. L’itinerario inizia a New Orleans, dove a partire dal 18mo secolo iniziarono ad approdare i primi schiavi provenienti dall’Africa e dove verso fine Ottocento nacque la musica jazz. Da qui inizia il trasferimento in automobile verso Chicago, attraversando gli stati della Louisiana, Mississippi, Tennessee, Kentucky, Indiana e Illinois. Risalendo il Mississippi e visitando alcune piantagioni con le splendide case coloniche si tocca con mano il problema della schiavitù. Si attraversano stati molto conservatori come la Louisiana o il Mississippi, dove la convivenza tra bianchi e neri costituisce ancora oggi un problema. Si passa da Nashville, la capitale del country. Durante il tragitto si incontrano alcuni miti del paese a stelle e strisce: Elvis Presley, il presidente Lincoln, Muhammad Ali, l’ippodromo dove si tiene il Kentucky Derby, il più antico evento sportivo degli USA, per approdare a Chicago (si veda in questa rubrica l'itinerario «La città del presidente Obama»), la città di Barack Obama, che potrebbe avere come simbolo «Yes, we can», lo slogan che spalancò le porte della Casa Bianca al primo presidente nero. Una metropoli intelligente, dinamica, aperta, dove si può «tastare il polso dell’America», ricca di verdi parchi e straordinari musei, offre una delle più pregevoli e raffinate composizioni di architettura moderna al mondo. Fu qui, infatti, che a fine Ottocento sorse il primo grattacielo. 

 

 

Le profonde ragioni del razzismo

Non si può capire il centro-sud degli Stati Uniti senza accennare brevemente alla questione razziale. Prima della guerra di Secessione (1861-1865) il Mississippi era il quinto stato più ricco della nazione. Dopo la guerra si è ritrovato a essere il più povero. I sudisti hanno perso in battaglia 285 mila uomini, un quarto della popolazione bianca, e i due terzi delle risorse del loro territorio. Il conflitto ha evidenziato due Americhe: una agricola al sud basata sullo sfruttamento del lavoro degli schiavi e una più moderna e industrializzata al nord, la cui economia è decollata dopo la vittoria bellica.

La guerra ha liberato gli schiavi, ma non ha risolto il problema razziale, «basato sulla grande verità fisica e morale… che i neri non sono uguali ai bianchi», come affermava Jefferson Davis, presidente della Confederazione degli stati sudisti durante la guerra di Secessione. Molti schiavi, diventati uomini liberi hanno continuato a lavorare nelle piantagioni, sfruttati dai possidenti terrieri. Altri hanno preso strade diverse, ma il potere al sud è rimasto sotto il totale controllo dei bianchi, che hanno continuato a segregare i neri in tutti gli aspetti della vita sociale, con eccessi aberranti come le esecuzioni del Ku Klux Klan, tollerate se non appoggiate dalle autorità locali. Si dovette attendere fino al 1954 prima che la corte suprema degli Stati Uniti mettesse al bando la segregazione razziale nelle scuole, che impediva ai neri di frequentare gli stessi istituti dei bianchi. E anche questa sentenza per anni rimase sulla carta. Solo nel 1965 venne varato dal governo di Lyndon B. Johnson il Voting Rights Act che vietava la creazione di inghippi elettorali per impedire il voto agli afroamericani. Ci volle la lotta non violenta per i diritti civili di Martin Luther King, assassinato a Memphis il 4 aprile del 1968, per approvare le leggi contro un'altra forma di discriminazione: quella nell’ambito di vendita e locazione di edifici. Ma purtroppo le leggi, per giuste che siano, non bastano per eliminare pregiudizi basati su profonde radici storiche.

 

New Orleans culla del jazz

Il nostro viaggio inizia a New Orleans, una città che svolse un ruolo importante nella giovane storia americana. Il suo porto, assieme a quello di Charleston (situata a nord est), fu infatti uno dei principali punti di approdo degli schiavi provenienti dall’Africa e dalle colonie francesi a partire dall’inizio del XVIII secolo. Alcuni di loro acquistarono la libertà e – assieme agli abitanti di origine francese e spagnola residenti nel Quartiere Francese – diedero origine alla cultura creola, che tanto influenzò la musica e la gastronomia cittadine, frutto di un crogiuolo di razze e di culture. Gli anglo-americani, che arrivarono verso metà Ottocento, vennero mal tollerati e invitati a insediarsi in «nuovi» quartieri nati attorno al centro storico. La musica jazz nacque a New Orleans verso la fine del XIX secolo, in questo clima culturale, influenzata soprattutto dalle popolazioni africane e si affinò all’inizio del Novecento nei bar e nei bordelli del Quartiere Francese.

