Polinesia

Navigando a vela tra le isole

Per chi ama navigare e vivere a contatto con l’acqua, una crociera in barca a vela in questi mari sperduti costituisce una vacanza indimenticabile. L’incantevole Bora Bora, una sintesi delle bellezze dell’arcipelago. Huahine, che vista dal mare ricorda il corpo di una donna in posa languida. La sacra Raiatea. Taha'a dove viene prodotta la vaniglia. Mo'orea dove le razze abbracciano l’uomo.
Giò Rezzonico
01.10.2017 12:00

Itinerario

(ottobre/novembre 2017)

  • 1° giorno Milano – Papeete (via Parigi e con scalo a Los Angeles)
  • 2° giorno Papeete
  • 3° giorno Imbarco sul catamarano Polynesia Dream
  • 4° giorno Navigazione fino alla Baia di Opunohu. Attività marine nella zona di Tiki
  • 5° giorno Arrivo nella parte sud dell’Isola di Raiatea. La navigazione prosegue poi verso la Baia di Faaroa
  • 6° giorno Navigazione verso Uturoa, il villaggio principale di Raiatea. Si raggiunge poi la laguna di Motu Tautau, nell’Isola di Taha'a
  • 7° giorno Bora Bora
  • 8° giorno Bora Bora
  • 9° giorno Ritorno all’Isola di Raiatea
  • 10° giorno Uturoa e navigazione verso il Motu Céran
  • 11° giorno Partenza per l’Isola di Huahine e arrivo nella Baia di Bourayne
  • 12° giorno Navigazione fino al villaggio di Faré e ritorno all’Isola di Raiatea
  • 13° giorno Sbarco e trasferimento in aeroporto. Volo Papeete – Milano (via Los Angeles e Parigi)
  • 14° giorno Arrivo a Milano

 

Durata del viaggio: 14 giorni

Operatore turistico: Kel12

  

  

 

 

Per chi ama la natura e il mare le Isole della Società nella Polinesia Francese sono una meta davvero imperdibile, sebbene molto lontana: per raggiungerla sono necessarie oltre 20 ore di volo. Non meritano probabilmente il viaggio se ci si limita a trascorrere un paio di settimane in un resort di lusso a Bora Bora, ma per chi ama navigare e vivere a contatto con l’acqua, una crociera in barca a vela in questi mari sperduti costituisce una vacanza indimenticabile. Io ho avuto la fortuna di poter prenotare una cabina su un catamarano di una compagnia che organizza crociere di una decina di giorni alla scoperta dei luoghi più suggestivi di questo piccolo paradiso. 

 

In crociera sul catamarano

Il nostro catamarano misurava 20 metri e offriva ospitalità a un massimo di 12 passeggeri in 6 accoglienti cabine. L’equipaggio era del posto. Persone stupende, che non smentiscono il mito dell’ospitalità legato agli abitanti di queste terre. L’ambiente in barca era molto familiare. Il nostro skipper era affiancato da una cugina, ottima cuoca, e da una graziosa e simpatica nipote. Tra i compagni di viaggio, sebbene nessuno di noi si conoscesse prima di partire, si è creato subito un clima di amicizia fondato sull’amore comune per il mare e per il viaggiare. Per comunicare a tavola durante i pasti si incrociavano varie lingue: il tedesco, l’inglese e il francese. Stranamente, su 10 passeggeri ben 5 eravamo svizzeri. Oltre a me c’erano due coppie d’oltre Gottardo: una esuberante di mezza età e una di due giovani che viaggiavano da mesi. C’erano poi un francese, riservato e acuto nelle sue osservazioni, una coppia di simpatici psichiatri americani, un’altra coppia composta da un economista tedesco e un’avvocatessa austriaca abitanti a Londra. Tutte le generazioni erano rappresentate: dai 25 agli 80 anni. 

Partendo da Papeete sull’isola di Tahiti (si veda itinerario «Capitale della Polinesia»), gli spostamenti tra un’isola e l’altra, quando il vento lo permetteva, avvenivano a vela. Il tempo è stato clemente durante tutto il viaggio. Non abbiamo avuto nessuna mareggiata, sebbene l'oceano sia sempre imperioso. Durante la navigazione il moto ondoso del mare mi ipnotizzava e il mio sguardo rimaneva fisso per ore all’orizzonte. La notte dormivamo in barca nelle calme acque delle lagune che circondano le isole polinesiane.

