Antartide

Un lungo viaggio in nave sino ai confini del mondo

Un itinerario a bordo della Silver Cloud, alla scoperta di un mondo di ghiaccio, conquistato poco più di un secolo fa dal norvegese Roald Amundsen. Immaginatevi i nostri magnifici paesaggi alpini immersi in un mare, cosparso di iceberg, che lambisce le pendici delle montagne, con le rive abitate da pinguini, foche, balene, uccelli di ogni tipo che non si scompongono alla presenza dell’uomo.
Giò Rezzonico
01.01.2019 12:00

Itinerario

(gennaio 2019)

A bordo della Silver Cloud si attraversano alcuni tra i paesaggi più affascinanti della costa occidentale dell’Antartide.

  • 1° giorno Imbarco sulla Silver Cloud a Ushuaia
  • 2° giorno Navigazione
  • 3° giorno New Island e West Point Island
  • 4° giorno Port Stanley
  • 5° giorno Bleaker Island e Sea Lion Island
  • 6° giorno Stretto di Drake
  • 7° giorno Elephant Island
  • 8° - 13° giorno Penisola Antartica (Yankee Harbor, For Point and Hardy Cove, A57A Iceberg, Brown Bluff, Hope Bay, Cierva Cove, Portal Point, Cuverville Island, Nego Harbor, Goudier&Jougla Point, Antarctic Circle)
  • 14° - 15° giorno Stretto di Drake
  • 16° giorno Sbarco a Ushuaia

 

Durata del viaggio: 16 giorni

Operatore turistico: Kel12

  

  

 

 

Un viaggio straordinario ai confini del mondo. Un universo di ghiacci eterni senza fine, senza popolazioni indigene, dove da ottobre a febbraio non scende mai la notte, abitato da animali selvaggi ma non ostili, che si lasciano avvicinare facilmente. Congelata nel tempo e nel ghiaccio l’Antartide contiene i segreti del passato della terra. Visitando questo angolo sperduto del mondo ti senti un privilegiato, come se fossi atterrato sulla luna. 

«Bianco luccicante, blu scintillante, nero corvino, alla luce del Sole la terra sembra un incanto da fiaba. Pinnacolo dopo pinnacolo, picco dopo picco, solcata da crepacci, selvaggia più di ogni altra terra al mondo, sta là, non vista e non calpestata». Così l’esploratore norvegese Roald Amundsen (1872-1928), il primo uomo che raggiunse il Polo Sud a piedi, nel 1911 descriveva questa terra avvistata per la prima volta meno di 200 anni fa. Territorio freddo e inospitale, dove il sole appare basso nel cielo: per questo i suoi raggi scaldano poco. Un continente, che riposa sotto una coltre media di 2,8 chilometri di ghiaccio, più esteso dell’Europa, che in inverno quando è circondato dalla banchisa raddoppia le proprie dimensioni. Se questi ghiacci non si scongelassero durante la stagione estiva sarebbe il terzo continente più vasto, dopo Asia e Africa. L’Antartide è comunque il più montagnoso con un altezza media di 2'160 metri, seguito dall’Asia con una media di soli 1'000 metri. I suoi paesaggi sono meravigliosi. Potete immaginarveli come se i nostri territori alpini fossero immersi nel mare fino alle loro pendici e abitati da pinguini, foche e balene, con enormi iceberg scolpiti dalla natura che galleggiano attorno alla nave al vostro passaggio.

L’Antartide è importante per l’equilibrio del pianeta per due ragioni: perché costituisce il 75 per cento delle riserve di acqua dolce al mondo e perché qualora i suoi ghiacci si sciogliessero completamente il livello dei mari si eleverebbe di 80 metri. A causa del surriscaldamento della terra gli studiosi dell’Università della California ritengono che l’Antartide ogni anno stia perdendo una quantità di ghiaccio 6 volte superiore a quanto succedeva 40 anni fa. Se questo processo non venisse rallentato, nel giro di pochi secoli il livello del mare potrebbe aumentare di alcuni metri.