New Orleans è una città diversa da tutte le altre degli Stati Uniti. Grazie alla sua mentalità festaiola, si dice che i suoi abitanti prendano la vita con calma (The Big Easy). 

Distrutta a due riprese nel Settecento da due devastanti incendi (1788 e 1794), la sua architettura tradisce origini europee, piuttosto spagnole che francesi, adattate a un clima subtropicale. Questo si spiega con il fatto che nel 1760 Luigi XV cedette la città, con i vasti territori attorno, al suo cugino spagnolo Carlo III, il quale la governò fino a pochi mesi prima che Napoleone la vendesse per 15 milioni di dollari al presidente americano Thomas Jefferson. 

Fondata nel 1718 su un territorio paludoso, la città deve il suo sviluppo alla posizione vicino alla foce del Mississippi, il fiume più lungo degli Stati Uniti (3778 chilometri). Oggi la sua economia si basa sui pozzi di petrolio del Golfo del Messico e sul turismo (è una delle città più visitate degli USA). 

 

Il Quartiere Francese

Nel 2005 l’uragano Katrina ha distrutto l’80 per cento di New Orleans. La città sorge infatti un metro e mezzo sotto il livello del mare e i suoi argini sono stati sopraffatti dalla violenza delle acque. Solo il Quartiere Francese, il centro storico, è stato risparmiato dagli allagamenti. Ed è soprattutto qui che si concentrano le visite turistiche. Lo si può comodamente percorrere a piedi in lungo e in largo in una giornata (musei a parte). Cuore del centro è la francese Place d'Armes, poi ribattezzata Jackson Square in onore di un eroe della liberazione. Sulla piazza si affaccia la cattedrale d’ispirazione neogotica, ricostruita nel 1794. Accanto sorgono due palazzi gemelli. Il Cabildo, eretto dal governo spagnolo nel 1799 e il Presbytère edificato nel 1813 per ospitare i vescovi della Louisiana. Oggi il primo fa parte del museo storico cittadino e il secondo ospita un’interessante mostra sul Mardi Gras, il famosissimo carnevale di New Orleans. Sui due lati di Jackson Square si allineano altri due edifici gemelli del 1840, commissionati da una baronessa dopo un viaggio in Europa. I loro balconi in ghisa costituirono un esempio per molti altri palazzi cittadini. Sul quarto lato della piazza scorre il Mississippi, che si può ammirare da un belvedere. Poco lontano sorge il French Market, mercato cittadino nell’antichità, oggi trasformato in centro commerciale con ristoranti. 

Ma per scoprire New Orleans bisogna camminare con il naso per aria lungo Royal Street, Bourbon Street e Chartres Street, risalendo anche le vie perpendicolari a queste tre strade parallele. Si ammirano splendidi palazzi cittadini, molti dei quali edificati dai ricchissimi proprietari delle piantagioni di cotone lungo le rive del Mississippi, che amavano trascorrere lunghi periodi in città. Oltre i confini del Quartiere Francese, anticamente abitato soprattutto dai creoli, sorgono le zone costruite dagli angloamericani. L’urbanistica è sempre squadrata ma le case restano lontane le une dalle altre e sono caratterizzate da una loggia sull’entrata. Presentano quelle architetture romantiche che sono passate nell’immaginario collettivo come le classiche case dell’America d’inizio Novecento. È piacevole passeggiare per questi quartieri, soprattutto alla vigilia del 4 luglio, festa dell’indipendenza, quando molte case sono addobbate a stelle e strisce.