 

A un passo dal paradiso

Bastava scendere pochi gradini del catamarano per essere in acqua e nuotare muniti di maschera e pinne alla scoperta di razze e squali di ogni genere, testuggini, megattere e una moltitudine di pesci variopinti. Ma la scoperta dei paesaggi sottomarini non si limitava a questi abitanti del mare, si estendeva pure alle agglomerazioni di coralli dalle forme più strane e dai colori più variegati. Quando invece si alzavano gli occhi al cielo si scoprivano montagne vulcaniche rocciose dalle forme più stravaganti e coste popolate dalla lussureggiante vegetazione tropicale. Durante gli scali si percorrevano le isole in automobile, scoprendo panorami mozzafiato: il mare in cui ci si era tuffati poco prima appariva dall’alto in tutte le sue tonalità, dall’azzurro alle varie sfumature del turchese. Una particolarità di queste isole vulcaniche, letteralmente spuntate dal mare in seguito a eruzioni, è costituita da una sorta di laguna naturale, che si è formata tra la terra e il mare grazie alla presenza delle barriere coralline su cui si infrangono le onde. È la lava colata dai vulcani ad aver creato i bassi fondali e i presupposti per la nascita della barriera corallina. Sul cerchio periferico entrano infatti in azione colonie di polipi costruttori di corallo, che vivono solo in acque non profonde e aggiungono all’anello di materiale vulcanico un deposito calcareo. In prossimità dei fiumi che scendono dalle montagne e che immettono nella laguna acqua dolce, la barriera corallina, che necessita invece acqua salata per sopravvivere, si interrompe creando così ingressi naturali per le imbarcazioni che intendono approdare all’isola. All’interno della laguna, che può avere un’ampiezza da 1 a 3 chilometri, l’acqua è calma e trasparente e i bassi fondali diventano una magica tavolozza di colori. Qua e là, dove il mare è più profondo, si intravvedono piatte palafitte adibite alla coltivazione delle perle nere: una specialità di questo mare. 

 

Da un’isola all’altra

Solo tre ore di navigazione separano Tahiti da Mo'orea, prima tappa della nostra crociera. Da lontano scorgiamo i picchi rocciosi delle montagne di quest’isola meravigliosa, che offre panorami spettacolari e che può essere interamente circumnavigata grazie alla sua ampia laguna. Come in tutte le isole su queste terre cresce ogni tipo di frutta. Visitiamo una distilleria che produce anche vino e succhi venduti in tutto l’arcipelago. Una delle specialità è lo champagne di ananas. Ne acquisto una bottiglia per degustarlo la sera in barca come aperitivo. È un vero peccato che gli ananas, così buoni e dolci, vengano sprecati in questo modo… Il mattino seguente, in una baia denominata Tiki, facciamo il bagno assieme a una colonia di razze molto affettuose che abbracciano il nostro skipper. Sono ammaestrate per i turisti o si tratta della loro natura?

Rimango con questo dubbio durante la lunga trasferta verso Raiatea, che prevede una dozzina di ore di navigazione. Mentre stiamo per metterci a tavola per cena un avvenimento vivacizza o turba – a seconda dei gusti e delle sensibilità – la quiete sulla barca. Un grosso pesce abbocca alla canna da pesca sempre attiva durante la navigazione. Per il nostro equipaggio è una festa. Lo skipper ferma il motore e inizia la lotta con il povero tonno che si dimena all’impazzata per riconquistare la libertà. Sebbene io faccia il tifo per lui, l’uomo ha la meglio e la povera bestia, lunga quanto l’altezza di un umano, viene issata a bordo. La lotta prosegue per alcuni minuti, fino a quando il tonno stremato si arrende e viene subito squartato, mentre i miei compagni cenano. A me è passato l’appetito.

Il mattino seguente giungiamo a Uturoa, capitale di Raiatea e seconda città dell’arcipelago. Mentre l’equipaggio fa rifornimento visitiamo il centro, costituito da una sola via su cui si affacciano tutti i servizi necessari all’isola: la banca, la posta, la polizia, la chiesa, i negozi, il distributore di benzina. I villaggi sono tutti così. Non ci si aspetti di trovare paesini pittoreschi. Nonostante questo Raiatea è splendida con il suo perimetro frastagliato che offre magnifiche baie e la sua amplissima laguna. In gommone risaliamo un fiume, dove la vegetazione è talmente esuberante da creare a tratti verdi gallerie naturali.

Raiatea, storicamente, era il centro del potere spirituale di tutta la Polinesia, comprese le Isole Australi, le isole Cook e la Nuova Zelanda, tanto che tutti i «marae» (edifici di culto) costruiti sulle altre isole dovevano incorporare una pietra del locale Tempio di Taputapuatea.

 

La grande competizione

Un’altra sorpresa ci attende a Raiatea: l’arrivo della prima tappa della competizione di canoe di «Hawaiki Nui Va'a» , il principale avvenimento sportivo dell’anno in Polinesia. La gara, trasmessa dalle televisioni e dalle radio locali, dura tre giorni e tocca quattro isole. Il percorso lungo 116 chilometri, parte da Huahine, si dirige in mare aperto fino a Raiatea, per raggiungere poi Taha'a e infine Bora Bora. Si contendono la vittoria una sessantina di imbarcazioni. L’equipaggio è costituito da sei persone. Le moderne canoe sono rimaste fedeli alla tradizione, che accanto allo scafo prevedeva un elemento stabilizzatore parallelo, anticipando gli attuali catamarani. All’arrivo della prima tappa in tarda mattinata, all’entrata del porto centinaia di imbarcazioni attendevano gli equipaggi e nel pomeriggio tutti festeggiavano. Anche noi abbiamo partecipato a una festa che si teneva su uno splendido isolotto al largo di Taha'a, vicino a Raiatea. Centinaia di famiglie affollavano il mare e la spiaggia. La sera abbiamo poi assistito a uno spettacolo di danza polinesiana: eccessivamente turistico, non aveva proprio nulla di autentico.