 

La sfida dell’Antartide ricorda molto quella per l’allunaggio

L’Antartide rimase praticamente inesplorato fino al XX secolo. Alla fine del Settecento James Cook della Royal Society britannica circumnavigò l’intero continente nel corso di due viaggi (1772/73 e 1774/75), giunse a 130 chilometri dalla costa e annotò: «È mia ferma opinione che questo ghiaccio si estenda fino al Polo o forse si unisca a qualche terra alla quale è stato fissato fin dai tempi della Creazione». Bisognerà attendere oltre 40 anni affinché un navigatore russo, Thaddeus Thaddevitch von Bellingshausen, sempre circumnavigando il continente, si avvicinasse ulteriormente alla terraferma. Anche il primo avvistamento vero e proprio dell’Antartico (probabilmente delle Isole Shetland Meridionali) per opera di William Smith, un cacciatore di foche britannico, avvenne nello stesso anno: il 1819. Il primo sbarco, invece, se lo contendono l’americano John Davis nel 1821 (dopo aver diretto la sua barca verso riva esclamò «credo che questa terra meridionale sia un continente») e il cacciatore di balene norvegese Henryk Johan Bull, che nel 1895 sbarcò a Capo Adare. In «The Cruise of the Antarctic to the South Polar Regions» Bull scrive: «Noi abbiamo dimostrato che sbarcare sull’Antartide non è così difficile come finora si riteneva e chi si trovi a svernare ha ogni possibilità di trascorrere un anno sicuro e piacevole a Capo Adare, con l’opportunità di penetrare fino al Polo Magnetico o nelle sue vicinanze con l’aiuto di slitte e sci norvegesi». Questa esplorazione fu importante perché aprì la strada alle spedizioni terrestri sul continente. Al Congresso geografico internazionale di Londra, che si tenne pure nel 1895, il presidente Clements Markham dichiarò infatti: «Quella delle regioni antartiche è la più grande esplorazione geografica ancora da intraprendere». La sfida era lanciata e venne accolta da diversi esploratori che gareggiarono per raggiungere per primi il Polo Magnetico. Il primo a provarci fu l’inglese Robert Falcon Scott con un tentativo iniziale fallito nel 1902. Nel 1907 ci riprovò Ernest Henry Shackleton, che aveva preso parte anche alla prima spedizione di Scott, ma giunse a 160 chilometri dalla meta e poi fu costretto pure lui a desistere. Il successo arrise invece al norvegese Roald Amundsen che con una spedizione perfetta il 14 dicembre 1911 annotò trionfalmente sul suo taccuino: «La meta è raggiunta, il viaggio terminato». Ma anche Robert Falcon Scott si era avventurato verso la stessa meta, contemporaneamente alla spedizione di Amundsen. L’11 gennaio 1912 annotò però sconsolato sul suo libro di viaggio: «Il peggio è accaduto… tracce di slitte e di sci che vanno e vengono e orme chiarissime di zampe di cani… I norvegesi ci hanno preceduti e sono giunti prima al Polo. Tutti i sogni a occhi aperti sono svaniti, sarà un difficile ritorno». I cinque uomini raggiunsero la meta il giorno successivo e trovarono la bandiera norvegese issata a terra. Il ritorno finì in tragedia: tutti morirono. Il 19 marzo Scott annotò: «Fuori dalla tenda turbina la neve. Credo che non abbiamo più nulla da sperare… Per amor di Dio, abbiate cura delle nostre famiglie». 

 

Itinerario antartico

Il nostro itinerario in nave, a bordo della Silver Cloud attraversa alcuni tra i paesaggi più affascinanti della costa occidentale dell’Antartide per raggiungere il circolo polare antartico a 66°33’, dove almeno una volta all’anno nel solstizio d’estate il sole non scende al di sotto dell’orizzonte, mentre durante il solstizio d’inverno non sorge per l’intera giornata. Navighiamo in mare aperto o attraverso angusti stretti, dove il paesaggio è mozzafiato con le montagne che si riflettono nel mare. Visitiamo alcune baie dove i primi esploratori rimasero intrappolati con le loro navi durante i rigidi inverni e in molti casi le loro imbarcazioni finirono stritolate dalla forza dei ghiacci. La nostra nave àncora al largo della costa, che raggiungiamo a bordo di comodi gommoni. Talvolta costeggiamo, a bordo degli «Zodiac», per ammirare gli iceberg e i ghiacciai che finiscono nel mare, altre volte scendiamo a terra per fare lunghe passeggiate sulle nevi perenni e avvicinarci alle numerosissime comunità di pinguini di varie specie, che popolano quelle terre assieme alle più rare foche e balene. Gli animali non sembrano disturbati dalla nostra presenza e si comportano come se non ci fossimo.