 

Le piantagioni lungo il Mississippi

Il nostro viaggio prevede il trasferimento in automobile da New Orleans a Chicago attraversando gli stati della Louisiana, Mississippi, Tennessee, Kentucky, Indiana e Illinois. Ci rechiamo così all’aeroporto di New Orleans per noleggiare un’automobile, un comodo suv della Dodge. La prima tappa è la cosiddetta River Road, la strada che percorre le rive del Mississippi su entrambe i lati per quasi 200 chilometri da New Orleans a Baton Rouge e lungo la quale si trova una splendida collezione di case coloniche delle piantagioni. Prima della guerra di Secessione (1861-1865) ce n’erano più di 2 mila. Oggi alcune sono state trasformate in musei. L’architettura di queste imponenti residenze, costruite con il lavoro degli schiavi, ricalca lo stile europeo, ma adattato al clima subtropicale. L’entrata principale era rivolta verso il fiume per poter accogliere gli ospiti che arrivavano in barca. Per prevenire il propagarsi degli incendi le cucine erano staccate dalla costruzione principale. Gli arredamenti ricordano quelli delle antiche ville aristocratiche e nobiliari europee di campagna. Molte residenze comprendevano un’ala separata, la cosiddetta garçonnière, dove andavano ad abitare i giovani uomini della famiglia al compimento dei 15 anni. Le spartane case degli schiavi sorgevano a distanza. Vi si possono spesso visionare documenti sull’acquisto degli schiavi, con indicato il prezzo e le caratteristiche della «merce» umana. 

Visitiamo tre piantagioni. Le caratteristiche generali sono le stesse, anche le storie dei loro fondatori di origine europea sono simili, ma ogni «plantation» offre spunti diversi di riflessione. 

Laura Plantation è l’unica che propone visite guidate anche in lingua francese. La sua storia è interessante perché la conduzione era stata affidata a donne della famiglia. La regola voleva che per garantirne la continuità la proprietà fosse in mano al figlio più promettente. E qui in ben due occasioni il testimone toccò a due donne, giudicate più idonee, nonostante ci fossero figli maschi a disposizione. Questa piantagione, come molte altre, proseguì la sua attività anche dopo la guerra di Secessione (1861-1865) che decretò la fine della schiavitù. In realtà, gli schiavi diventarono uomini liberi solo sulla carta. Attraverso il sistema della mezzadria i neri continuavano infatti a coltivare la terra ed erano costretti a cedere la gran parte del raccolto al proprietario. Che per giunta li ripagava con gettoni che potevano utilizzare solo al negozio della piantagione, gestito naturalmente dalla proprietà.

A pochi chilometri si può visitare la splendida Oak Plantation, residenza di campagna che veniva abitata per otto, nove mesi all’anno. I suoi proprietari, come quasi tutti i signori delle piantagioni, si trasferivano infatti per lunghi periodi nelle loro ricche residenze a New Orleans o a Natchez, che avevano caratteristiche architettoniche più cittadine. Molto spesso compivano anche lunghi viaggi in Europa. Colpiscono a Oak Plantation gli splendidi viali di accesso alle entrate anteriore e posteriore della casa colonica costituiti da querce centenarie che offrono un quadro indimenticabile.

Un centinaio di chilometri più a nord in direzione di Natchez, a Francisville visitiamo Rosedown Plantation, con il suo bel giardino all’italiana. Ma ciò che più colpisce è l’arredamento. Se in molte altre residenze i mobili non sono più quelli originali, sostituiti con altri dell’epoca, qui il tempo sembra essersi fermato: tutto è rimasto intatto!

 

Natchez, una perla

Anche se non molto nota, Natchez è una vera perla degli Stati Uniti, che custodisce lo splendore architettonico del sud del primo Ottocento, cioè del periodo precedente la guerra di Secessione. L’urbanistica è squadrata e urbana, ma le case non sono una a ridosso dell’altra come nel Quartiere Francese di New Orleans e nelle grandi città. I quartieri sono costituiti da splendide ville con parco, caratterizzate da architetture classiche e austere. Passeggiando per le vie del centro si può fare un viaggio a ritroso nella storia immaginando quello che doveva essere questa regione nella prima metà dell’Ottocento. Alcune residenze sono diventate musei e si possono visitare. Nel centro cittadino vanno segnalate la graziosa Rosalie e l’imponente Stanton Hall, che si trovano ai due estremi della via principale. Camminando tra una e l’altra e seguendo una piccola guida distribuita sul posto si possono ammirare le strade più suggestive. Lontana dal centro, immersa in immensi parchi, sorge l’incompiuta Longwood. 