 

Il mito di Bora Bora

Il mattino seguente abbiamo veleggiato verso Bora Bora, che dista circa 4 ore da Raiatea. Gli altissimi picchi basaltici tanto scenografici che caratterizzano l’isola appaiono da lontano e sembrano ingrandirsi man mano che ci si avvicina. Bisogna ammettere che la bellezza del luogo corrisponde alla sua fama. Le numerose installazioni alberghiere di lusso non hanno rovinato l’incantesimo di questo piccolo paradiso, che è un concentrato di tutte le bellezze dell’arcipelago con la sua vastissima laguna (a tratti raggiunge i 3 chilometri di ampiezza).

L’ultima tappa del nostro viaggio è la segreta Huahine, l’isola donna, una delle più care al cuore dei polinesiani, traboccante di dolcezza. Il nome deriva dal profilo delle sue montagne che, visto dal mare, ricorda una donna in posa languida. E Huahine in polinesiano significa «sesso femminile». Quest’isola ci ricorda le graziose bellezze immortalate sui quadri di Paul Gauguin. Donne dal volto gentile e garbato che bene sintetizzano lo spirito di questo piccolo paradiso sulla terra.

 

Testimonianze dell’era precoloniale

Del periodo precoloniale non si sa molto, anche perché i popoli polinesiani non possedevano una lingua scritta. Quello che si conosce lo si è appreso dalle testimonianze orali raccolte dagli antropologi e dai resoconti dei primi esploratori che nel Settecento scoprirono questo piccolo paradiso dipinto spesso con toni idilliaci. Ma dietro queste sembianze pacifiche e ingenue si nascondeva una società rigidamente regolata in classi sociali e retta da un sistema gerarchico e aristocratico con aspetti anche crudeli. 

Ciò che resta dell’epoca precoloniale sono soprattutto i cosiddetti «marae», luoghi di culto presenti su tutte le isole e solitamente inseriti in splendidi paesaggi in riva al mare, di cui rimangono i ruderi di ampie piattaforme, che ci permettono di ricostruire, anche in base alle testimonianze, i modi di vita della civiltà Māori. Popolazioni di origine agricola che avevano abbandonato, non si sa per quali ragioni, alcune zone sud orientali dell’Asia per trasformarsi in gente di mare, dando inizio a quelle migrazioni oceaniche che nel corso dei secoli avrebbero popolato gli arcipelaghi del Pacifico centrale. Gli studiosi ritengono che i «marae» riproducessero il cosmo e fossero siti dove l’uomo accoglieva gli dei e li venerava per propiziarsi i loro favori con cerimonie di vario genere, che giungevano fino al sacrificio umano. I tre elementi principali del cosmo erano ritenuti la terra, il cielo e il mare. Per questa ragione i templi erano aperti e inseriti nella natura. I polinesiani veneravano una serie di divinità, che facevano capo a Ta'aroa, il dio supremo creatore di ogni cosa, ognuna delle quali proteggeva un’attività, un elemento naturale, un gruppo sociale o professionale. 

I colonizzatori, soprattutto tramite i missionari, repressero questa cultura ritenuta selvaggia e incivile, distrussero i templi, gli idoli pagani e pretesero dai convertiti l’abbandono delle loro usanze ancestrali. Le danze furono proibite perché ritenute troppo sensuali, i rapporti sessuali condotti al puritanesimo più rigido. Oltre alla repressione religiosa gli europei portarono anche malattie nuove, alle quali gli organismi degli indigeni non erano preparati, l’alcoolismo, il denaro che si sostituì alla logica del baratto. Tutto questo condusse a un rapido declino della cultura polinesiana e alla decimazione della popolazione: secondo le stime degli studiosi sull’isola di Tahiti gli indigeni si ridussero nel giro di un secolo da 40 mila a 6 mila e nelle Isole Marchesi addirittura da 80 mila a 2 mila. 

 

 

Per saperne di più

  • Brash Celeste, Tahiti e la Polinesia francese, Lonely Planet, Torino 2017
  • Vignati Antonella, Polinesia, Edizioni del Riccio, Firenze 1992
  • AAVV, Polinesia, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1981
  • Stingl Miloslav, L’ultimo paradiso, Mursia Editore, Milano 1986
  • Quilici Folco, Polinesia. Isole e atolli del mito, Mondadori, Milano 1995
  • Pigliasco Guido Carlo, Paradisi inquieti: viaggio in Polinesia, EDT, Torino 2000
  • Gerbault Alain, Polinesia, un paradiso che muore, Edizioni Mare verticale, Grancona 2014
  • Stevenson Robert Louis, Nei mari del sud, Tarka, Mulazzo 2015

 

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