Il nostro viaggio era iniziato a Santiago del Cile dove un volo locale ci ha portati a Ushuaia in Argentina, una simpatica cittadina all’estremo sud dell’America Latina, dove ci siamo imbarcati per la Silversea Expedition. Dopo avere navigato per alcune ore lungo il Canale di Beagle, abbiamo raggiunto il temutissimo Canale di Drake, che separa l’estremità meridionale dell’America del Sud dalle Isole Shetland Meridionali – dove abbiamo fatto la nostra prima tappa – e dall’Antartide. Tratto temutissimo perché considerato uno dei mari più burrascosi al mondo, trovandosi all’incontro tra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Atlantico. La fortuna ha voluto che durante la nostra spedizione, sia all’andata che al ritorno il mare fosse calmissimo e il tempo soleggiato durante tutto il periodo, con una temperatura media di 1 o 2 gradi sopra lo zero.

 

Un mondo di ghiaccio

L’Antartide è un vero e proprio continente ricoperto al 98 per cento da una coltre di ghiaccio spessa mediamente oltre 2 chilometri. In inverno è ulteriormente circondato dalla cosiddetta banchisa, un manto ghiacciato che raggiunge un metro e più di spessore, raddoppia praticamente la superficie del continente, e rende le coste irraggiungibili per le navi (anche le rompighiaccio) e  per gli animali. In estate la banchisa si scioglie in tanti pezzetti ghiacciati in attesa di riconsolidarsi durante la stagione fredda. Una delle più grandi emozioni del viaggio è costituita da questa atmosfera bianca, che si contrappone all’azzurro del cielo e del mare, dove regna il silenzio più assoluto. In estate si naviga sul mare, che lambisce la terra ferma con le sue montagne e i suoi ghiacciai, tra gli iceberg con le loro magiche forme scolpite dall’acqua e dal vento e con i loro colori che vanno dal bianco all’azzurro, al rosa (per la presenza di crostacei). Ne esistono di due tipi: quelli cosiddetti tabulari, che sono squadrati e si sono staccati dalle cosiddette piattaforme, cioè lastroni di ghiaccio che coprono buona parte delle baie antartiche. Hanno vari formati. Noi ne abbiamo incrociato uno costituito da una piattaforma lunga 30 chilometri e larga 16. Ma i più spettacolari sono quelli che si sono formati sulla terraferma e poi sono precipitati in mare. Sono questi che vengono forgiati dalla fantasia della natura. Spesso sono instabili, perché si capovolgono facilmente quando si sciolgono al sole. Solitamente la parte emergente equivale al 10 per centro dell’intera massa, ma a volte sono addirittura quasi invisibili, come quello che nel 1912 provocò l’affondamento del Titanic.

 

Terra di tutti e di nessuno

Il Trattato Antartico firmato, dopo 18 mesi di trattative, nel dicembre del 1959 dalle 12 nazioni (Argentina, Australia, Belgio, Cile, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Norvegia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Sud Africa e Unione Sovietica) che avevano partecipato all’Anno Geofisico Internazionale, bandisce le attività militari, garantisce libero accesso alla ricerca scientifica e risolve il problema delle rivendicazioni territoriali, dichiarando che non dà «appoggio, sostegno o diniego a nessuna rivendicazione » e vieta ogni ulteriore pretesa. Suddivide la regione in settori simili a fette di torta, ciascuna soggetta alla giurisdizione di una nazione firmataria del Trattato. 