A differenza delle residenze che abbiamo visitato nelle piantagioni, queste sono ville di città, non di campagna, ma anch’esse si ispirano all’architettura europea. Le storie dei loro proprietari sono molto interessanti. Ascoltandole ci si rende conto come tutto da queste parti sia sempre da riferire alla guerra di Secessione (1861-1865) che contrappose il sud schiavista al nord modernizzatore. Questa regione, prima del conflitto, vantava più milionari di qualsiasi altra parte degli Stati Uniti, eccetto New York. Dopo la guerra, con la vittoria dei nordisti e l’abolizione della schiavitù tutto cambiò e molte famiglie persero le loro immense fortune, accumulate sullo sfruttamento degli schiavi. Interessante a questo proposito la storia del proprietario di Longwood, filonordista: come spesso accade nelle guerre civili fu osteggiato dapprima dai sudisti e in seguito anche dai nordisti. Perse così tutta la sua fortuna e non riuscì a ultimare il suo progetto megalomane che prevedeva un’enorme e originalissima casa ottagonale che culminava con una cupola. Anche il ricchissimo proprietario di Stanton Hall, che per la sua residenza fece arrivare dall’Europa gli oggetti più assurdi, perdette tutti i suoi averi in seguito alla guerra.

 

La storica strada Natchez - Nashville

Il nostro viaggio prosegue verso Nashville, la capitale della musica country e del Tennessee, un altro stato profondamente conservatore, tanto che il parlamento ha approvato alcuni anni fa un progetto di legge per rendere la Bibbia testo ufficiale dello stato. Una strada panoramica di 643 chilometri, facilmente percorribili in un giorno, collega Natchez a Nashville. L’arteria, chiusa al traffico commerciale, senza semafori e – attenzione – senza stazioni di benzina, segue un’antichissima pista tracciata da bufali e cacciatori preistorici. La Natchez Trace Parkway, questo è il nome della strada, è curata dal National Park Service e l’erba ai lati è rasa come nei parchi cittadini. Si guida per ore immersi nel verde incrociando poche automobili, qualche motociclista, alcuni ciclisti e senza incontrare nessuna zona abitata, salvo abbandonare la Trace per raggiungere qualche villaggio dove rifocillarsi e soprattutto fare il pieno di benzina. Fino a metà Ottocento, quando i battelli a vapore iniziarono a navigare nelle due direzioni lungo il Mississippi, questa pista era battuta da 10 mila viaggiatori all’anno. Si trattava di coraggiosi avventurieri del Kentucky e in genere del nord, che trasportavano merci lungo il fiume fino a New Orleans, dove vendevano anche le loro chiatte per il legname e ritornavano a casa percorrendo la Trace, su un terreno accidentato e perseguitati da maltempo, animali selvatici, indiani ostili.

 

La città natale di Elvis Presley

Poco oltre metà strada tra Natchez e Nashville una piccola deviazione porta a Tupelo, la città natale di uno dei miti dell’America moderna: Elvis Presley. Entrando in città numerosi cartelli stradali indicano «birthplace» (luogo di nascita), dando per scontato che tutti sappiano di chi. Su una collina appena fuori città, in un quartiere povero, sorge la casa della famiglia Presley, dove Elvis nacque l’8 gennaio 1935 assieme al suo gemello Jesse, che morì subito dopo avere assaporato la luce del mondo. Si tratta di una piccola abitazione lunga e stretta, costituita da due sole stanze, che i genitori costruirono nel 1934. Il mobilio è stato ricostituito con mobili dell’epoca, così che l’arredamento risulti identico a quello del giorno in cui nacque Elvis. Suggestiva è anche la visita della chiesetta frequentata dai Presley, che è stata trasferita qui dalle vicinanze. Ci si siede sui banchi e ai lati scendono degli schermi su cui viene proiettato un filmato che ripropone l’atmosfera delle tonanti cerimonie religiose a cui assistette il giovane Elvis, ritmate da quei gospel che tanto influenzarono la sua musica in seguito. Il piccolo museo colloca il periodo della gioventù di Elvis nel contesto storico locale e nazionale, illustrando la vita del sud negli anni antecedenti la seconda guerra mondiale. La continuazione della storia incredibile che trasformò un giovane camionista in uno dei miti dell’America moderna la si può seguire al Country Music Hall of Fame & Museum, che dedica un’intera sezione a Elvis, mostrando video dei suoi concerti, esponendo le sue chitarre, i suoi stravaganti vestiti e perfino la sua Cadillac con le maniglie d’oro.

 

Nashville, culla del country

Raggiungiamo Nashville in serata. Pernottiamo in un’antica stazione in stile liberty trasformata in albergo. È il 4 luglio, festa dell’Indipendenza. La città, culla del country, è addobbata a festa. Musica nei bar, nei locali notturni della centralissima Broadway Road e in piazza, dove si tiene uno splendido spettacolo di fuochi pirotecnici accompagnati dall'orchestra sinfonica cittadina. Nei locali notturni la musica imperversa fino all’alba. Ne giriamo alcuni: animatissimi. Tutti con musica di buon livello. Ricordate il film «Le ragazze del Coyote Ugly» dove le avvenenti cameriere ballano in modo sfrenato e sexy sul bancone di un bar da cowboy? Ebbene quel locale si trova proprio qui a Nashville.

Nashville è considerata la culla della musica country, nata all’inizio del Novecento come risultato dell’interazione tra le tradizioni musicali folk britanniche e irlandesi importate dai coloni anglosassoni con gli inni spiritual e gospel cantati dagli schiavi afroamericani e dai loro discendenti. Una trasmissione radiofonica (The Grand Ole Opry) trasmessa sin dal 1925 da un’emittente di Nashville e tuttora molto ascoltata negli Stati Uniti ha scoperto in quasi un secolo di storia i grandi cantanti di questo genere. Tanto che gli artisti country potevano dire di avere raggiunto il successo solo dopo avere superato l’esame dell’Opry e aver suonato nel prestigiosissimo Ryman Auditorium, un’ex chiesa in mattoni rossi, che si trova nel centro città e dove si tenevano i concerti. Oggi anche i 2 mila posti messi a disposizione in questa sala non sono più sufficienti e alcuni concerti si tengono in un nuovo gigantesco teatro fuori città.  

Ma anche lungo tutta la centralissima Broadway vi sono bar dove musicisti di talento suonano dopo il tramonto. Nel vastissimo Country Music Hall of Fame & Museum il genere viene rivisitato in tutti i suoi aspetti, le sue tendenze ed evoluzioni. Il museo raccoglie cimeli di grandi star (abiti, stivali, strumenti, persino automobili), filmati, fotografie e registrazioni, che si possono ascoltare in sofisticate cabine. 

È davvero peccato avere poco tempo a disposizione, ma il nostro viaggio verso Chicago è ancora lungo. La nostra prossima tappa ci porta nel Kentucky, la terra dei cavalli purosangue. Ma prima di raggiungere Lexington ci imbattiamo in un altro mito: quello del presidente Abramo Lincoln.

 

Lincoln, padre della democrazia

Una deviazione di pochi chilometri dalla statale US-31 East ci porta al National Historic Site dove si trova una riproduzione simbolica della capanna in cui il 12 febbraio 1809 nacque Abramo Lincoln, il padre dell’America moderna, il presidente che sconfisse il fronte sudista nella guerra di Secessione (1861-1865) e decretò la fine della schiavitù. La capanna in legno è racchiusa all’interno di un Memorial Building, monumentale ricostruzione di un tempio greco in granito e marmo con 56 gradini, che simboleggiano gli anni della vita di Lincoln, assassinato a Washington il 14 aprile 1865. 

La capanna dove Lincoln trascorse la sua adolescenza (pure riprodotta) si trovava a pochi chilometri di distanza dal luogo di nascita, in un’altra splendida zona di campagna. Risalgono a questo periodo i suoi primissimi ricordi di schiavi incatenati e spinti a forza lungo la strada. 

«Il compito di Lincoln, – scrive T. Harry Williams nel Volume X di «Storie del mondo contemporaneo» della Cambridge – il più difficile che sia toccato a uno statista americano, era quello di conservare la nazione. Egli doveva ricostruire l’Unione (dalla quale gli Stati schiavisti del sud si erano scissi ndr.), dirigere la guerra civile e nello stesso tempo dar vigore all’unità di propositi del popolo». Ci riuscì grazie alle sue «qualità di statista – forza morale e intellettuale, profonda comprensione dello spirito della sua epoca e dell’opinione pubblica, straordinaria abilità politica – e alla volontà di impiegare queste qualità nella realizzazione del suo proposito». Ma Lincoln possedeva anche «un’altra qualità dello statista, la passione. La sua era la passione della democrazia – conclude T. Harry Williams – del più grande esempio mondiale di democrazia, l’Unione americana, quella che egli chiamava l’ultima, la migliore speranza della terra».