 

Quattro specie di pinguini…

La più grande attrattiva del viaggio, paesaggio a parte, è certamente costituita dai numerosi animali che si incontrano sbarcando sul continente: soprattutto pinguini e foche, che sembrano davvero poco disturbati dalla presenza umana. I più simpatici sono certamente i pinguini con la loro postura eretta, l’elegante colorazione bianconera e l’andatura ondeggiante. Sono classificati tra gli uccelli marini: sebbene non possono librarsi in volo, «volano» però nell’acqua usando le zampette come remi e le ali come propulsori. Siccome sono dotati di un ottimo isolamento termico possono rimanere immersi per ore nei freddi mari antartici senza perdere calore. Ogni anno attraversano una rapida fase di muta completa, durante la quale le penne vengono sostituite in una sola volta. Le quattro specie antartiche (Imperatore, Pigoscelide, Adelia e Papua) raggiungono il Polo Sud in tarda primavera per riprodursi in estate sulle rocce, dopo che è scomparsa la neve. Per proteggere le uova e tenerle al caldo sono provvisti di una tasca incubatrice. Vivono in colonie numerose formate da migliaia o perfino centinaia di migliaia d’individui, che colonizzano i promontori e le colline. Per raggiungere il mare più comodamente scavano delle piste nella neve, dove il «traffico» è spesso animato, ma ordinato. Durante il nostro viaggio abbiamo incontrato soprattutto comunità di pinguini Adelia, Papua e Pigoscelide, ma abbiamo avvistato anche dei pinguini Imperatore, più grandi, e crestati, inconfondibili per il ciuffo di un vivace giallo scuro o arancio. 

 

…e quattro di foche

I pinguini Adelia incarnano l’immagine che ognuno di noi ha dei pinguini con il dorso e il capo neri e il petto e la gola bianchi. Prima di tuffarsi in mare si radunano in gruppo sul bordo dell’acqua fino a quando uno di loro salta in mare, immediatamente seguito da tutti gli altri. I Pigoscelidi si diversificano per una caratteristica e sottile riga nera che attraversa il bianco del collo da un orecchio all’altro, mentre i Papua sono facilmente riconoscibili per il loro becco e zampe di un vivace arancio.

Durante la nostra permanenza in Antartico abbiamo incontrato quattro specie di foche: le più imponenti sono certamente gli elefanti marini del sud, che possono raggiungere fino a 6 metri di lunghezza e fino a 4 tonnellate di peso, seguite dalle eleganti e temute (si nutrono anche di pinguini) foche leopardo, che raggiungono i 3 metri di lunghezza e i 3 quintali di peso, dalle foche di Weddell, che hanno più o meno le stesse proporzioni e dalla più piccola la foca cancrivora. Questi splendidi animali si trovano a proprio agio soprattutto in acqua, mentre sulla terraferma appaiono goffi e si spostano con difficoltà. Ma in mare, dove possono ingerire cibo anche in profondità, sono ottimi cacciatori: possono mantenere a lungo il respiro, sono dotati di una vista straordinaria e di baffi molto sensibili, che permettono loro di percepire diverse situazioni.

 

Ma anche balene e uccelli di ogni tipo

Le acque dell’Antartico sono ricche anche di balene. Durante il nostro viaggio ne abbiamo avvistate di due tipi: la cosiddetta balenottera minore, che può raggiungere una lunghezza di 10 metri e un peso di 13 tonnellate e le più grandi megattere, che raggiungono 15 metri di lunghezza e oltre 30 tonnellate di peso. Quest’ultime sono note anche come le «balene cantanti», perché intonano complessi motivi ripetitivi, ciascuno dei quali può durare dai 10 ai 15 minuti.

Numerosi anche gli uccelli: dai maestosi ed eleganti albatri, che possono avere un’apertura alare oltre i 3 metri, ai Procellaridi con la minacciosa ossifraga del sud che si nutre delle carcasse di animali morti. 

 

  

Per saperne di più

  • Cile, Lonely Planet, Torino 2015
  • Antartide, Edizioni del Capricorno, Torino 2004
  • Alfred Lansing, Endurance, Milano 2018

 

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