 

Nel regno dei cavalli

Proseguiamo verso Lexington nel Kentucky, considerata la capitale mondiale del cavallo, attraversando il cosiddetto Bluegrass Country. Deve il suo nome al fatto che in primavera i pascoli fioriscono di minuscoli boccioli azzurri. È un susseguirsi di prati ondulati, punteggiati di allevamenti di cavalli – sembra che ce ne siano oltre 450 – recintati da steccati bianchi, con al centro belle dimore coloniche. In questa regione si pratica l’allevamento da oltre 250 anni. Il Kentucky Horse Park , situato sui terreni da pascolo di un ex allevamento, è il luogo in cui si celebra il cavallo in tutte le sue forme: un grande museo ne illustra la storia e l’evoluzione, la Parade of Breeds (Parata delle razze) presenta alcune delle 50 razze di cavalli ospitate nel parco, nella Hall of Champions vengono invece fatti sfilare alcuni grandi campioni documentando i loro successi con filmati. La visita permette anche di girare liberamente per le scuderie che ospitano centinaia di purosangue.

Gli amanti delle corse non possono mancare di visitare a Louisville, che dista circa un’ora di automobile, il Churchill Downs dove il primo sabato di maggio si celebra uno degli appuntamenti ippici più importanti al mondo: il Kentucky Derby, il più vecchio evento sportivo degli Stati Uniti, praticato sin dal 1875, con in palio un premio di 1 milione di dollari. Si può visitare l’ippodromo, dove in 2 minuti i campioni percorrono i 2 chilometri della corsa e il cavallo vincitore viene sommerso da una pioggia di petali di rosa. Un museo racconta la storia dei cavalli e dei fantini più celebri, mentre un video a 360 gradi permette di vivere l’atmosfera che si respira in quel luogo il primo sabato di maggio, quando l’élite della società del sud si dà appuntamento per assistere al grande evento, preceduto da un festival che dura ben due settimane. 

 

Ali, l’enfant terrible

La simpatica Louisville è famosa anche in quanto città natale di Muhammad Ali, figura carismatica, provocatoria e controversa sia dentro il ring che fuori. Il suo impatto mediatico non ha avuto eguali nel mondo sportivo. Detentore del titolo mondiale dei pesi massimi a intervalli tra il 1964 e il 1978, campione olimpionico nel 1960 a Roma, Muhammad Ali è stato personaggio importante anche per il suo attivismo politico contro la segregazione razziale e molto discusso per la sua decisione di abbracciare la religione mussulmana nel 1975 abbandonando il suo nome di nascita di Cassius Clay. Il suo rifiuto nel 1967 di arruolarsi per il Vietnam e la conseguente condanna, che lo tenne lontano per 4 anni dal ring, lo resero un’icona della controcultura americana degli anni Sessanta. La fondazione da lui creata ha costruito un vastissimo museo, dove si possono ripercorrere le tappe fondamentali della sua movimentata vita, utilizzando i più moderni mezzi  della multimedialità. La fondazione ha come scopo di «preservare gli ideali del suo fondatore, di promuovere il rispetto, la speranza e la comprensione e di indurre adulti e bambini a realizzarsi al meglio (to be as great as they can be)».  

Poco distante dal Muhammad Ali Center, sulla Mainstreet di Louisville, si trova il museo del baseball, che espone all’entrata un’enorme mazza alta 36 metri.

Il nostro viaggio prosegue verso Chicago (si veda in questa rubrica l’itinerario «La città del presidente Obama»), che dista circa 500 chilometri, percorribili su comode autostrade.

 

 

Per saperne di più

  • Usa Est, La guida verde Michelin, Milano 2009
  • Stati Uniti centrali, The Rough Guide, Milano 2009
  • Stati Uniti orientali, Lonely Planet, Torino 2012
  • Chicago, Lonely Planet, Torino 2014
  • T. Harry Williams, La guerra civile americana, in Storia del mondo contemporaneo Vol. X, Milano 1982
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